Dal governo

L'Istat nel Report Bes: il Covid ha riportato la speranza di vita al 2010. Al Nord 1,5 anni di vita in meno. Impatto del 50% sulle rinunce alle cure (che crescono del 6,3%)

di Barbara Gobbi

S
24 Esclusivo per Sanità24

Il Covid ha tagliato di netto l'incremento di speranza di vita alla nascita degli anni 2010-2019. È questo il dato più dirompente che emerge dal capitolo Salute dell'8° Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) dell'Istat. L'evoluzione positiva della speranza di vita alla nascita tra il 2010 e il 2019 - si legge nel Report - pur con evidenti disuguaglianze geografiche e di genere, è stata duramente frenata dal Covid-19 che ha annullato, completamente nel Nord e parzialmente nelle altre aree del Paese, i guadagni in anni di vita attesi maturati nel decennio». Nel Nord la speranza di vita passa da 82,1 anni nel 2010 a 83,6 nel 2019, per scendere nuovamente a 82 anni nel 2020. Nel Centro passa da 81,9 nel 2010 a 83,1 anni nel 2020 e nel Mezzogiorno da 81,1 a 82,2 anni, con perdite meno consistenti nell'ultimo anno (rispettivamente -0,5 e -0,3 anni). Ed è «un arretramento non ancora concluso, e che richiederà tempo per essere pienamente recuperato». Peggiora anche l'indice di salute mentale, che nel 2020 si attesta sul valore di 68,8. Rispetto al 2019 peggiora la situazione delle persone di 75 anni e più di entrambi i generi e delle persone sole nella fascia di età 55-64, soprattutto al Nord. L'indice di salute mentale peggiora anche tra le giovani donne di 20-24 anni e in Lombardia, Piemonte e Campania che, con il Molise, presentano i valori più bassi. In miglioramento il dato sulla mortalità evitabile: nel 2018 era pari a 16,8 per 10mila residenti, con valori più alti tra gli uomini (22,3 per 10mila abitanti contro 11,8 delle donne). Forte la riduzione nel tempo: la mortalità evitabile era pari a 23,5 per 10mila nel 2005.
«Nel 2020 - scrive ancora l'Istat nel Report sul Bes - un cittadino su 10 ha dichiarato di aver rinunciato, negli ultimi 12 mesi, a prestazioni sanitarie per difficoltà di accesso, pur avendone bisogno. Il forte aumento (6,3% nel 2019) è certamente straordinario: oltre il 50% di chi rinuncia riferisce infatti motivazioni legate alla pandemia da Covid-19». L'istat riporta anche una riduzione dei posti letto nei reparti a elevata intensità assistenziale tra il 2010 e il 2018 (da 3,51 per 10mila abitanti a 3,04) e una crescita costante del tasso di mobilità per motivi di cura dalle regioni meridionali e dal Centro tra il 2010 e il 2019 (da 9,2 a 10,9 ogni 100 dimissioni di residenti nel Mezzogiorno, da 7,4 a 9 nel Centro). Bilancio anche sul personale sanitario del Paese: nel 2019 sono circa 241mila (tra specialisti e di base) e i pediatri di libera scelta che svolgono la loro attività nel sistema sanitario italiano pubblico e privato. Con quattro medici ogni 1.000 residenti, il nostro Paese si colloca ai primi posti in Europa ma i medici - scrive l'Istat - sono mediamente più anziani con uno su due che ha più di 55 anni. L'Italia è inoltre agli ultimi posti in Europa per dotazione di infermieri: circa 6 ogni 1.000 residenti. Infine, la desertificazione della medicina di famiglia che comporta un aumento degli assistiti: oltre un terzo dei medici di medicina generale (34%) supera i 1.500 assistiti nel 2018, quota più che raddoppiata rispetto al 15,9% del 2005.


© RIPRODUZIONE RISERVATA