Europa e mondo
La vita dietro il filo spinato dei piccoli profughi a Idomeni. Le immagini (e l’impegno) di Save the Children
di Mariateresa Labanca
-
Anna Pantelia per Save the Children - Un padre con il figlio in giro per il campo di Idomeni Credit: Il Sole 24 Ore 1/12 -
Anna Pantelia per Save the Children@Idomeni Credit: Il Sole 24 Ore 2/12 -
Gabriele Casini per Save the Children - Tre bambine guardano oltre la rete che delimita la ferrovia. Da marzo si stima che più di 5mila bambini stiano viendo nel campo di Idomeni. Credit: Il Sole 24 Ore 3/12 -
Gabriele Casini per Save the Children- Tende piantate lungo la rete che delimita il confine con la Fyrom (Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia) nella speranza che si riaprano le frontiere Credit: Il Sole 24 Ore 4/12 -
Gabriele Casini per Save the Children- Famiglie di rifugiati in marcia lungo il confine. Credit: Il Sole 24 Ore 5/12 -
G.C.- Animatori di Save the Children. Credit: Il Sole 24 Ore 6/12 -
G.C. - Una ragazzina trascina un passeggino sulla strada fangosa tra le tende del campo Credit: Il Sole 24 Ore 7/12 -
G.C. - Uno dei 5mila bambini “prigionieri” del campo al confine tra Grecia e Macedonia Credit: Il Sole 24 Ore 8/12 -
G.C. - Bambini e orsacchiotti di peluche Credit: Il Sole 24 Ore 9/12 -
G.C. - Tende piantate lungo la frontiera, nel fango a rischio di infezioni e malattie. Credit: Il Sole 24 Ore 10/12 -
G.C. - Volontari di Save the Children distribuiscono batterie ricarcabili con l’energia solare. Nel campo non c’è elettricità, ma solo una scarsa illuminazione in alcune aree Credit: Il Sole 24 Ore 11/12 -
G.C. - Tende Credit: Il Sole 24 Ore 12/12

Non è la terra del riscatto promessa. La vita al sicuro rimane dall'altra parte della rete. Nulla possono le mani di un ragazzo avvinghiate al filo di ferro che lo tiene in gabbia. Eppure, l'amore di tre bambine - orsacchiotto in spalla - che si tengono strette davanti al confine, non si arrende difronte all'Europa matrigna che li condanna a condizioni disumane. Tra la polvere del campo migranti, anche la corsa liberatoria di un ragazzino diventa il simbolo di una speranza che non si arrende.
Sono le immagini che arrivano da Idomeni, al confine tra la Grecia e la Macedonia.
È qui che finisce la fuga da guerra e persecuzioni, ma la salvezza è ancora lontana. Da quando sono state chiuse le frontiere, migliaia di bambini vivono in trappola. Per settimane sono rimasti accampati nelle tendopoli in mezzo al fango. Ci si lava alla meglio, anche con l'acqua delle pozzanghere non ancora scure. Una bimba con scarpe evidentemente troppo strette per i suoi piedi sporchi di fango, trascina un carrozzino sul terriccio umido. Da qualche giorno la pioggia ha concesso una tregua. Ma il caldo atteso per le prossime settimane rischia di scatenare nuove emergenze sanitarie.
«La situazione si fa sempre più grave» è l'allarme di Save the children, che chiede alla Ue di sospendere il piano di rientri verso la Turchia «che sta avvenendo senza le necessarie salvaguardie per il rispetto dei diritti umani».
Gli operatori della Ong, dalla chiusura delle frontiere, sono impegnati a distribuire migliaia di vestiti, impermeabili, coperte e pasti caldi. E a garantire condizioni di vita più umane, nelle tendopoli dei profughi abbandonati. Soprattutto per i più piccoli, circa 4mila, secondo le stime della stessa organizzazione. È stata allestita un'area materno infantile, per aiutare le donne che fino a ora hanno partorito nel fango. O quelle che il figlio l'hanno perso a causa dei tanti aborti spontanei.
Nello spazio a misura di bambino di Save the children, almeno per qualche ora l'inferno di Idomeni sembra meno duro.
Sorrisi, canti e disegni per provare a difendere il diritto a un'infanzia serena che a nessuno dovrebbe essere negato. Le piccole braccia che all'indomani degli attentati del Belgio alzavano i cartelli “Sorry for Bruxelles”, possono stringere bambole e peluche. Caricano anche questo nei sacchi a spalla le famiglie che provano a forzare il confine, a tentare altre vie di fuga. Ma solo qualche giorno fa la rivolta contro la polizia è stata duramente repressa con gas lacrimogeni e pallottole di plastica. Hanno colpito anche i più piccoli. «Hanno sparato ad altezza di bambino», denunciano gli operatori umanitari.
La tensione è altissima. «Help us, open the borders», è l'urlo disperato scritto anche sulle tende, che rimangono lì, a due passi dalla rete di ferro, quasi come nella speranza che la liberazione possa arrivare da un momento all'altro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA