Dal governo

Trasparenza del prezzo dei farmaci: il punto sulla lettera della Salute all'Oms

di Claudio Jommi, Patrizio Armeni, Francesco Costa, Arianna Bertolani, Monica Otto *

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24 Esclusivo per Sanità24

Recentemente il ministero della Salute ha trasmesso all'Organizzazione mondiale della Sanità una lettera in cui dichiara l’intenzione di promuovere una risoluzione finalizzata ad aumentare la trasparenza sul mercato dei farmaci, vaccini e tecnologie sanitarie. Il documento contiene diversi spunti riferiti al tema della disponibilità di dati clinici, di informazioni sulla scadenza dei brevetti, sui costi sostenuti dalle imprese, sui prezzi dei farmaci e si inquadra nelle iniziative che l’Oms ha promosso per aumentare l’equità nell’accesso a farmaci e tecnologie sanitarie, incluso il Fair Price Forum, il cui secondo incontro è previsto per l’11-13 aprile a Johannesburg dopo quello di Amsterdam, l’11 maggio 2017.
Il presupposto da cui partiamo è che la trasparenza dovrebbe essere sempre un requisito fondamentale dell’azione pubblica, a maggior ragione se si tratta di relazione con le imprese fornitrici. La ragione è che la destinazione e l’impiego di risorse pubbliche genera scelte allocative pubbliche su cui è necessario rendere conto all’intera società. Partendo da questa premessa, vorremmo soffermarci su un aspetto richiamato dalla lettera del ministro, ovvero il legame tra prezzo delle tecnologie e costi sostenuti dalle imprese. Crediamo, infatti, che il tema richieda una riflessione strutturata, in particolare su tre punti: la trasparenza sui costi delle imprese, la trasparenza sui prezzi effettivi e l’estensione del concetto di trasparenza che si deduce da quanto comunicato.

Con riferimento al primo punto, la comunicazione del ministero include l’invito ad aumentare l’informazione sui costi sostenuti dalle imprese (in particolare di ricerca e sviluppo, ma vengono richiamate anche produzione, informazione e commercializzazione dei farmaci). Questo, nell’intenzione della Salute, renderebbe più agevole valutare le politiche finalizzate a remunerare gli investimenti effettuati dalle imprese, anche in termini di pricing dei farmaci. A questo proposito, si osserva come esistano stime sui costi di ricerca e sviluppo per farmaci, stime che hanno sollevato un dibattito acceso in seno alla comunità scientifica e dei practitioner e delle quali si riferisce in sintesi nel capitolo di un recente testo dedicato alla gestione dello sviluppo clinico dei farmaci , oltre che nel documento preparatorio allo stesso Forum sul Fair Price prodotto da un Advisory Board tecnico. Crediamo sia opportuno focalizzarsi sul dibattito in corso in merito alla robustezza delle stime, sugli effetti inflattivi generati dalla capitalizzazione dei costi, sul contributo che indirettamente il sistema pubblico dà alle imprese per la R&S (e quello che le imprese danno per la R&S a promotore pubblico e non profit). Quindi, l’identificazione corretta dell’ammontare di questi costi non è metodologicamente immediata né è, ad oggi, rintracciabile un consenso unanime sulla corretta definizione dello sforzo economico sostenuto dalle imprese. Inoltre, l’eventuale esercizio di ricostruzione dei costi finalizzato alla definizione del prezzo comporterebbe una forzatura tecnica nell’attribuzione ad un Paese specifico di costi sostenuti dalle imprese soprattutto a livello globale. Per queste ragioni, suggeriamo di evitare un ritorno a una logica del pricing dei farmaci basato sui costi sostenuti dalle imprese, logica ad alto rischio di inaffidabilità tecnica e che, peraltro, premia il processo (sforzo economico) e non il risultato (valore). L’Italia, così come Francia e Spagna, ha infatti abbandonato la logica della determinazione dei prezzi sulla base dei costi (in Italia, il Metodo CIP Costi) da oltre venti anni. Il motivo contingente per cui questo è avvenuto in Italia è legato a malpratiche che si erano radicate nel sistema, ma la motivazione reale è che si è voluto gradualmente avvicinarsi (pur senza ancora raggiungerlo completamente) ad un sistema di pricing che premi il risultato e non il processo (prezzo basato sul valore) e che assicuri la coerenza con le risorse disponibili. Meglio quindi investire di più su un legame strutturato tra il prezzo dei farmaci e il loro valore incrementale, sotto il vincolo di sostenibilità, che sulla coerenza tra il prezzo dei farmaci e i costi sostenuti dalle imprese.

Il secondo punto riportato nella lettera è la volontà di avere più trasparenza sui prezzi, con riferimento ovviamente ai prezzi effettivi realmente riconosciuti ex post, ovvero al netto degli effetti di accordi negoziali finanziari (sconti su prezzo di listino, accordi prezzo/volume, copertura dei costi dei primi cicli di terapia, tetti di spesa per prodotto o per classe terapeutica) o collegati all’esito (essenzialmente payback da parte delle imprese in caso di mancata risposta del paziente). Anche su questo aspetto, la posizione del Ministero merita una riflessione più approfondita, partendo da tre domande. Perché si sono diffusi tali accordi? Quali effetti avrebbe la mancata confidenzialità di tali accordi? Quanto questi accordi sono realmente confidenziali?
Sul primo aspetto esiste un’ampia letteratura che evidenzia vantaggi e limiti di tali accordi, limiti (o complessità) riferiti soprattutto agli accordi outcome-based . La loro origine nasce dal mutuo vantaggio di pagatori ed imprese di rendere il farmaco accessibile ad un prezzo coerente con il valore e le risorse disponibili, risorse che dipendono dall’effettiva ricchezza del sistema-Paese e dalle scelte allocative a favore dei diversi ambiti di spesa pubblica. Gli accordi outcome-based hanno poi l’obiettivo, in una situazione di incertezza sul valore del farmaco al suo lancio, di collegare effettivamente il rimborso al suo valore in real life. La coerenza tra prezzo e valore dipende inevitabilmente dalle potenzialità e volontà di spesa dei diversi governi, con il risultato che il prezzo ottimale che coniuga il valore e la disponibilità varia idealmente in modo significativo tra Paese e Paese. Ora, le imprese fornitrici tendono ad uniformare le strategie di pricing per area geografica al fine di limitare flussi di importazioni parallele attratte da differenziali di prezzo troppo elevati rispetto a Paesi limitrofi. Per venire comunque incontro alle differenti disponibilità a pagare, imprese e governi hanno adottato lo strumento degli accordi confidenziali. Se tali accordi (ad esempio, uno sconto) fossero pubblici, vi sarebbe il rischio di una spirale al ribasso dei prezzi, con i pagatori dei Paesi più ricchi o con vincoli meno stringenti sulla disponibilità di risorse che guarderebbero ai prezzi più bassi prevalenti sui mercati internazionali. Questo potrebbe danneggiare proprio i Paesi meno ricchi (e più piccoli) o con vincoli più stringenti sulle risorse disponibili, in quanto, diventando questi un benchmark di riferimento per i prezzi, il lancio di farmaci o la stupula di accordi potrebbero essere rallentati.
Quanto alla reale confidenzialità di accordi e sconti confidenziali, si ricorda che: (i) gli sconti confidenziali in Italia sono noti (a livello nazionale) a tutti coloro che acquistano i farmaci (il prezzo base d’asta di una gara è il prezzo al netto dello sconto confidenziale negoziato con l’Aifa) e gli accordi di rimborsabilità condizionata sono accessibili (con alcune eccezioni: non lo sono stati, ad esempio, in fase iniziale gli accordi prezzo/volume collegati ai farmaci per Epatite C) a clinici e farmacisti che gestiscono i registri farmaci; (ii) i bandi di gara (o le eventuali trattative negoziali pubblicate in Gazzetta Ufficiale) rendono parzialmente visibili anche al pubblico generale gli effetti di tali accordi: nel bando viene, infatti, esplicitato il prezzo base d’asta; (iii) è, infine comunque noto l’effetto di tali accordi a livello finanziario aggregato, che l’Osservatorio Farmaci del Cergas, attraverso dati pubblici, ha stimato nel 37% del valore di acquisto rispetto al prezzo pubblicato in Gazzetta Ufficiale per i farmaci acquistati dalle aziende sanitarie/regioni, di cui il 25% come effetto di sconti nazionali ed extra-sconti in sede di gara, il 10,3% come effetto di altri accordi finanziari, quali gli accordi prezzo/volume o i payback collegati agli sfondamenti del tetto di spesa sugli acquisti da parte di aziende sanitarie e di tetti di prodotto e l’1,7% come effetto del payback associato ad accordi outcome-based . Anche in merito alla trasparenza su sconti e accordi di rimborsabilità condizionata è importante incanalare il dibattito nell’ambito di ciò che proprio l’Oms e il Fair Pricing Forum hanno considerato come primo step desiderabile, ovvero la semplice segnalazione dell’esistenza di un accordo negoziale (essendo il suo contenuto confidenziale), cosa che in Italia e UK è possibile, visto che è dichiarato, rispettivamente, nella Determina di P&R e nella lista dei prodotti soggetti ad accordi commerciali. Da un lato, pertanto, è bene che sia mantenuto un livello ufficiale di confidenzialità, e dall’altro è da evidenziare come le informazioni complete siano già a disposizione degli operatori e siano conoscibili, nei loro effetti (oltre che, in parte, nei dettagli) al pubblico generale.
Un ultimo elemento di approfondimento che vale la pena di aggiungere, e che purtroppo non è ancora stato evidenziato in merito alla posizione del Ministero, è l’opportunità di avere una visione più forte ed estesa del concetto di trasparenza. Finora ci si è focalizzati prevalentemente sulla prospettiva di trasparenza sui prezzi e, sebbene, per i motivi sopra specificati, non si condividano alcune riflessioni sulla forma applicativa dell’aumento della trasparenza, ogni elemento che contribuisca a rassicurare che il prezzo di un farmaco sia ragionevole rispetto al suo valore ed alle risorse disponibili è da accogliere senz’altro con favore. Tuttavia, altrettanta trasparenza -e per le stesse motivazioni- è da richiedere in merito ai processi decisionali e negoziali, sia in termini di esplicitazione più dettagliata ex ante dei criteri decisionali, sia in termini di reportistica consultabile da tutti in merito alle valutazioni ed agli esiti dei processi decisionali ex post, come avvenuto per le decisioni sulla innovatività dei farmaci. Trasparenza ed apertura al mondo degli stakeholder in senso lato (ricerca, operatori sanitari, istituzioni, pazienti, imprese) e non solo ai cittadini sono poi necessarie per diversi altri aspetti: da forme di consultazione pubblica sulle scelte strategiche di policy, alla revisione dei dossier di P&R, alle modalità di partecipazione dei portatori di interesse, alle valutazione dei farmaci (chiedendosi ad esempio quale ruolo potrebbero avere le associazioni dei pazienti e non semplicemente invitandoli ad un tavolo permanente di consultazione), ad un approccio più strutturato e sistematico alla valutazione di coerenza tra prezzo (o meglio, tra impatto economico complessivo) e valore, che renda le imprese più consapevoli di cosa le aspetta in fase negoziale ed i cittadini più rassicurati sul fatto che le risorse vengano ben spese. Ciò avviene premiando il valore aggiunto (dopo aver condiviso che cosa si intende per valore aggiunto e rispetto a cosa si valuta tale valore aggiunto) e chiedendo adeguamenti al ribasso dei prezzi laddove tale valore aggiunto non sia riconoscibile.
Ormai da alcuni anni e sempre più spesso le istituzioni pubbliche insistono sull’importanza di porre la trasparenza al centro dei processi decisionali: è un passo, a nostro giudizio, molto importante, ma è un passo da declinare nel modo più appropriato possibile, soprattutto in virtù del messaggio non solo etico ma anche di policy e di priorità percepita che le azioni sulla trasparenza comunicano anche nel contesto internazionale. Sarebbe un errore, a nostro avviso, dare l’impressione che il primus movens di questa riflessione sia che lo Stato spende troppo in farmaci. Non è questa la sede per capire se si spende troppo o troppo poco, ma vorremmo ricordare che la spesa pubblica per farmaci è stata nel 2017 di circa 20 miliardi di euro, che dal 2001 la spesa farmaceutica pubblica è cresciuta in media del 2% annuo contro il 2,7% della spesa sanitaria pubblica (al netto della farmceutica) e che dal 2010 entrambe sono cresciute dello 0,8%; e questo senza considerare gli effetti degli accordi negoziali che prevedono forme di payback a carico dell’industria. In conclusione, se la trasparenza è da accogliere con favore incondizionato come direzione di miglioramento dell’azione pubblica, le sue forme applicative ci sembrano non del tutto consapevoli delle informazioni che già sono disponibili e migliorabili strategicamente nelle richieste inerenti i costi dell’industria e la negoziazione dei prezzi. Ci permettiamo inoltre di suggerire un aumento della trasparenza sulla struttura delle decisioni di rimborsabilità e sulle motivazioni a esse sottese.

* Osfar - Osservatorio Farmaci (Cergas -Università Bocconi)


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