Dal governo

Il ruolo del distretto nel "Dm 71" e il caos tra norme quadro, leggi regionali e atti aziendali

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Sembra davvero in dirittura di arrivo il "Dm 71" che dovrebbe realizzare la Missione 6 del Pnrr, prevedendo standard organizzativi, quantitativi, qualitativi e tecnologici ulteriori rispetto a quelli previsti dallo stesso Pnrr e per la prima volta un decreto regolamentare avrà piena copertura finanziaria. I punti di specifico intervento sono elencati nei 15 paragrafi del documento – rispetto al quale come noto in assenza del via libera da parte della Conferenza Stato-Regioni il Governo ha deciso di procedere con una Delibera sostitutiva, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 3 maggio - e spiccano subito interventi e figure istituzionali del tutto innovative: casa della comunità, infermiere di famiglia o comunità, unità di continuità assistenziale, centrale operativa territoriale, ospedale di comunità, telemedicina. Tutte queste attività sono strettamente connesse al modello organizzativo "distretto". Può essere utile, a tale proposito, riassumere la normativa che disciplina questo fondamentale snodo della organizzazione aziendale.
Il distretto è una delle macro strutture delle aziende sanitarie ed è senz’altro la più importante del territorio. Il distretto è la struttura operativa mediante cui l'Azienda sanitaria locale – non è quindi presente nelle aziende ospedaliere - assicura la risposta unitaria, coordinata e continuativa ai bisogni di salute della popolazione di un dato territorio mediante il governo della domanda sanitaria e l’organizzazione dell'assistenza primaria erogata dai servizi territoriali di competenza; la norma legislativa di riferimento è l’art. 3-quater del d.lgs. 502/1992, come inserito dall’art. 3 del d.lgs. 229/1999, il decreto delegato Bindi, in ottemperanza alla delega di cui al punto bb) dell’art. 2 della legge 419/1998. Riguardo alla sua individuazione e organizzazione, la norma sopra citata rinvia alla legge regionale la disciplina dell'articolazione in distretti dell'unita' sanitaria locale. In particolare, il distretto è individuato dall'atto aziendale, garantendo una popolazione minima di almeno sessantamila abitanti, salvo diverse motivate determinazioni della Regione. Nell'ambito delle risorse assegnate, il distretto è dotato di autonomia tecnico-gestionale ed economico-finanziaria, con contabilità separata all'interno del bilancio della Asl.
Abbiamo quindi una normativa-quadro nazionale e quella di dettaglio dettata dalla legge regionale nonchè, a valle di tutto ciò, le determinazioni sul campo dei singoli Atti aziendali delle Asl. Nei contratti collettivi il distretto è citato come una delle tipologie di incarico ma è forse la più singolare di tali tipologie perché non viene fissato uno standard univoco ma si lascia all’autonomia aziendale la qualificazione del livello di incarico di natura gestionale che comporta. Infatti, l’art. 18, comma 1, punto I), quarto capoverso, del Ccnl del 19.12.2019 della dirigenza sanitaria stabilisce che «l’incarico di direzione di distretto sanitario di cui al D.Lgs. n. 502/1992 è equiparato, ai fini della retribuzione di posizione di parte fissa, all’ incarico di struttura semplice, anche a valenza dipartimentale o distrettuale, o all’incarico di struttura complessa in base ad una scelta aziendale»: dunque, ferma restando la natura di incarico gestionale, ciascuna azienda può optare per tre livelli di incarico per il Distretto: struttura semplice, struttura semplice a valenza dipartimentale, struttura complessa. La clausola contrattuale riportata è identica a quella prevista per la dirigenza professionale, tecnica e amministrativa (Pta) dall’art. 70, comma 1, lettera a), del Ccnl del 17.12.2020 (l’unica differenza, del tutto ininfluente, consiste nelle parole “in base all’atto aziendale” al posto di “in base ad una scelta aziendale”).
Da questi brevi cenni si è già potuto comprendere come il distretto sia un oggetto misterioso ma, se passiamo ad esaminare come si individua il suo direttore, allora la singolarità aumenta esponenzialmente. Un’altra norma del decreto 502 – anch’essa aggiunta dal decreto Bindi nel 1999 – disciplina la direzione del distretto. Si tratta dell’art. 3-sexies che al terzo comma stabilisce che “l'incarico di direttore di distretto è attribuito dal direttore generale a un dirigente dell'azienda, che abbia maturato una specifica esperienza nei servizi territoriali e un'adeguata formazione nella loro organizzazione, oppure a un medico convenzionato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, da almeno dieci anni, con contestuale congelamento di un corrispondente posto di organico della dirigenza sanitaria”. Inoltre, in piena aderenza con la ripartizione delle competenze, il successivo quarto comma precisa che “la legge regionale disciplina gli oggetti di cui agli articoli 3-quater, comma 3, e 3-quinquies, comma 2 e 3, nonché al comma 3 del presente articolo, nel rispetto dei principi fondamentali desumibili dalle medesime disposizioni; ove la regione non disponga, si applicano le predette disposizioni”.
Dal terzo comma sopra riportato si ricava che i requisiti, in pratica, sono soltanto:
1.essere dirigente di qualunque ruolo della medesima azienda; si ritiene che possano essere considerati anche i dirigenti Pta, sia perché la norma parla genericamente di “dirigente”, sia per le competenze stabilite nel comma 1 che non riguardano affatto aspetti assistenziali ma attengono a capacità direzionali, con particolare riferimento alla locuzione “gestisce le risorse assegnate al distretto”. Inoltre, il Ccnl del 17.12.2020, all’art. 70, già richiamato, tratta dell’incarico di direttore di distretto sanitario: con l’autorizzazione alla sottoscrizione il Comitato di settore ha esplicitamente ammesso che l’incarico riguarda anche la dirigenza Pta e le Regioni rappresentate dal Comitato dovevano necessariamente essere d’accordo;
2. “una specifica esperienza nei servizi territoriali” senza che venga precisato di che tipo o la sua durata;
3. “un'adeguata formazione nella loro organizzazione”, anche in questo caso senza specificare nulla in dettaglio;
4. essere, in alternativa, un medico convenzionato da almeno 10 anni, cioè Mmg, Pls, continuità assistenziale o medicina dei servizi (no altre figure);
5. in tutte le configurazioni che precedono le figure indicate devono essere interne all’azienda.
Dal quarto comma, invece, si ricava che la disciplina di dettaglio del conferimento è competenza della “legge regionale” – e, si ritiene, non di altri atti come delibera di Giunta, linee guida,, circolari, ecc. – fermo restando che se la legge regionale non dispone nulla, si applica il comma 3 così come è, lasciando quindi una grande discrezionalità al direttore generale.
Le scelte regionali risultano molto articolate in tema di titolarità del distretto. Dopo l’entrata in vigore della legge Balduzzi del 2012 e l’adozione del “Documento di Linee guida” della Conferenza delle Regioni e PP.AA. del 28 febbraio 2013 (che sulla tematica specifica non dice nulla), le singole Regioni hanno adottato le proprie linee guida che, riguardo alla direzione del distretto e all’eventuale utilizzo della procedura Balduzzi, danno il seguente report:
• Regioni che hanno espressamente detto che le disposizioni del regolamento NON si applicano per la direzione del distretto = Emilia-Romagna, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia, Umbria, Valle d’Aosta;
• Regioni che non hanno affrontato del tutto la questione = Friuli, Lazio (con le modifiche del 2019), Liguria, Piemonte, Toscana;
• La Regione Abruzzo ha rinviato alla propria legge regionale n. 5 del 10.3.2008 (punto, 5.2.3.2);
• Le Regioni Lombardia e Veneto, con una norma identica, hanno invece previsto espressamente che i dirigenti Pta potrebbero partecipare alla selezione solo in quanto non si rinvengano nell’ambito aziendale sanitari “ritenuti idonei”, condizione che dovrebbe presumere un primo avviso andato deserto ovvero che i candidati siano stati tutti giudicati inidonei alla funzione.
Sulle tematiche relative al distretto, recentemente la Regione Lombardia ha assunto decisioni epocali, viste anche le polemiche che nei due anni scorsi hanno animato la questione dell’abbandono del territorio nella Regione più popolata del Paese. Secondo quanto si legge sul sito della Regione, la pandemia ha messo in evidenza la necessità di dare una nuova organizzazione alla rete sanitaria regionale, con l’obiettivo di avvicinare il cittadino alle cure primarie e ai servizi socio assistenziali e permettergli di avere un collegamento diretto con la rete ospedaliera, in base alle sue necessità. Gli obiettivi della Regione sono del tutto coerenti con la Missione 6 del Pnrr e con quello che viene chiamato "Dm 71". È stata, dunque, approvata la Legge Regionale 14 dicembre 2021 , n. 22 (BURL n. 50, suppl. del 15 dicembre 2021 ), concernente modifiche al Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità. In breve, secondo l’art. 10 della legge, ogni Azienda socio sanitaria territoriale (Asst) si articolerà in distretti che comprenderanno una popolazione di norma non inferiore a 100.000 abitanti, tenuto conto che nelle aree montane e nelle aree a scarsa densità abitativa, il distretto potrà comprendere una popolazione di norma non inferiore a 20.000 abitanti. I distretti afferiranno direttamente al polo territoriale delle Asst e interagiranno con tutti i soggetti erogatori insistenti sul territorio di competenza, al fine di realizzare la rete d'offerta territoriale. Plausibilmente, fra pochi mesi in Lombardia si avranno un centinaio di distretti e la legge stessa ha stabilito le regole per il conferimento dell’incarico di direttore di distretto. Sempre con l’art. 10 citato, viene aggiunto un comma 7-bis alla l.r. 33/2009 che è interessante riportare per intero:
"Il direttore del distretto è scelto fra soggetti, anche medici convenzionati da almeno dieci anni, che abbiano maturato una specifica esperienza nei servizi territoriali e un'adeguata formazione. Il rapporto di lavoro è esclusivo, con limite massimo retributivo pari a quello previsto nell'azienda di riferimento per i dirigenti sanitari con incarico di struttura complessa e indennità di direzione di dipartimento. L'incarico è conferito dal direttore generale a seguito dell'espletamento delle procedure e nel rispetto dei criteri e requisiti relativi agli incarichi di struttura complessa per quanto compatibili. In caso di nomina di medici convenzionati gli stessi devono essere in possesso di un'adeguata formazione manageriale e il rapporto di lavoro è regolato da un contratto di diritto privato. I direttori nominati sono tenuti a produrre, entro diciotto mesi dalla nomina, l'attestato della formazione manageriale per dirigente di struttura complessa (DSC) ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 484 (Regolamento recante la determinazione dei requisiti per l'accesso alla direzione sanitaria aziendale e dei requisiti e dei criteri per l'accesso al secondo livello dirigenziale per il personale del ruolo sanitario del Ssn)".
La norma della L.R. lombarda è piuttosto complessa e ancor meno chiara della norma nazionale, ma si può osservare:
• il riferimento al rapporto esclusivo che è una caratteristica soltanto della dirigenza sanitaria;
• il rinvio al trattamento economico della dirigenza sanitaria;
• riguardo alle tre opzioni previste dal Ccnl, la Regione impone a tutte le Asst di identificare il distretto come struttura complessa con l’ulteriore riconoscimento della natura dipartimentale;
• la previsione di un non meglio identificato “rapporto di lavoro regolato da un contratto di diritto privato” nel caso del convenzionato; in tal senso, ad esempio, la legge regionale toscana prevede la stipula di un contratto ex art. 15-septies che, tuttavia, sarebbe vietata per la dirigenza sanitaria;
• ho dei dubbi che l’art. 15, comma 1, del DPR 484/1997 (l’acquisizione dell’attestato) possa essere esteso a questa procedura perché è una norma finale e transitoria di un decreto “dedicato” alla quale non si dovrebbe poter applicare l’istituto dell’analogia.
In ogni caso, dai criteri di scelta non risulta, in via di principio, affatto esclusa formalmente ed espressamente la dirigenza Pta. Oltre ai già ricordati elementi caratterizzanti le funzioni del distretto – che molto difficilmente possono ritenersi ricomprese soltanto in atti medici o di valenza assistenziale – ribadisco che quella del distretto è un tipo di selezione ad accesso multiprofessionale. A supporto di quest’ultima considerazione e considerate le skills che deve possedere il soggetto che va a dirigere un distretto credo che i profili del sociologo o, ancor di più, dell’ingegnere gestionale e, naturalmente, del dirigente amministrativo non abbiano nella propria professionalità nulla di meno di un dirigente medico, biologo, psicologo o quant’altro. Inoltre, passando a un aspetto più strategico, se davvero la direzione del distretto venisse riservata ai soli sanitari si dovrebbe ritenere che in pochi mesi più di un centinaio di dirigenti sanitari o medici convenzionati vengano distratti dalle funzioni di assistenza diretta territoriale o dalla convenzione di medicina generale. Poiché non sembra che gli organici della dirigenza sanitaria mostrino così tante disponibilità – nemmeno a parlarne della convenzionata, da anni carente di titolari – non sembra proprio una buona idea quella di poter pensare di escludere pregiudizialmente i dirigenti professionali, tecnici e amministrativi dalla possibilità di concorrere alla direzione distrettuale.


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