Dal governo

Pnrr, sanità territoriale e digitale: più privato per rafforzare l’intervento pubblico

di Ettore Jorio* e Alessandro Petretto**

S
24 Esclusivo per Sanità24

La delibera dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) n. 432 adottata il 20 settembre scorso, condivisa con pareri formali resi da importanti organismi dello Stato (RGS e Dipe), lascia molto da pensare sul futuro della pubblica amministrazione, in particolare della sanità pubblica. Il provvedimento dell’anticorruzione contribuisce, difatti, a porre l’attenzione su di un coinvolgimento del privato che investa nel processo di generazione di servizi e prestazioni essenziali alla tutela della salute della collettività.
Lo spettro delle forme di una siffatta tipologia associativa è ampio e si incrementa progressivamente, anche adeguando la disciplina di quelle più tradizionali, con una sostanziale ridefinizione dei contenuti e delle condizioni della partecipazione pubblico/privata. Il tutto, con l’esigenza di andare ovviamente ben oltre ciò che afferisce al tradizionale sistema convenzionale e a quello fondato sull’accreditamento istituzionale regionale. La nuova sanità digitalizzata e ad alta tecnologia richiede volumi di investimento materiale e immateriale e tecniche di valutazione degli interventi di accrescimento dello stock di capitale impensabili rispetto alla sanità tradizionale.
Contro questa esigenza si opporrà la condizione di debolezza del sistema produttivo pubblico già avvertita con la programmazione e attuazione del PNRR che ha registrato un pesante gap organizzativo nella fase istruttoria e preparatoria delle iniziative programmate da enti locali e regionali, la loro burocrazia essendo poco avvezza ad affrontare nuovi adempimenti, specie quelli di portata più significativa. In questo contesto, l’esecuzione della Missione 6, prima e seconda Componente, del PNRR determinerà due importanti innovazioni organizzative: a) la riscrittura dell’assistenza sanitaria territoriale, attraverso l’istituzione di oltre 1350 case della comunità, 400 ospedali sempre di comunità e 600 centrali operative territoriali; b) la ricomposizione tecnologica e riorganizzativa delle strutture prevalentemente ospedaliere, tali da adattarle alle metodiche più moderne dell’assistenza domiciliare e della medicina di prossimità.
Ciò arricchirà certamente il patrimonio produttivo della salute, da un punto di vista delle disponibilità fisico-strumentali, ma comporterà da subito altrettante difficoltà sistemiche, con la necessità di trovare le disponibilità economiche, in primo luogo, per riempire le strutture del personale necessario e, in secondo luogo, per compensare gli incontrollabili aumenti dei costi di costruzione determinati dall’impennata del prezzo delle energie. Infatti, le nuove strutture del SSN avranno bisogno di tanti operatori sanitari e tecnici, forniti delle più avanzate competenze, e richiederanno un funzionamento H24 segnatamente energivoro.
Tutto questo senza contare che un siffatto intarsiamento da effettuare nella sua tradizionale organizzazione, soprattutto territoriale, comporterà una riclassificazione generale dei percorsi assistenziali, specie di quelli che normalmente separano le funzioni assistenziali delle aziende ospedaliere e universitarie nonché dei 21 Irccs pubblici (e perché no, dei 30 privati). Diventa, infatti, inimmaginabile contestualizzare l’obiettivo di ridurre il ricorso in pronto soccorso, con conseguente diminuzione del ricovero tradizionale, principalmente quello destinato a terapia e riabilitazione, senza pensare di investire tanto e bene nella messa a terra e nel funzionamento ottimale delle nuove strutture introdotte dal DM77, che comportano una vera e propria riorganizzazione industriale sul territorio dei servizi di assistenza, basata su una disaggregazione, disarticolazione e diffusione territoriale della filiera industriale tradizionale.
Dunque, anche qui, nella difficoltà di rintracciare risorse di bilancio statale, occorrerà consentire al privato investitore, ma soprattutto imprenditore riconosciuto della materia, di proporsi come partner delle principali iniziative di intervento.
La nuova assistenza territoriale - peraltro neppure codificata e ben insediata nella erogazione strutturale del distretto così come sarebbe dovuta essere implementando l’art. 3 quater del d.lgs. 502/92 e successive modificazioni – ha maggiori probabilità di partire se sarà previsto un intervento risolutore del privato imprenditore che investa sia finanziariamente che nel conferimento di buone metodologie di gestione dei servizi produttivi dei LEA. Un partenariato pubblico-privato, ben regolato e con il meglio dell’imprenditoria di settore, può fornire la forma più diretta per rendere efficiente, efficace e più economica l’offerta di salute pubblica. In altre parole più privato per rafforzare l’intervento pubblico.

* Università della Calabria
**Università di Firenze


© RIPRODUZIONE RISERVATA