Dal governo

Manovra 2018, norme scarne sul personale e rebus Ria

di Stefano Simonetti

Nella legge 205/2017 (legge di Bilancio per il 2018) i riferimenti al pubblico impiego sono quanto di più scarno e semplice si sia visto negli ultimi anni. In pratica soltanto nei commi 679 e 681-683 si prevedono disposizioni su “politiche invariate”, cioè il completamento della copertura finanziaria per i rinnovi contrattuali (in particolare i commi 682 e 683 riguardano la Sanità ma non risolvono per nulla il problema della disponibilità reale del finanziamento).

Mancano del tutto norme sul trattamento normativo o economico come, al contrario, è avvenuto per lo meno da venti anni a questa parte in ogni finanziaria. La spiegazione è però intuibile, dato che non più di sei mesi fa è entrato in vigore il decreto delegato 75 che ha modificato il testo unico per il pubblico impiego. Inoltre gli interventi - quasi sempre restrittivi – sul trattamento economico e sui fondi operati nel recente passato erano adottati durante il lungo periodo di blocco della contrattazione collettiva e andavano surrettiziamente a disciplinare alcuni aspetti normo-economici del rapporto di lavoro pubblico. Essendo stato riorganizzato il pubblico impiego e partita la tornata contrattuale (così almeno sembra), non rimaneva sostanzialmente altro da disciplinare e, quindi, la legge 205/2017 si occupa solo di reperire le risorse per la tranche del 2018 dei rinnovi contrattuali (delle sole amministrazioni centrali, come detto) e provvede a sistemare qualche “pendenza” dal vago sentore preelettorale. Infatti si rilevano una serie di emendamenti dell'ultima ora che intervengono su aspetti e criticità vari senza alcun criterio di sistematicità. In ordine di numerazione dei commi, troviamo una inopinata disposizione per la sanità del Trentino-Alto Adige (comma 449). Nel successivo comma 454 si rinvengono maggiori margini di flessibilità di spesa per il personale del S.s.n. per le Regioni a posto con i conti e con la corretta erogazione dei Lea. Per la Regione virtuosa, in alternativa all'adempimento in vigore fin dal 2009 di graduale riduzione della spesa del personale per un importo pari a quello della spesa dell'anno 2004, decurtata dell'1,4%, si introduce una possibile alternativa qualora “abbia raggiunto l'equilibrio economico e abbia attuato, negli anni dal 2015 al 2019, un percorso di graduale riduzione della spesa di personale, ovvero una variazione dello 0,1 per cento annuo”. A seguire (comma 456), troviamo la definizione di una annosissima vertenza degli ex medici condotti che, più correttamente, avrebbe dovuto trovare posto nel contratto collettivo. Infine, al comma 813 viene estesa anche ai medici la stabilizzazione diretta prevista dall'art. 20 del d.lgs. 75/2017, questa volta per legge e non con una circolare. A tale ultimo proposito, viene pienamente confermata l'inopportunità, per non dire la bizzarria, dei contenuti della circolare della Funzione pubblica n. 3/2017 e, forse, sarebbero opportune le scuse della Ministra, così prodiga nel chiedere agli altri di scusarsi.

Tuttavia, tra gli emendamenti del 22 dicembre, due appaiono gli interventi più rilevanti con i quali sono state definite in extremis un paio di partite molto attese e delicate: la questione dei precari della ricerca sanitaria e il recupero della RIA dei dirigenti medici. Riguardo alla prima si rinvia al separato commento mentre sulla questione della RIA si proverà qui di seguito ad analizzare tutti gli aspetti di questa delicata partita.

Nel nuovo comma 435 – già chiamato emendamento Gelli - viene previsto che al fine di “attenuare gli effetti finanziari correlati alla disposizione di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, con riferimento alla retribuzione individuale di anzianità, …..” il fondo sanitario nazionale viene incrementato dal 2019 fino al 2026 di un importo progressivo a partire da € 30 ml fino a € 86 ml. La disposizione è particolarmente contorta e piena di insidie e contraddizioni, sulle quali torneremo in seguito, mentre per poter comprendere la reale portata dell'emendamento può essere utile ricostruire l'evoluzione storica della problematica. Tutto nasce dal testo del decreto 75/2017 che nella versione portata in Consiglio dei Ministri il 19 maggio scorso affermava “la peculiarità del regime del personale cessato dal servizio in relazione alla retribuzione individuale di anzianità da valutarsi, nell'ambito della normativa vigente, in sede di atto di indirizzo e successiva contrattazione”. Nel testo andato in Gazzetta Ufficiale però la norma è sparita e del recupero della RIA non si è più parlato, rinviando tacitamente la sua eventuale sopravvivenza al CCNL in fase di pre-trattativa. Insomma, il decreto 75 sembrava aver congelato per il solo anno 2017 i fondi contrattuali riportando la dinamica dei fondi stessi alla sua sede naturale, cioè la contrattazione collettiva.

Vediamo in dettaglio di cosa si sta parlando. La retribuzione individuale di anzianità (RIA) è un particolare emolumento del trattamento economico fondamentale dei dipendenti del S.s.n. Nasce in stretta connessione con la soppressione degli automatismi contrattuali che prevedevano otto classi biennali pari al 6% del tabellare iniziale più aumenti periodici pari al 2,5% sul valore dell'ultima classe; per i medici tale progressione era attuata anche sull'indennità medico-specialistica e su quella di tempo pieno. Il sistema descritto non è stato però abbandonato in modo uniforme dal personale dipendente. Infatti tutto il comparto e la dirigenza sanitaria, professionale, tecnica e amministrativa hanno cessato di godere della progressione automatica il 31 dicembre 1986 (art. 45 del DPR 270/1987) mentre per la dirigenza medica e veterinaria la progressione è continuata fino al 31 dicembre 1997 (art. 47 del CCNL del 6.12.1996) con un conseguente evidente delta di circa un 30 % di salario di anzianità in più a favore dei medici, generato dai dieci anni di prosecuzione degli automatismi.

La RIA consiste, dunque in pratica, nel valore che ciascun dipendente aveva maturato alle predette date di soppressione con l'aggiunta, in ratei, di quanto era in corso di conseguimento, il cosiddetto maturato in itinere. Alla luce delle precisazioni di cui sopra, è intuibile come la questione RIA riguardasse molto marginalmente comparto e dirigenza SPTA e fosse, al contrario, una pregiudiziale fondamentale per la dirigenza medica e veterinaria. Per comprendere l'entità della problematica si può segnalare che per un “primario” sessantenne la RIA può raggiungere anche i 1.500 € mensili. Inoltre, nel Conto annuale 2015 il valore complessivo di tale voce risulta di ben € 1.452.410.823 (quasi un miliardo e mezzo), pari al 5,5 % dell'intero montesalari. La RIA è stata sempre ritenuta un patrimonio dei dipendenti consolidato nella massa salariale tanto è vero che specifiche clausole contrattuali prevedevano che la RIA del personale cessato dal rapporto di lavoro confluisse nel fondo per la posizione (per i medici, art. 9, CCNL del'8.6.2000 - II biennio economico). Per la verità il Ministero del Tesoro è sempre stato contrario a tale operazione ma per venti anni ciò è regolarmente avvenuto quantomeno fino al 2010 quando il decreto Tremonti ha congelato l'importo complessivo dei fondi, sterilizzando, a concorrenza, anche la valorizzazione della RIA. Ecco, dunque, spiegata l'importanza vitale della questione nell'ambito complessivo del rinnovo contrattuale dei medici.

E veniamo alle criticità anticipate sopra. Sostanzialmente si tratta di un esproprio di risorse in quanto – anche se non è difficile verificare che gli importi delle RIA dei prossimi anni saranno molto maggiori degli importi stanziati dalla legge – quello che è già evidente è che per tutto il 2018 non ci sarà alcuna risorsa che incrementi il fondo e che dal 2019 saranno disponibili 18 (diciotto !) € mensili lordi per ogni dirigente. L'altro aspetto è più complesso in quanto il comma 435 ha, come detto, l'intento di “attenuare gli effetti finanziari correlati alla disposizione di cui all'articolo 23, comma 2 …”, cioè la sterilizzazione della RIA. E negli atti parlamentari si legge a commento della norma che il citato art. 23, comma 2 “a decorrere dal 1° gennaio 2017 fissa come limite massimo per l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente ….. il corrispondente importo determinato per l'anno 2016”. Il congelamento al valore 2016 è certamente vero ma lo stesso comma 2 inizia dicendo: “nelle more di quanto previsto dal comma 1” il quale, a sua volta, rinvia la partita delle risorse destinate all'incremento dei fondi alla imminente contrattazione collettiva. Pertanto, dalla lettura coordinata dei due commi si dovrebbe dedurre che il congelamento vale per il solo 2017 e nulla impedisce al prossimo contratto di tornare sugli incrementi che, ad ogni buon conto, non sono soltanto quelli derivanti dalla RIA dei cessati ma riguardano anche, ad esempio, gli incrementi derivanti dall'aumento della dotazione organica o della qualità dei servizi, le prestazioni a pagamento ex lege 449/1997, le risorse aggiuntive regionali, le risorse finalizzate provenienti dall'Unione europea o da privati, il cosiddetto dividendo dell'efficienza. Si deve allora concludere che anche tutte queste risorse devono ritenersi perse ? Quest'ultima ipotesi è del tutto irreale non solo in termini politico-sindacali ma anche in punta di diritto in quanto lo stesso decreto 75 del 2017 all'art. 11, novellando l'art. 40 del d.lgs. 165/2001, stabilisce che agli obiettivi di performance organizzativa e individuale deve essere destinata”una quota prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti economici accessori comunque denominati”.

Come potrebbe mai essere attuata tale disposizione se i fondi contrattuali dovessero restare congelati ? Se le intenzioni del legislatore sono state davvero quelle di eliminare per sempre ogni recupero della RIA, allora si tratta effettivamente di un esproprio e la previsione di un importo forfettario – non previsto in ogni caso nel 2018 – appare certamente una soluzione a perdere. E qui si pone la seconda problematica. Il comma 435 della legge di bilancio destina gli incrementi ai “Fondi contrattuali per il trattamento economico accessorio della dirigenza medica, sanitaria e veterinaria” in modo indistinto. Orbene, ad oggi i fondi in questione sono formalmente e decisamente separati: quello della dirigenza medica e veterinaria da una parte e quello della dirigenza sanitaria – cioè biologi, chimici, fisici, farmacisti e psicologi – dall'altra, fondo peraltro ancora unico con la dirigenza professionale, tecnica e amministrativa. Per non parlare dei fondi della dirigenza infermieristica e tecnico-sanitaria che molte aziende sanitarie non hanno nemmeno mai costituito. Come e quando saranno suddivisi per i vari profili ? Vale la pena di ricordare, a tale proposito, che la RIA dei medici è nettamente più alta del resto della dirigenza sanitaria, per cui l'operazione sarà estremamente complessa. Con buona pace dei dirigenti PTA e dell'intero comparto che non beneficeranno più della RIA dei cessati.

In conclusione, comunque la si giri, la norma della legge di bilancio non regge. Proviamo ad ipotizzare due scenari alternativi. Nel primo, i prossimi contratti collettivi riescono a salvare la RIA con la conseguenza che gli importi elargiti dal comma 435 costituiscono né più né meno un ennesimo bonus elettorale che esclude ingiustificatamente tutti gli altri dipendenti. Il secondo scenario prevede invece la morte effettiva della RIA ma, alla stessa stregua, non si comprende perché dall'operazione dovrebbero avere una “attenuazione degli effetti finanziari” solo i medici e i dirigenti sanitari, questi ultimi poi davvero non si capisce a che titolo. E pensare che il comma proclama il fine di “valorizzare il servizio e la presenza presso le strutture del Servizio sanitario nazionale”; e, allora, chi avrebbe più motivi per essere valorizzato di 350.000 infermieri ?


© RIPRODUZIONE RISERVATA