Europa e mondo

Il modello Beveridge traballa nel Regno Unito

di Lucio Bondì

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24 Esclusivo per Sanità24

Un sistema unico e al contempo frazionato, costituito da quattro realtà che hanno molto in comune ma anche differenze significative, di cui è difficile distinguere i rispettivi meriti e le carenze. È questo il ritratto dell’assistenza sanitaria del Regno unito che emerge dal report dell’Ocse “Reviews of health care quality: United Kingdom 2016”, pubblicato nei giorni scorsi. L’indagine, che ha già riguardato 12 Paesi, inclusa l’Italia nel 2015, rappresenta uno studio approfondito dell’offerta dei diversi membri dell’organizzazione con sede a Parigi, con particolare attenzione alla qualità delle cure e dell’assistenza e al suo miglioramento continuo nel tempo.

Il finanziamento del sistema. I quattro sistemi sanitari di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord sono tutti basati sul modello beveridgiano di assistenza universale, gratuita e finanziata dalla fiscalità generale. La spesa, che incide per l’8,5% del Pil, rimanendo al di sotto della media Ocse (8,7%), ha subìto una contrazione a partire dal 2008, dovuta principalmente alla crisi economica (grafico 1). La diminuzione delle risorse disponibili è stata però affrontata in modi diversi dai Paesi che compongono il Regno unito: l’Inghilterra, infatti, ha preferito tagliare l’assistenza sociale piuttosto che i servizi sanitari. Una scelta che, avvertono i tecnici Osce, a fronte di risparmi immediati potrebbe, nel futuro, incidere sui costi del Nhs, mentre altrove si è scelto di ripartire i tagli in modo più o meno uniforme sui due settori.

Le prospettive di spesa. Non diversamente dagli altri paesi sviluppati, il Regno unito si trova però di fronte a una sfida sulla sostenibilità a medio termine del proprio sistema sanitario. L’invecchiamento della popolazione e il diffondersi delle malattie croniche, con una particolare incidenza dell’obesità, fanno sì che già oggi il Nhs spenda il 70% delle proprie risorse per pazienti non acuti. Nel 2050, infatti, si prevede che un cittadino britannico su quattro avrà più di 65 anni, mentre una persona su dieci sarà ottuagenaria. Oggi, nella sola Inghilterra, ci sono 15 milioni di malati cronici e 3 milioni di diabetici: una cifra che, includendo i soggetti a rischio, raggiunge un totale di 10 milioni di probabili futuri pazienti. Una tendenza che vale anche per altre patologie diffuse nei Paesi sviluppati, come la Bpco o la demenza senile.
Per queste ragioni, i ricercatori Ocse ritengono che, già oggi, il sistema risulti sotto pressione: gli organici sono ritenuti troppo scarsi, soprattutto nell’ambito delle cure primarie, proprio mentre si assiste a una tendenza alla specializzazione della forza lavoro. Queste deficienze stanno evidenziando difficoltà ad offrire una assistenza di base nelle aree più remote e meno popolate del paese, ad esempio nell’estremo nord della Scozia.

Organizzazione e governance. Il modello di governance della sanità varia però da un sistema all’altro. In Inghilterra, infatti, negli ultimi anni sono nate agenzie indipendenti che hanno il compito di acquistare i servizi sanitari dai fornitori, i quali competono per vendere i propri servizi. In questo modello, le scelte dei pazienti hanno un peso rilevante, poiché a un maggior numero di utenti corrisponde maggiore finanziamento. Una separazione netta tra fornitori e acquirenti che la Scozia, al contrario, ha abolito più di un decennio fa, integrando le funzioni di indirizzo, controllo e fornitura a livello centrale. Discorso che, con lievi differenze, si ripete anche per il Galles. Questa tendenza è ancora più forte in Irlanda del Nord, dove l’assistenza sociale e quella sanitaria sono accorpate all’interno dello stesso ministero. Una continuità che poi si ripete a ogni livello di governo sul territorio.
L’Inghilterra, negli anni, ha poi plasmato un sistema sanitario sempre più centralista: i diversi provider sono sottoposti a controlli e verifiche periodici, da parte di numerosi enti sia governativi che indipendenti, che valutano l’operato delle strutture procedendo, quando necessario, a un affiancamento temporaneo o a un vero e proprio commissariamento.
Scozia. Galles e Irlanda del Nord, invece, fanno meno affidamento sul giudizio di agenzie centrali che, pur esistendo, hanno compiti e poteri limitati. I tre Paesi, secondo l’Ocse, hanno puntato maggiormente su un sistema di responsabilità locali, in cui le funzioni di indirizzo e controllo avvengono, anche tramite passaggi informali, a livello dei comuni e degli enti locali.
Questa differenza si ripropone, parallelamente, anche nei numerosi programmi per la qualità, l’innovazione e lo sviluppo di un’assistenza centrata sul paziente: se l’Inghilterra predilige infatti un approccio top down, che muove da indirizzi nazionali, gli altri paesi del Regno partono più spesso da buone pratiche nate dal basso, che vengono poi diffuse ai “piani” più alti.

L’impegno per la qualità e l’innovazione. L’impegno per la qualità è infatti un segno distintivo del sistema sanitario del Regno unito. Sono numerosi i programmi ricordati dall’Ocse per monitorare i risultati del Nhs e migliorare cure e assistenza, garantendo la sostenibilità economica, i bisogni dei pazienti, il benessere dei lavoratori. Il sistema sanitario di Sua maestà viene considerato all’avanguardia nell’elaborazione di linee guida basate sull’evidenza, nella formazione e nell’aggiornamento professionali, nell’ascolto dell’opinione di cittadini e pazienti, nella trasparenza e nel reporting di eventi avversi. Sotto questo profilo, viene sottolineato in particolare l’impegno in tutta la Gran Bretagna per offrire cure primarie sette giorni su sette, un progetto che, soprattutto in Inghilterra, sta dando i suoi primi importanti risultati e viene visto come un esempio da seguire a livello internazionale per garantire continuità delle cure e sostenibilità economica.
L’ascolto del cittadino-paziente non si limita alla raccolta di impressioni in seguito a una visita o un intervento. Questionari sullo stato di salute prima e dopo un intervento, survey on line e focus group, sono infatti affiancati alla possibilità per le stesse comunità locali, in Ulster, Scozia e Galles, di partecipare alle decisioni politiche e incidere sulle scelte effettuate da legislatori e governanti.
Il Regno unito eccelle anche nella costruzione di banche dati informatizzate sui bisogni e le cure ricevute dai pazienti. Tutti e quattro i paesi, infatti, hanno sviluppato da tempo l’equivalente british del nostro fascicolo sanitario elettronico, riunendo in un unico database le informazioni fiscali, quelle sulle cure primarie e sugli interventi ambulatoriali e in ospedale, affiancandovi, in casi come quello scozzese, anche i dati sulle prestazioni sociali ricevute.

I risultati per gli indicatori di salute. L’impegno per la qualità e il miglioramento continuo, però, non sembrano portare a risultati di salute altrettanto eccellenti. In molti indicatori presi in considerazione dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, infatti, in Regno unito ha una performance giudicata “deludente”, spesso nella media degli altri paesi.
È il caso, ad esempio, della mortalità per ictus ischemico o della sopravvivenza a cinque anni in caso di cancro al seno o al colon retto, in cui il risultato è sotto la media Ocse e più basso, in tutti casi, di quello italiano. Anche i ricoveri per Bpco o asma, considerati altamente inappropriati, sono al di sopra della media, mentre lo Uk se la cava meglio per diabete e infarto.
Naturalmente anche al di là della Manica, così come nel resto dei paesi sviluppati, si assiste a un progressivo miglioramento di questi indicatori, miglioramento che però, almeno in alcuni casi, è giudicato dai ricercatori ancora insufficiente. Rimane da chiarire se questi risultati siano dovuti a una cattiva o parziale implementazione dei programmi per la qualità dell’assistenza o al livello di spesa, comunque inferiore a quello di vicini come Germania, Francia, Svezia, ecc.

Ma quale dei quattro sistemi funziona meglio e dà i risultati più soddisfacenti? A questo interrogativo non è possibile dare una risposta. I dati forniti dal Regno Unito sono infatti per la maggior parte aggregati. Ne consegue che, pur di fronte a sistemi almeno parzialmente differenti, non è possibile valutare appieno gli esiti delle diverse politiche.
Questa impossibilità, lamentano i ricercatori, è forse dovuta alla volontà di non emettere giudizi sui diversi sistemi sanitari di fronte a differenze geografiche e socioeconomiche che, seppur minime, continuano a esistere tra i vari territori. Per il poco che è dato sapere, comunque, gli indicatori sanitari tra Inghilterra e Galles, tra Scozia e Irlanda del Nord non variano significativamente e presentano solo minime differenze ora a favore di Belfast, ora di Edimburgo, ora di Londra.

Conclusioni. Dato questo contesto di riferimento, il giudizio finale della ricerca sul sistema sanitario di Sua maestà non può che essere positivo. L’Nhs, in particolare, rimane al primo posto per quanto riguarda l’impegno continuo per la qualità e l’innovazione, nonostante i risultati non siano sempre in linea con le attese e gli investimenti fatti. L’Ocse lamenta, però, la mancanza di dati disaggregati per permettere una piena valutazione delle diverse scelte fatte nei quattro differenti sistemi: in attesa di avere maggiori informazioni, l’orientamento da prendere sembra essere quello di limitare, nel caso inglese, il controllo centrale, che in alcuni casi ha dato vita a un numero eccessivo di agenzie e enti di controllo, con frammentazione delle competenze o sovrapposizioni. Un centralismo da cui invece dovrebbero imparare Galles, Scozia e Irlanda del Nord, che spesso fanno troppo affidamento su iniziative locali e autonomia dei singoli attori. Manca, infine, una vera “camera di compensazione” dove scambiare esperienze e collaborare, mettendo in comune quanto imparato dai diversi modelli organizzativo-gestionali. Ne risulta, quindi, il ritratto di un sistema eccellente ma combattuto in una strana dicotomia tra identità (sovra)nazionale e autonomia locale. Nell’indicare la necessità di una scelta, è forse interessante notare come i ricercatori parigini indichino, proprio ai decisori britannici, il sistema sanitario italiano come esempio “interessante” di regionalizzazione all’interno di una cornice regolatoria comune.


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