Dal governo

Nuovo Governo: dal territorio al personale serve la riforma dei fatti e non promesse a lungo termine

di Ettore Jorio*

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24 Esclusivo per Sanità24

La sanità è quella messa più male di tutte le pubbliche amministrazioni. Ha gli stessi problemi degli altri quanto a burocrazia non adeguata alle esigenze reali della collettività, ad efficienza sistema dei controlli, a prevalenza degli alti burocrati, in pianta fissa ed esenti da qualsivoglia rotazione, messi lì a governare il Paese nell’assoluta prevalenza sui politici, che di cultura legislativa e amministrativa ne sanno quasi nulla, a sensibilità infine alle aggressioni corruttive.
Non solo. Ha un problema specifico, tanto rilevante e urgente così come lo è nella giustizia ove a pagare sono peraltro solo i “deboli”, di essere obsoleta e inadeguata.

I riferimenti sono buoni è il resto che non va bene
Discutendo di organizzazione sociosanitaria ci si abbraccia, per non affogare nel mare magno della disperazione, alle vecchie bandiere.
Ai meravigliosi artt. 32 e 38 della Costituzione, regalatici dai Padri costituenti che hanno imposto al legislatore ordinario la universalità delle cure e la prevalenza della prevenzione, salvaguardando la eguaglianza assoluta attraverso il finanziamento impositivo, garante dell’assistenza dei non possessori di redditi e degli inabili.
Al contenuto della stupenda legge n. 833/78, istitutiva del servizio sanitario nazionale, che ebbe ad eliminare l’atroce discrimine praticato nel sistema improntato sulle mutue, della assistenza comunale a poveri vergognosamente iscritti in appositi elenchi, a introdurre la rete dell’assistenza territoriale strutturata, affidando ad essa il bandolo della matassa della tutela della salute, considerata come l’insieme sociosanitario. A fronte di tutto questo occorre tuttavia dell’altro, a correzione delle regolazioni che l’hanno distrutta, a cominciare dall’aziendalismo. E ancora. A correzione delle piccole e angoscianti “riforme” che si è presunto di realizzare, impropriamente, con: il DM70, che di fatto ha prodotto una ri-alfabetizzazione dell’organizzazione ospedaliera e null’altro, se non di avere correttamente preteso dal privato accreditato il possesso di requisiti molto ulteriori, dei quali i presidi pubblici sono in gran parte ancora ignari; con il DM77, introduttivo delle nuove strutture distrettuali (CdC, OdC e COT) senza però implementare in tal senso la legge istitutiva dei distretti sanitari che si fosse implementata doverosamente l’art. 3 quater vigente d.lgs. 502/92.

La riforma dei fatti subito e non delle promesse a lungo termine
Insomma, la sanità è vittima della esigenza del cosiddetto “fumo negli occhi” da somministrare alla società civile che, specie a seguito dei drammi che la nazione ha vissuto a seguito delle assenze assistenziali omicidiarie di cui si sono resi responsabili alcune sanità regionali, rischia di pagare tanto e male, la solita idea dal chiaro ideale di conseguimento di un elevato corrispettivo politico.Ciò che occorre quindi non è il solito turafalle di ciò che non funziona ma una riforma strutturale seria che riporti l’organizzazione socio sanitaria a soddisfacente attuazione della legge 833/1978 attualizzata alle esigenze di oggi. Un sistema regolatorio che modifichi il tutto e che aggiusti il tiro nell’assicurare il risultato di un SSN che funzioni.

L’Unione Europa come ulteriore alleato
Oggi il PNRR ha costituito un ottimo strumento ma anche l’occasione per accecare la nazione e per imbavagliarla nelle sue massime e doverose istanze. Ha fatto in modo che tutti si sentissero protetti dagli oltre 7 miliardi messi a disposizione delle Regioni per superare la desertificazione delle periferie con circa 1360 case di comunità, 400 ospedali di comunità e 600 centrali operative territoriali. Il tutto, bene inteso, limitato all’edificazione. Al riguardo non si capisce per quando saranno pronte, atteso che gli investimenti PNRR dovranno esser completati per l’estate 2026, fatta eccezione per quelle vecchie riedizioni di vecchie strutture rivendute per tali. Cosa ben diversa è invece quella della loro godibilità sociale. Ciò in quanto - con una finanza destinata alla sanità decisamente incerta nei numeri da rendere disponibili a causa della difficile previsione dei mutati costi di funzionamento a seguito di circa tre anni di lotta al Covid – è impossibile mettere a disposizione delle Regioni, e dunque della aziende sanitarie territoriali, le finanze necessarie per l’acquisizione del personale indispensabile per l’erogazione die Lea relativi. Un compito difficile, vista la penuria dei loro conti economici e il difficile reperimento degli operatori previsti nei relativi organici, considerate le errate politiche universitarie colpevoli di non essere capaci di conoscere, affrontare la realtà e contribuire al soddisfacimento del fabbisogno utile alla realtà. Tanti i problemi che cadranno addosso al nuovo Governo, del quale non si comprende cosa e chi volere destinare ad un siffatto difficile ambito.

La Meloni & Co. avranno tanto da fare, e bene
Molti gli adempimenti cui dovrà pensare il nuovo capo del Dicastero della Salute: decreti attuativi di riparto delle risorse da impegnare per l’edificazione della anzidette strutture; documenti di previsione del costo del personale occorrente, da inserire nella prossima legge di bilancio, a quelle riciclate (e sono tante); preventivazione di quanto occorrerà per quelle di nuova generazione con previsioni in aumento di qualche miliardo; istanze all’UE per incrementare il finanziamento concesso e approvato, atteso lo spaventoso aumento di costi di costruzione; conseguente previsione di risorse da concedere ai conti economici per rendere funzionante ciò che altrimenti rischia di diventare una vergognosa collezione di cattedrali nel deserto (si veda IlSole24Ore del 18 ottobre). Su tutto: la definizione del futuro della medicina di famiglia: l’individuazione delle regole che andranno a sancire le sinergia tra le aziende ospedaliere e gli ospedali di comunità, per la parte in cui questi ultimi continueranno il lavoro delle prime magari con apposite figure professionali di raccordo; la ricodificazione dei distretti, al lordo dei compiti assegnate alle neo strutture, con l’approntamento di linee guida di cui tenere conto nella riscrittura degli atti aziendali, magari “personalizzate” dalle singole Regioni.

*Università della Calabria


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