Dal governo

La digitalizzazione nella sanità, un percorso tra falsi miti ed opportunità

di Donato Scolozzi*

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24 Esclusivo per Sanità24

Paragono sempre il nostro Ssn alla “Canestra di frutta” di Caravaggio. Un’opera d’arte che adoro. Nel corso di quest’anno il nostro SSN ha retto. Ascoltiamo quotidianamente chi parla della mela bacata o delle foglie secche e bucate da insetti. Ma il nostro Ssn ha retto. Bisogna dargliene merito e ringraziare tutti coloro che hanno lavorato perché potesse reggere.
Il Next Generation EU potrebbe chiamarsi “Next Generation Italia” data la percentuale di fondi messi a disposizione per il nostro paese (il 37,2% delle richieste degli stati membri). Parliamo di ulteriore debito e quindi di una grande responsabilità nei confronti della Next Generation. Prima dell’arrivo della nuova variante le stime disponibili sul ritmo di crescita annua del PIL erano superiori al potenziale almeno fino al 2025 quando, qualora non vengano attuate le Riforme necessarie, potrebbe tornare ai livelli a cui ci eravamo abituati negli ultimi anni. Da quel momento potremmo tornare a parlare di “tagli alla sanità” e speriamo di no anche di “piani di rientro”.
Le proiezioni ISTAT appena pubblicate, inoltre, sono di fatto la presa d’atto di un paese in crisi demografica. In 50 anni, quando toccherà ai nostri figli aver bisogno del SSN, saremo 12 milioni in meno ed il rapporto tra ultra 65enni e popolazione attiva supererà il 60%. Un Italia che si spopola ed invecchia non lascia molto scampo ad un sistema sanitario come il nostro.
Dobbiamo far diventare la sanità (o meglio l’ecosistema salute) un settore chiave dello sviluppo economico del Paese e non un costo. Come?
La risposta, in parte, ce la suggerisce la pandemia. Il paese è competitivo se abbiamo a disposizione cure efficaci, risorse umane motivate a prendersi cura di noi ed una comunità che collabora adeguando le proprie abitudini. Quindi: 1. Outcome; 2. risorse umane; 3. prevenzione.
Attenzione però che a volte ci si lascia trasportare dall’emotività in parte e forse da qualche pregiudizio.

L’efficacia delle cure. Sul tema per troppi anni abbiamo ipotizzato un disinteresse pubblico su dati di interesse pubblico. Ancora oggi in parte lo stiamo facendo e non solo e non tanto quanto si parla della pandemia. Tuttavia, chi lo avrebbe mai detto che avrei sentito gli amici al bar parlare di “ERRECONTI”. La trasparenza aiuta non spaventa. Certo obbliga ad una coerenza tra scelte ed esiti. Il vaccino blocca la diffusione del virus, è successo! È facile da dimostrare andando a cercare i dati su positivi e decessi di un anno fa. Se pubblichi i dati anche i giornalisti se ne interessano e ci aiutano a diffonderli.

Le risorse umane. Gli assetti produttivi delle aziende sanitarie hanno mostrato durante l’emergenza una duttilità che pochi avrebbero previsto. Ho passato molto tempo l’anno scorso presso alcune grandi aziende ed in alcune regioni, ho assistito a scelte importanti quanto difficili. In quelle ore ho personalmente avuto la possibilità di vedere manager, medici, infermieri, tecnici adottare delle decisioni in tempi a cui non eravamo abituati. Ho visto manager cercare ogni oncia di intelligenza presente nella stanza a prescindere da chi fosse a parlare. Il dialogo tra chi aveva il dovere di decidere e “la linea”, i reparti, era continuo. Agli occhi di tutti era evidente che l’apparato procedurale ed amministrativo a cui eravamo abituati non rispondeva né alla difesa dei diritti né al buon funzionamento aziendale e che l’unica cosa intelligente da fare era aumentare il livello di informazioni disponibili, parlarsi e condividere le scelte e quindi adottarle.

La comunità. Gli anziani non sono malati. È vero il contrario: i malati sono anziani. Prevalentemente ma non solo. Sono certamente soggetti più fragili. Pensate alle discussioni dei primi giorni di pandemia: solo perché molti dei deceduti avevano una malattia cronica sembrava fossero persone la cui morte fosse ormai un evento imminente tanto da far apparire il virus una semplice influenza. Ebbene si, gli anziani sono una parte importante della nostra comunità e vogliono vivere. Gli anziani partecipano attivamente alla vita della comunità, gli abbiamo visti volontari nei centri vaccinali, gli abbiamo visti rientrare in servizio in ospedale per dare una mano e ci siamo resi conto della loro assenza nelle nostre case mentre tornavamo ad occuparci dei nostri bambini. Diciamocelo noi degli ultrasessantacinquenni, a furia di guardarli dal buco della serratura dei dati epidemiologici, sappiamo proprio poco, e, nonostante ciò, intendiamo disegnare dei modelli di servizio che li coinvolgano in progetti di prevenzione primaria.Noi crediamo che la trasformazione digitale abiliti il passaggio da ciò che pensiamo a ciò che sappiamo, e pensiamo che questo sia un passaggio necessario se vogliamo che l’ecosistema salute possa essere considerato un settore chiave per lo sviluppo del paese. Questo passaggio, però non avviene “automaticamente”. Molti sono gli esempi nel passato in cui la Sanità non ha approfittato di ondate di informatizzazione di processo per consentire un significativo incremento delle possibilità di governo. Questo obiettivo non lo si raggiunge se non lo si prevede in fase di concezione.Approfittiamo della digitalizzazione per misurare l’esito delle prestazioni (degli interventi chirurgici ma anche dei prodotti farmaceutici) questo ci consentirà di orientare ogni euro verso le cure che hanno un impatto positivo sulla vita dei pazienti e quindi sul benessere e sullo sviluppo del paese. Facciamocelo dire anche dal paziente indagando la percezione che quest’ultimo ha sul suo stato di salute, il livello percepito di menomazione, la disabilità e la qualità della vita. Non limitiamoci alla mortalità a 30giorni. Approfittiamo della digitalizzazione per imparare a conoscere le aspirazioni delle nostre risorse umane. Da una survey sviluppata negli Stati Uniti capiamo cosa si aspettano gli infermieri dopo la pandemia: 1. Che la salute ed il benessere del comparto torni una priorità. 2. Che vengano adottati meccanismi che favoriscano la flessibilità dell’orario di lavoro. 3. Che si ripensino i modelli di servizio. Si pensi alle piattaforme di telemedicina, che potrebbero consentire anche agli infermieri di lavorare da remoto. 4. Che si inizi a lavorare per costruire le competenze necessarie per il futuro.

La declinazione di queste strategie a livello locale o lo sviluppo di strategie alternative con la leadership aziendale dovrebbe aumentare da un lato l’engagement di queste preziose risorse dall’altro consentirci di reclutarne di nuove rendendo più attrattivo il loro mestiere. Approfittiamo della digitalizzazione per imparare a conoscere gli ultrasessantacinquenni. Non è più tempo di restare ancorati al concetto di “three-stage view of life” (“Education – Career – Retirement”) che deriva dall’opera di Modigliani. La vita non dura più 75 anni ed è evidente che gli anziani non sono come ce li immaginiamo. Quando parliamo di casa della comunità, se non vogliamo riproporre modelli ormai “obsoleti”, dobbiamo studiare la longevità e come sta cambiando le nostre comunità locali. Quindi proporre nuovi modelli di servizio per la prevenzione. Le comunità locali, quelle che frequentiamo non sono fatte di persone che amano sentirsi chiamare pazienti, e neanche anziani.

Secondo un sondaggio, solo il 35% delle persone con più di 75 anni ha affermato di sentirsi "anziano". E questo è un problema, perché il 100% delle persone capisce che alcuni servizi sono pensati per gli anziani. Facciamo l’esempio dei ciondoli personali per le emergenze. Questi oggetti sono per gli anziani. Quando un prodotto è per "anziani", l'utente, qualunque sia la sua età, se non si considera "anziano", non lo comprerà. Forse glielo comprerà suo figlio, forse contro la sua volontà, ma anche in questi casi, è improbabile che l'utente sia personalmente coinvolto nell'utilizzo di quel dispositivo ogni giorno, e quindi la sua efficacia ne risentirà. Partiamo dalla consapevolezza che se consideriamo gli ultra-sessantacinquenni “anziani” e “pazienti” non li conosciamo abbastanza.

Onestamente non pensiamo che la digitalizzazione sia la soluzione per tutto, consentitemi di paragonarla all’albatro de “La ballata del vecchio marinaio” di Coleridge. L’immagine è quella di una nave immersa nella nebbia e sferzata dalla neve su cui si poggia in tutta la sua regale eleganza un albatro. Un’apparizione divina, che può guidare la nave fuori dall’inferno glaciale. Li finisce male, purtroppo. Il vecchio marinaio, senza svelarne la ragione, scocca un’implacabile freccia che abbatte l’albatro. La digitalizzazione rappresenta un’opportunità per far diventare l’ecosistema salute un settore chiave per lo sviluppo del paese e non un costo. Serve guardare agli esiti delle prestazioni più di quanto già facciamo, dobbiamo prenderci cura di chi si prende cura di noi e iniziare a pensare alla popolazione over sessantacinque senza pregiudizi per intercettare le loro abitudini di vita e lavorare insieme sulla prevenzione.

* partner Kpmg
(Intervento presentato al X Healthcare Summit del Sole-24Ore)


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