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Insufficienza intestinale cronica benigna, una «rara-non rara» che lascia i pazienti nel limbo

di Sergio Felicioni (presidente dell’associazione «Un filo per la Vita onlus»)

«La sua vita è appesa a un filo». Una frase detta e ridetta, abusata, buttata lì. Di quelle frasi a effetto che si usano senza troppo riflettere; senza pensare che una metafora può essere un dato di fatto. Una condizione. Una patologia. Lo è, certamente, per le persone affette da Insufficienza Intestinale Cronica Benigna (IICB): 800 persone colpite circa, di cui 150 bambini. Persone che soffrono di una delle più gravi insufficienze d’organo, che si verifica quando l’intestino non è più in grado di svolgere la sua funzione primaria, quella, cioè, di nutrire l’organismo. La IICB è infatti causata dalla riduzione della funzione intestinale sotto il minimo necessario per l’assorbimento di macronutrienti, tale da richiedere la supplementazione per via venosa (nutrizione parenterale), per evitare la morte per denutrizione e per mantenere lo stato di salute e crescita. Ecco perché i nostri assistiti sono legati a un filo col doppio nodo. Senza metafore. Attaccati anche per 24 ore alle sacche che li nutrono, mantenendoli in vita.

Spiegare cosa significa dipendere da un filo non è semplice. Una nostra associata, affetta sin dalla nascita da IICB, alla nostra domanda sulla percezione della malattia ci ha risposto: «Una parte di me. Io sono anche la mia malattia». Questa risposta è esplicativa di quanto il filo sia un’appendice della persona, quanto sia umanizzato. Un salvavita, certo, eppure un fardello. Il peso della malattia è evidente nelle limitazioni, nella gestione del quotidiano, nella difficoltà di accesso a percorsi diagnostici e terapeutici codificati, nell’impossibilità – per molti dei nostri associati adulti – di entrare a far parte (o continuare a far parte) di un contesto socio-lavorativo. Non parlo solo dei pazienti, ma anche dei caregiver: genitori che non possono tornare al lavoro, che non ricevono assistenza, che si ritrovano – soli – a dover gestire qualcosa che è più grande di loro. Lo dico da padre, anche. Non è facile.

Problematiche, queste, che dipendono in parte dalla rarità della IICB, caratteristica che la rende sconosciuta o semisconosciuta a molte figure professionali del Sistema sanitario nazionale, soprattutto perché non esiste un “codice nosologico” che ne consenta “l’identificazione amministrativa”.

Insomma, sebbene sia inserita nella lista europea delle malattie rare (Orphanet) è a tutti gli effetti una malattia rara-non-rara, condizione che colloca i nostri pazienti in una sorta di limbo in cui risultano invisibili. La rarità, la complessità e il mancato riconoscimento di malattia rara sono le criticità della IICB che espongono i pazienti a trattamenti tardivi, inefficaci, rischiosi e disomogenei sul territorio nazionale, negando loro pari opportunità di accesso a cure appropriate. Il riconoscimento della IICB come malattia rara con il relativo protocollo diagnostico-terapeutico-assistenziale sarebbe un grande passo verso la soluzione di tali criticità. Ed è ciò per cui la nostra Associazione – Un Filo per la Vita Onlus – si batte da anni.

La gestione della IICB è complessa e richiede operatori sanitari con conoscenze ed esperienza specifiche. Il riconoscimento di malattia rara permetterebbe, almeno in parte, di rimediare a queste lacune e alle problematiche che ne derivano: dalle difficoltà da parte del singolo medico di sviluppare un’esperienza clinica efficace all’assenza di percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali codificati, dalle difficoltà di accesso a una appropriata tutela sanitaria e socio-lavorativa alla disomogeneità di trattamento sul territorio nazionale, fino alle disparità di accesso a cure appropriate da parte di cittadini affetti dalla medesima insufficienza d’organo.

Questo riconoscimento apporterebbe enormi benefici non solo ai pazienti, ai quali garantirebbe la certezza di poter accedere ai Centri Nazionali IICB e di ricevere una Npd (nutrizione parenterale domiciliare) adeguata, nel rispetto della uguale opportunità di accesso alle cure da parte del cittadino, ma anche ai Centri di riferimento.

Tra le questioni irrisolte va sicuramente citata, inoltre, la necessità di includere, parallelamente al percorso di riconoscimento della IICB quale malattia rara, il riconoscimento dei provvedimenti terapeutici necessari per il suo trattamento nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza (Lea). Il nostro impegno prosegue dunque in questa direzione, al fine di garantire – insieme ai progressi e ai risultati ottenuti dalla ricerca - una migliore qualità di vita dei pazienti con Insufficienza Intestinale Cronica Benigna.


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