Dal governo

Dalle protesi alla fecondazione: metà Italia senza le nuove cure

di Barbara Gobbi (da Il Sole-24Ore)

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24 Esclusivo per Sanità24

Dalla fecondazione assistita all’autismo, dalle cure in esenzione per le malattie rare e nuove malattie croniche fino alla protesica. Sono trascorsi oltre cinque anni dall'approvazione a gennaio 2017 dei Nuovi livelli essenziali di assistenza (Lea), le prestazioni gratuite a carico del Servizio sanitario o a cui si accede con un ticket, eppure ancora oggi oltre metà Italia non le vede garantite, perché a bloccare la loro attuazione è il mancato via libera a un decreto che dovrebbe definire le tariffe massime e che andava emanato entro febbraio 2018. Da allora dopo vari tentativi (l’ultimo a gennaio scorso) non è accaduto nulla. E così proprio mentre il ministero della Salute mette a terra i primi investimenti del Recovery Plan per rinforzare il Ssn - dalle case di comunità alla telemedicina - milioni di italiani sono tagliati fuori da cure a cui avrebbero diritto da anni. Se i più "fortunati" riescono a usufruirne in tutto o in buona parte grazie al meccanismo degli "extra Lea", che consente alle Regioni virtuose sulla sanità di erogare prestazioni aggiuntive, ne sono esclusi gli abitanti delle amministrazioni in piano di rientro, impossibilitate per legge a offrire cure in più. A "pesare" la disparità d’accesso è l’associazione SalutEquità: un 40% di italiani (il 39%, per la precisione) - cioè quanti in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana trovano gli extra-Lea - hanno già oggi accesso a quasi tutte le nuove prestazioni introdotte nel 2017, ma un altro 40% di residenti in Abruzzo, Calabria, Lazio, Campania, Molise, Puglia e Sicilia – Regioni in piano di rientro – resta scoperto. Mentre un residuo 20% di popolazione riceve cure a geometria variabile, sulla base delle scelte locali. Un mosaico che certifica l’Italia come puzzle sanitario e fa traballare l’articolo 32 della Costituzione sul diritto all’assistenza.
Fino a oggi gli appelli per sbloccare i nuovi Lea hanno prodotto ben poco, anche se in questi cinque anni – certificano ancora da SalutEquità - sono 187 le richieste di aggiornamento arrivate al ministero della Salute, il 49% di associazioni pazienti. «C’è un triplo problema di accesso – spiega Anna Lisa Mandorino, segretaria nazionale di Cittadinanzattiva -: innanzitutto alcune Regioni non rispettano neanche i Lea ante 2017; poi, gli stessi Lea 2017, orfani come sono del decreto-tariffe e dei nomenclatori su protesica e specialistica, li troviamo solo in parte delle Regioni e sono comunque eterogenei; infine c’è un problema di innovazione, perché tutto quello che nel frattempo si sarebbe potuto aggiungere o migliorare con i 200 milioni messi a disposizione dalla legge di Bilancio proprio per aggiornare cure e prestazioni, con questo stand-by resta congelato».
Sul piatto ci sono voci come la procreazione medicalmente assistita, introdotta nei Lea proprio nel 2017 e per cui è stata da poco fissata una tariffa adeguata, una protesica più innovativa con l’introduzione ad esempio di protesi acustiche digitali, gli screening neonatali estesi per l’individuazione precoce delle malattie rare e i test prenatali non invasivi che porteranno di fatto ad abolire l’amniocentesi. E ancora, in ordine sparso, i test genomici per i tumori al seno, i test Ngs per il sequenziamento genomico dei tumori utili a evitare quando possibile la chemioterapia, o le prestazioni in più sulle malattie infiammatorie croniche intestinali. Un pacchetto corposo che le Regioni fino a oggi hanno bloccato, non dando l’Intesa necessaria a far entrare in vigore le nuove tariffe: il nodo, lamentano, sta prima di tutto nelle risorse, perché gli 800 milioni stanziati all’inizio sarebbero già stati impiegati in questi anni, con gli ultimi due per altro devastati dalla pandemia. Senza contare che il nuovo nomenclatore della specialistica, ad esempio, comprende 406 prestazioni in più per arrivare a quota 2.108. Inoltre, secondo i governatori l’adeguamento comporterebbe minori entrate da ticket con un conseguente alleggerimento delle casse regionali.
Il ministero della Salute sull’aumento del budget nicchia, ricordando la maxi-iniezione arrivata alle Regioni in questi due anni di pandemia – oltre un miliardo solo per le coperture Covid - e i 200 milioni già pronti per gli aggiornamenti. Qualcosa però si sta muovendo e dagli uffici di Speranza – determinato a portare a casa la partita - garantiscono che tutto è pronto: negli ultimi mesi una commissione ha prodotto una versione aggiornata e più fruibile del decreto tariffe, ora al vaglio del Mef. A inizio luglio dovrebbe approdare in Stato-Regioni tutto il nuovo pacchetto: sia l’atteso Dpcm con il decreto tariffe 2017 sia il decreto "bis" con gli aggiornamenti necessari. E i governatori, purché diano l’Intesa, avrebbero almeno nove mesi per adeguarsi: l’importante, spiegano dal ministero, è annunciare ai cittadini che finalmente si parte. Di certo non prima di gennaio 2023.


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