Dal governo

Atto di indirizzo, il rebus della dirigenza Pta

di Stefano Simonetti

Nell’atto di indirizzo del Comitato di settore per la dirigenza sanitaria (versione del 26 ottobre) è contenuta a pag. 13 una strana dichiarazione che riguarda non la dirigenza medica, veterinaria e sanitaria bensì quella professionale, tecnica e amministrativa (per brevità: Pta). Tale affermazione parla di una “necessità di riconsiderare le linee evolutive dell'ambito contrattuale” e di una verifica puntuale di ”tutti gli aspetti afferenti all'attuale collocazione nell'area contrattuale delle funzioni locali di tale dirigenza”. La singolarità della questione – sia per i contenuti sia per la tempistica – merita un approfondimento.
La dirigenza dei ruoli professionale, tecnico e amministrativo del S.s.n. ricomprende numerosi profili articolati nei tre ruoli citati: ingegneri, architetti, avvocati, geologi (ruolo professionale), sociologi, analisti, statistici (ruolo tecnico), amministrativi (ruolo amministrativo).

Si tratta di circa 5.000 dirigenti che negli ultimi due anni hanno subito modifiche istituzionali importanti e sostanziali sia a livello di contrattazione collettiva sia come inquadramento ordinamentale. A quest'ultimo proposito è noto che la legge 124/2015 aveva delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo per istituire un ruolo unico con i dirigenti regionali e ridefinire in modo totale gli aspetti del reclutamento, degli incarichi, del trattamento economico e delle responsabilità. La sentenza della Corte costituzionale n. 251/2016 ha però inciso profondamente sull'iter di approvazione del decreto delegato che era stato adottato il 24 novembre, proprio il giorno prima di quello del deposito della pronuncia di cui sopra. Conseguentemente, lo stop imposto dalla Corte costituzionale alla cosiddetta Riforma Madia ha lasciato irrisolta la delega di cui all'art. 11 della legge. Tra i tanti aspetti che non hanno trovato definizione c'è ovviamente quello del ruolo unico regionale nel quale sarebbero dovuti confluire i dirigenti dei ruoli professionale, tecnico e amministrativo della sanità insieme ai dirigenti regionali. I tre ruoli (statale, regionale, locale) sarebbero stati costituiti da soggetti cui veniva attribuito il nuovo titolo di “dirigente della Repubblica”.

La inclusione nel ruolo regionale appariva coerente con le parallele vicende della contrattazione collettiva che con il CCNQ del 13 luglio 2016 ha introdotto notevoli differenziazioni rispetto al passato. Infatti è stata creata un'area negoziale per la dirigenza sanitaria del S.s.n. (art. 7, area D della Sanità ) che ricomprende la ex Area IV (medici e veterinari) e parte della ex Area III (biologi, chimici, fisici, psicologi, farmacisti cui si sono aggiunti i dirigenti delle nuove professioni sanitarie). In realtà il decreto Brunetta (art. 54 del decreto 150 del 2009 che novellava il secondo comma dell'art. 40 del d.lgs. 165/2001) fin dal 2009 prevede per la dirigenza sanitaria una “apposita sezione contrattuale di un'Area dirigenziale”. Il disallineamento che si rileva tra legge e contratto quadro è stato sanato in via postuma dal decreto delegato ex art. 17 (art. 11 del d.lgs. 75/2017). E' stata poi creata una nuova “Area delle funzioni locali” (area B dello stesso art. 7) nella quale sono presenti i dirigenti PTA della sanità unitamente ai dirigenti regionali, a quelli degli enti locali nonché ai segretari comunali e provinciali.

Si è detto che il ruolo unico regionale era “coerente” con le scelte negoziali; ciò tuttavia non comporta che i due aspetti siano inscindibilmente legati. La fonte normativa per la definizione dei comparti è la contrattazione collettiva che, in tal senso, è sovrana ai sensi dell'art. 40, comma 2 novellato del d.lgs. 165/2001. Le parti, dopo lunghe e complesse trattative, hanno deciso per l'assetto risultante dal contratto del 13 luglio 2016 e la determinazione è assolutamente legittima e non può essere messa in discussione a causa di eventi estranei alla negoziazione. Aldilà dell'aspetto giuridico, sul piano concreto proviamo ad ipotizzare una soluzione alternativa che, in ogni caso, potrebbe discendere solo da una modifica formale del contratto quadro vigente. E' di tutta evidenza che l'unica possibile via di uscita sarebbe quella di una sola area contrattuale per tutta la dirigenza del S.s.n. Per completezza va ricordato che la configurazione unica dovrebbe essere un capitolo chiuso poiché è stato di fatto rigettato dal Governo il progetto dei sindacati confederali che il 22 febbraio 2016 avevano richiesto alla Ministra della Salute – che, peraltro, non ha competenza nella materia - un'area contrattuale unica e indistinta per tutti i dirigenti. Per inciso, nella Area dirigenziale B sono collocati anche i dirigenti degli enti locali e i segretari comunali e provinciali che nell'ipotesi della bozza di decreto Madia costituivano un altro e ben distinto ruolo, a conferma del fatto che la delega ex lege 124 e le scelte negoziali viaggiano su corsie indipendenti.

Considerato che il conglobamento dei dirigenti sanitari era annunciato da 7 anni, in realtà l'unica modificazione riguarda la dirigenza PTA (professionale, tecnica e amministrativa) che abbandona la ex Area III, nella quale si trovava assieme alla dirigenza sanitaria non medica, per confluire nella nuova “Area delle Funzioni locali” unitamente ai colleghi delle Autonomie. Si può ritenere che tale nuova configurazione della dirigenza PTA sia la più logica e apra nuovi scenari alla categoria, finalmente affrancata da un tavolo negoziale - quello con i sanitari non medici – anomalo, nei confronti del quale le divergenze e le specificità rispetto alla dirigenza sanitaria erano evidenti. Era diversa la modalità di reclutamento, erano diversi i titoli di studio richiesti, erano disciplinati istituti quali la libera professione, il lavoro straordinario, la pronta disponibilità che riguardavano soltanto una parte della dirigenza della ex Area III, cioè quella sanitaria.
Ecco perché la dichiarazione di cui si parlava all'inizio appare incoerente nella sostanza e, in ogni caso, fuori tempo. Se poi – come ipotizzato in alternativa dall'Atto di indirizzo di cui si parla – sarà necessario “prevedere una fase transitoria di prima applicazione” per gestire la separazione, si resterebbe nella logica delle cose già definite.


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