Dal governo

Il riordino della sanità: dalla crisi della pandemia al dramma di una riforma incompleta

di Livio Tronconi*

S
24 Esclusivo per Sanità24

Prendere spunto dai bisogni dei cittadini è ciò da cui dovrebbero muovere le politiche sociali, le azioni dei Governi e le legislazioni dei Parlamenti, facendo sintesi tra obiettivi di salute e sostenibilità finanziaria intergenerazionale. La crisi innescata da un fatto naturale quale è stata la pandemia ci ha mostrato di cosa sono stati capaci le donne e gli uomini che incarnano il nostro Servizio Sanitario, del sacrificio profuso sino agli eroici gesti. Questa drammatica esperienza ha reso evidente come sia stata la sintesi della messa a valor comune degli ospedali pubblici e privati a garantire ai cittadini un luogo cui approdare, mostrando nei fatti come il nostro bisogno di tutela prescinda da pregiudizi ideologici e muova da ben altro presupposto: la garanzia di vedere soddisfatta una legittima pretesa. Oggi più di ieri sono stati invece persi i capisaldi fondamentali della tutela della salute: dai tempi di attesa privati anche di una possibile data futura ai limiti posti ai cittadini per l’accesso alle cure in altre Regioni, dalla crisi delle professioni sanitarie - innescata da un’incoerente programmazione universitaria – alla fragilità con cui l’ordinamento ne difende il delicato ruolo professionale dall’avida aggressione dell’utenza.

In questo fosco scenario si sta compiendo un disarticolato, forse anche inconsapevole(!) processo di riforma, il cui fine è certamente apprezzabile, ma i cui modi e tempi ne stanno compromettendo la tenuta sociale. La sommatoria tra le previsioni pluriennali di finanza pubblica e gli obiettivi delineati e finanziati, in parte a debito, con la sesta missione del PNRR, ci consegnano un Servizio Sanitario stretto nella morsa del ferreo digiuno finanziario per i bisogni immediati dei cittadini e ubriacato da una mastodontica spesa per investimenti patrimoniali, di complessa realizzazione ed improbabile concreto utilizzo.

Volendo fare sintesi del quadro normativo in itinere, ciò che più sorprende è il testo della legge sulla concorrenza promosso dal Governo, già licenziato dal Senato, ora in celere discussione alla Camera, il quale introduce un criterio analogo alle concessioni balneari per l’affidamento dei servizi sanitari, invocando obblighi comunitari che in realtà escludono espressamente i servizi sanitari dal regime della concorrenza competitiva. È quindi utile chiedersi a cosa giovi marginalizzare l’ospedalità privata, che è storicamente parte del Servizio Sanitario, porla ora in un’arena competitiva, considerato che è accreditata nel sistema pubblico solo se garantisce i requisiti richiesti, viene remunerata solo per quel che produce, con tariffe predeterminate e imposte da ben più di dieci anni!

Il sistema che si va prefigurando si mostra del tutto incompatibile con la legittima pretesa del cittadino di esprimere una libera scelta nell’accesso alle cure presso un ospedale privato accreditato, oltre che ai professionisti cui ha affidato la propria salute. Per di più, fa sì che per affidare l’erogazione di un esame, un intervento o cos’altro muova dalla capacità di garantire una sistematica programmazione sanitaria annuale da parte di ogni Regione, sulla base di questa proceda agli accreditamenti degli ospedali privati, bandisca poi una gara per affidare i servizi, svolga le procedure di valutazione comparativa, aggiudichi la gara e stipuli infine il relativo contratto! È evidente quanto sia anacronistico pensare di efficientare in questo modo il servizio sanitario mettendo in competizione la sola componente privata, ponendola al bivio di un esito competitivo per il proprio futuro!

Pare non essere stato sufficiente aver mostrato nel corso della pandemia il proprio ruolo nevralgico nel far fronte alla cura dei cittadini, oltre al fatto innegabile di rivestire nel nostro Paese una funzione da sempre determinante nella ricerca scientifica e nell’innovazione della pratica terapeutica, oltre ad erogare milioni di prestazioni di media e bassa complessità. Solo chi vuole ignorare questi aspetti o è accecato dal pregiudizio può non vedere l’esigenza di fermare la riforma concorrenziale, quanto meno rinviandone la decorrenza di qualche anno, e nel frattempo mettere a sistema tutte le risorse possibili, pubbliche e private. L’urgenza di smaltire l’ingente mole di prestazioni sanitarie inevase è una priorità a cui i cittadini invocano una celere risposta. Nel mentre, come ogni sana e solida riforma richiede, vi è tempo per approfondire la più diffusa messa in opera del modello di riposizionamento per prossimità territoriale, alimentare le professioni sanitarie di nuove leve, rendere il nostro Paese socialmente evoluto.

*Professore di Diritto e Organizzazione Sanitaria Università di Pavia


© RIPRODUZIONE RISERVATA