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Il Papa apre ai divorziati ma ribadisce il no ad aborto ed eutanasia: «Praticare l’obiezione di coscienza»

di Carlo Marroni

Le parole decisive sono verso la fine dello sterminato documento-chiave sulla famiglia di Francesco, la Esortazione Apostolica “Amoris laetitia” che raccoglie (e va ben oltre) i risultati dei due Sinodi del 2014 e 2015, che hanno visto anche delle spaccature all'interno delle alte sfere della Chiesa. Il Papa non fissa alcun regola generale sull'accesso ai sacramenti dei divorziati risposati ma apre una porta – che finora era ben serrata – a valutazioni caso per caso, attraverso il metodo (gesuitico) del discernimento. Con il passaggio decisivo che dice: «Non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta irregolare vivano in stato di peccato mortale».
Il documento è vasto (oltre 300 paragrafi) e affronta il tema della famiglia in ogni suo aspetto, ma di certo sono una quindicina i capitoli attesi con maggiore curiosità, visto che hanno segnato forti tensioni e che affrontano temi che videro in chiusura del Sinodo di ottobre una votazione che portò ad un'approvazione a maggioranza assoluta di stretta misura per la strada di “apertura”, segno che la minoranza conservatrice e tradizionalista aveva cercato di bloccare o rallentare il processo. Il Papa si è preso più di cinque mesi per stendere il documento, presentato oggi in sala stampa dai cardinali Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, e dal cardinale Cristoph Schoenborn, arcivescovo di Vienna e uno dei protagonisti dell'assise di ottobre, visto che fu lui – teologo domenicano raffinato e anima “studiosa” del fronte progressista – a indicare la strada del “discernimento” per la eventuale riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti, quindi confessione e comunione, oltre che alle altre forme di partecipazione, come fare da padrini e madrine ai battesimi e alle cresime.

Situazioni irregolari
I paragrafi più attesi sono quelli 296-312 dell'ottavo capitolo, dove si parla di «accompagnare», «discernere» e «integrare». Non viene mai nominata l'ammissione all'eucaristia nel testo, anche se in una nota si fa riferimento ai «sacramenti». Si spiega che non sono possibili regole canoniche generali, valide per tutti: la via da seguire è quella del discernimento caso per caso. Francesco ricorda che dal Concilio di Gerusalemme in poi la strada della Chiesa è sempre stata quella di Gesù, cioè quella «della misericordia e dell'integrazione». Il Papa è chiaro: «Nessuno può essere condannato per sempre perché questa non è la logica del Vangelo! Ovviamente se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell'ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o di predicare, e in questo senso c'è qualcosa che lo separa dalla comunità». Non ci sono diritti quindi, e il Papa lo ha sempre detto specie per la comunione, rivendicata (sui media) come appunto un diritto negato. Francesco scrive che i divorziati in seconda unione «possono trovarsi in situazioni molto diverse» da non catalogare in «affermazioni troppo rigide». Una cosa, ad esempio, è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, «con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell'irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe». La Chiesa insomma riconosce situazioni in cui l'uomo e la donna, per seri motivi -come l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione». C'è poi il caso di quanti hanno fatto «grandi sforzi» per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o il caso di chi si è sposato nuovamente «in vista dell'educazione dei figli» e magari in coscienza è certo che il precedente matrimonio, «irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido». Un caso completamente diverso, invece, è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e confusione che colpiscono i figli e le famiglie intere, o la situazione di chi ha ripetutamente «mancato ai suoi impegni familiari». «Dev'essere chiaro che questo non è l'ideale che il Vangelo propone».

Non c’è una norma “erga omnes”
Il Papa nella Esortazione conferma quanto già scontato: non c'è una regola “erga omnes”, come in tanti pensavano potesse arrivare, una specie di “condono” generalizzato. Come già detto e ripetuto al Sinodo, il discernimento va fatto sempre «distinguendo adeguatamente» le situazioni, dato che non esistono «semplici ricette». Bisogna integrare i divorziati risposati nelle comunità cristiane, «evitando ogni occasione di scandalo. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali», valutando quali delle forme di esclusione «attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa». Proprio per questo, quindi, alla luce della «innumerevole varietà di situazioni concrete» non ci si doveva aspettare «una nuova normativa generale di tipo canonico applicabile a tutti i casi». È possibile invece «soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari». E «poiché il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi». I sacerdoti hanno il compito di accompagnare le persone «sulla via del discernimento», secondo «l'insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del vescovo».
Il Papa suggerisce un esame di coscienza attraverso momenti «di riflessione e di pentimento». I divorziati risposati «dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l'unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio».

Nessun sospetto di “privilegi”
Il percorso che può essere avviato con il sacerdote per un riavvicinamento ai sacramenti deve prevedere che vengano «garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio». Atteggiamenti «fondamentali» per evitare il «grave rischio di messaggi sbagliati, come l'idea che qualche sacerdote possa concedere rapidamente “eccezioni”, o che esistano persone che possano ottenere privilegi sacramentali in cambio di favori». Responsabilità e discrezione, senza la pretesa di «mettere i propri desideri al di sopra del bene comune della Chiesa», fanno evitare il rischio di «pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale». Poi il Papa si sofferma sulle ragioni che permettono un «discernimento speciale» in alcune situazioni, senza mai «ridurre le esigenze del Vangelo». Si tratta di valutare «condizionamenti» e «circostanze attenuanti. Non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale». E i limiti non dipendono semplicemente da una «eventuale ignoranza della norma». Qualcuno, pur conoscendo bene la norma «si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa». Ci possono essere cioè «fattori che limitano la capacità di decisione». Poi un chiarimento: è vero che le norme generali non possono prevedere tutto, ma allo stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma». Questo darebbe luogo «a una casistica insopportabile» e metterebbe a rischio «i valori che si devono custodire». E in definitiva un pastore «non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone». E comunque alla fine – ribadisce il Papa - nella Chiesa «deve prevalere» la logica che porta «sempre a comprendere, a perdonare, ad accompagnare» e «soprattutto a integrare». Francesco invita i fedeli che vivono «situazioni complesse» ad «accostarsi con fiducia a un colloquio con i loro pastori o con laici che vivono dediti al Signore». Non sempre «troveranno in essi una conferma delle proprie idee e dei propri desideri, ma sicuramente riceveranno una luce». E «invito i pastori ad ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone».

No ad aborto ed eutanasia, praticare obiezione di coscienza
«La famiglia protegge la vita in ogni sua fase e anche al suo tramonto. Perciò a coloro che operano nelle strutture sanitarie si rammenta l’obbligo morale dell'obiezione di coscienza - afferma papa Francesco -. Allo stesso modo, la Chiesa non solo sente l’urgenza di affermare il diritto alla morte naturale, evitando l’accanimento terapeutico e l’eutanasia - aggiunge citando la Relazione finale del Sinodo -, ma rigetta fermamente la pena di morte. Non posso non affermare che, se la famiglia è il santuario della vita, il luogo dove la vita è generata e curata, costituisce una lacerante contraddizione il fatto che diventi il luogo dove la vita viene negata e distrutta».


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