Dal governo

Payback e innovazione, Alberto Chiesi: «Più dialogo tra governo e industria. Senza un sistema attrattivo, investimenti a rischio fuga»

di Rosanna Magnano

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24 Esclusivo per Sanità24

«Riforma del payback e nuova governance sono temi strategici per il settore farmaceutico e andrebbero trattati coinvolgendo tutti gli attori interessati. Anche perché è una delle priorità del mondo produttivo avere stabilità e certezze delle regole. Se dovesse perdurare lo stallo attuale, è chiaro che tra le conseguenze potremmo vedere a breve e medio termine un calo degli investimenti nel nostro Paese, sia nella componente industriale sia nella ricerca e nello sviluppo, quindi nella creazione di innovazione ». A dirlo sono i vertici di Chiesi farmaceutici, due generazioni diverse unite da obiettivi comuni, il Ceo Ugo di Francesco e il presidente Alberto Chiesi, cavaliere del lavoro dal '93, fondatore - insieme con il fratello Paolo Chiesi - del Gruppo con sede centrale a Parma, che nel 2017 ha messo a segno un fatturato complessivo di 1,7 mld, in crescita sulle tre principali aree di azione, respiratorio, neonatologia, special care e malattie rare, in cui il gruppo vanta una posizione di leadership. «Auspichiamo un maggior dialogo - sottolinea il presidente Chiesi, classe 1938, farmacologo e chimico - non solo perché è utile alle aziende, ma anche perché è utile agli stessi decisori conoscere direttamente le situazioni delle imprese, quello che possono dare, come possono collaborare. Dialogare al giorno d'oggi è assolutamente necessario. E ci aspettiamo che in un prossimo futuro si intensifichi lo scambio con questo Governo».

Obiettivo: creare una logica di sistema
L'obiettivo più generale è che si crei una «logica di sistema» centrata su tre strumenti principali: il patent box, la protezione brevettuale e gli incentivi alla ricerca, come il credito d'imposta. «Quando si parla di sistema - spiega il Ceo, Di Francesco - si parla di sostenibilità economica del rimborso ma anche di sostegno all'innovazione. Su payback e governance c'è una piena disponibilità dell'industria nella ricerca di una soluzione».

Ma i primi segnali che emergono dalla proposta di legge sulla Manovra 2019 non sono positivi: «Negli incentivi alla ricerca farmaceutica e biotecnologica l'Italia è indietro rispetto ad altri Paesi europei», chiarisce il presidente Chiesi. «L'Italia aveva fatto una legge sul credito d'imposta e adesso lo vogliono dimezzare. Era già ai livelli più bassi in Europa, ora però diventa una cosa senza più effetto. Lo stesso sul patent box: una legge che avrebbe dovuto premiare gli investimenti in ricerca, che portano allo sfruttamento di brevetti sul piano internazionale, alla farmaceutica non ha portato nulla. Il nostro settore non ha visto nemmeno un'approvazione e le aziende non sono state neanche chiamate a discutere. È un atteggiamento di grave discriminazione. Se la linea resterà questa , non c'è dubbio che gli investimenti in ricerca saranno dirottati verso altri Paesi europei e non in Italia». Perché la ricerca ormai è globale. E soprattutto sul fronte della sperimentazione clinica, sottolinea Di Francesco, «i trial sono ormai tutti internazionali, con un arruolamento competitivo tra i vari Paesi».

Italia fulcro R&D
Fatta questa premessa però,l'Italia resta il cuore pulsante del Gruppo Chiesi. «Il nostro è un Paese con una ricerca di base di assoluto livello mondiale, con gli stessi standard di Paesi come gli Stati Uniti», continua il Ceo. «Il fatto che Chiesi continui a puntare sull'Italia, mantenendo nel Paese il fulcro della propria ricerca significa che ci crede. E non a caso Chiesi ha scelto di mantenere in Italia le principali attività. Siamo i primi in Italia per investimenti in ricerca e sviluppo e abbiamo l'impegno di investire anche nei prossimi anni il 20% del fatturato in R&D».

«Ma il processo di sviluppo di un farmaco è molto lungo e c'è bisogno di una visione di lungo termine, di uno snellimento delle procedure, soprattutto sulle autorizzazioni dei trial clinici, che ci metta in grado di essere competitivi con gli altri Paesi anglosassoni». Un altro tema in cui l'Italia dovrebbe crescere è la ricerca in rete. «Il networking tra accademie e startup andrebbe sviluppato. La ricerca di base deve essere più strettamente legata alle industrie, che hanno poi tutti gli strumenti per svilupparla», spiega il Ceo.

Un elemento potenzialmente destabilizzante sarebbe invece un attacco profondo alla tutela brevettuale, finalizzato al risparmio di risorse pubbliche nella fase del rimborso del farmaco da parte pubblica. «Se su un prodotto coperto da brevetto - sottolinea Chiesi - mi fanno le gare in equivalenza terapeutica con un generico, è chiaro che in questo caso la protezione viene ignorata».

Sfida innovatività
Ma la vera sfida è sui costosi prodotti innovativi, frutto di una ricerca ad alto tasso di investimenti, che mettono a dura prova la sostenibilità dei sistemi sanitari nazionali stretti tra l'esigenza di garantire l'accesso alle cure in un contesto di risorse limitate. «È vero e non possiamo negare che questi prodotti hanno un prezzo alto», ammette Di Francesco. «Ma oggi la gestione del paziente oncologico costa meno di dieci anni fa. Quindi il vero punto è di uscire dal concetto di costo della terapia per considerare il valore generato dal farmaco. E questo non lo si deve misurare solo sulla gestione di una malattia cronica o in termini di guarigione, ma anche in termini di valore portato per il sistema economico e per la società, in termini di ospedalizzazioni evitate, giorni di lavoro non persi e impatto sui budget familiari. Detto questo, l'industria è pronta a ragionare su modelli che possano affiancare il sistema universalistico, con soluzioni assicurative che possano integrare le terapie, partendo dai giovani che fanno il loro ingresso nel mondo del lavoro. E poi ci sono modelli di risk sharing e pagamento per risultato. Ci sono tante aree che possono lavorare insieme. E infine i dati della real world evidence, la reale pratica clinica dei medici, che possono integrare quelli dei trial e aiutare questo tipo di valutazioni».

Anche i costi della ricerca sono un fronte sui cui è possibile lavorare. «Qualcosa si sta già facendo - spiega Chiesi - anche se è chiaro che i tempi sono sempre lunghi perchè giustamente le autorità regolatorie chiedono di avere riscontri certi, su un adeguato numero di pazienti, dell'efficacia e della sicurezza del prodotto. Però in alcune patologie, dal momento che ci sono già molti dati relativi a pazienti trattati con determinate categorie di farmaci da anni, si possono avere dei parametri che possono accelerare i trial clinici perché si possono mirare su certe categorie di pazienti, perché si sa già che su queste categorie speciali il farmaco potrà essere efficace. Quindi potenzialmente in futuro si potranno trattare pazienti diversi con farmaci diversi».

E il discrimine della vera innovatività è centrale. «Nel momento dell'accesso alle terapie c'è senza dubbio da considerare il valore generato dal farmaco, fermo restando il fattore fondamentale della compliance. Ma tutto questo processo sta rendendo sempre più difficile valutare l'innovazione incrementale del prodotto innovativo. A parte l'innovazione disruptive, come quella dirompente del farmaco anti Epatite C, il progresso scientifico è in genere fatto di innovazione incrementale. Un fattore che è particolarmente sotto pressione».

«Anche qui l'utilizzo dei dati sarà fondamentale», spiega Chiesi, per «valutare se il farmaco A è meglio del farmaco B».

Intanto la ricerca non si ferma. «Tra i progetti di sui quali Chiesi continuerà a puntare: la prima triplice terapia approvata al mondo per la Bpco - conclude Chiesi - per svilupparla ed estenderla a pazienti con asma. Stiamo esplorando, sempre nell'area respiratoria, anche l'ipertensione polmonare e le malattie fibrotiche, oltre che la fibrosi cistica. Nelle malattie rare, una delle collaborazioni con aziende esterne ci ha portato ad acquisire - sulla Fabry disease - i diritti per completare lo sviluppo di un farmaco di tipo globale, quindi per tutto il mondo».


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