Europa e mondo

La mappa Ocse degli sprechi in sanità: un quinto della spesa è mal gestito. Ricette e best practice per risparmiare

di Rosanna Magnano

In Italia (così come in Australia, Belgio, Canada, Francia e Portogallo) un accesso su cinque al Pronto soccorso è inappropriato. Frodi ed errori in sanità hanno un impatto del 6% sul totale della spesa sanitaria dell’area Ocse e un cittadino su tre considera la sanità come un area gravemente esposta alla corruzione. I costi di gestione dei sistemi sanitari coprono in media il 3% del totale ma con variazioni da uno a sette tra i paesi membri. La penetrazione dei farmaci generici passa dal 10 all’80% tra i vari Stati ma in compenso il consumo di antibiotici è eccessivo ovunque (circa il 50% dell’impiego a uso umano è inappropriato) e genera fenomeni di antibiotico-resistenza. Un bambino su tre nasce da taglio cesareo quando questa pratica sarebbe consigliata in non più del 15% dei parti, in sette Paesi la percentuale supera il 35% e solo in quattro Paesi si avvicina al 15 per cento. Infine più del 10% della spesa per le cure in corsia è destinata a rimediare ad errori evitabili o a infezioni ospedaliere. Sono queste le maglie larghe degli sprechi in sanità individuati dal Rapporto Ocse «Tackling Wasteful Spending on Health».

Un quinto della spesa sanitaria nadrebbe meglio incanalata
Insomma aspettativa di vita e salute migliorano ovunque nell’area Ocse, ma la sfida della sostenibilità è ancora sul tavolo e la lotta è sempre più difficile, di fronte a cure innovative sempre più costose e al progressivo invecchiamento della popolazione. Ma una parte considerevole della spesa sanitaria, avverte l’Ocse, è eccessiva e oltre un quinto degli esborsi potrebbero e dovrebbero essere incanalati meglio. «Gli stessi benefici potrebbero essere conseguiti spendendo meno - spiega l’Ocse - ad esempio utilizzando più frequentemente i farmaci generici e deospedalizzando l’assistenza». D’altro canto se il 9% del Pil dell’area è destinato alla salute, tre quarti dei quali pagati dai bilanci statali, questi errori di valutazione inficiano pesantemente la sostenibilità dei sistemi sanitari nazionali.

Le strategie per contenere gli sprechi sono quindi doverose e i metodi per una corretta valutazione delle prestazioni in termini di costo-efficacia, secondo l’Ocse, devono seguire una doppia linea: evitare interventi e procedure cliniche che non producono miglioramenti di salute, promuovere cambiamenti che portino risparmi, incentivando ad esempio l’uso dei generici, sviluppando ruoli avanzati degli infermieri per la gestione dei pazienti cronici o assicurandosi che pazienti che non richiedono cure ospedaliere siano assistiti in setting più appropriati e meno esosi come le cure primarie.

Di fatto troppo spesso i pazienti non ricevono l’assistenza giusta, ripetendo esami diagnostici solo perché le informazioni non sono adeguatamente condivise tra i diversi attori che erogano le cure, o ancora peggio sono sottoposti a terapie che causano gravi complicazioni che potrebbero essere evitate.

Tra i casi più frequenti di overdioagnosis e overtreatment segnalate dal Report: l’uso di diagnostica per immagini per semplici lombalgie o mal di testa; prescrizione di antibiotici per infezioni alle vie respiratorie superiori; troppi test pre-operatori per pazienti a basso rischio, uso di antipsicotici in pazienti anziani, nutrizione artificiale in pazienti con demenza avanzata o terminali, impiego di inibitori della pompa protonica per il trattamento del reflusso gastroesofageo; posizionamento del catetere urinario; imaging cardiaco in pazienti a basso rischio; taglio cesareo senza indicazione del medico.

Riconosci, informa, persuadi e paga
Per affrontare e vincere la guerra contro gli sprechi l’Ocse suggerisce una ricetta in cinque punti: creare sistemi informativi che individuino le prestazioni a scarso valore aggiunto; implementare sistemi di reportistica degli eventi avversi all’insegna della massima trasparenza; campagne di informazione mirate destinate a medici e pazienti; predisporre linee guida che possano migliorare il processo e gli esiti delle cure, riducendo interventi inutili e costi; prevedere incentivi finanziari che stimolino cambiamenti di comportamento.

Focus farmaci: come risparmiare sui prezzi e tagliare gli sprechi
Fari puntati anche sulla spesa farmaceutica, che da sola rappresenta il 20% della spesa sanitaria media nel area Ocse. Grandi quantità di medicinali non vengono utilizzati, troppe prescrizioni sono ridondanti, l’aderenza terapeutica da parte dei pazienti ha ampi margini di miglioramento e la gestione dei farmaci presenta buchi di inefficienza soprattutto in ospedale. In Australia ad esempio, da un’indagine sui medicinali finiti nel cestino è emerso che viene scartato un quantitativo di farmaci (il 70% soggetto a prescrizione) del valore pari a 2 mln di dollari australiani. Potenziali enormi risparmi sono poi attribuiti a un più largo ricorso a medicinali generici e biosimilari: per cinque Paesi europei più gli Usa è stato stimato che l’uso di farmaci equivalenti porterebbe un risparmio di 50 miliardi di euro entro il 2020.

Le best practice in giro per l’Ocse non mancano. Alcuni studi in Uk e Svezia hanno rivelato che lo spreco di medicinali si può ridurre del 30% seguendo più da vicino il paziente e permettendogli di ricorrere al counselling telefonico di farmacisti adeguatamente formati. Francia e Ungheria hanno introdotto incentivi per i medici sulla prescrizione di farmaci generici sulla base di schemi pay-for-performance. In Grecia, gli ospedali pubblici sono
tenuti a raggiungere una quota del 50% dei farmaci generici sul volume totale dei farmaci somministrati. In Norvegia, l'acquisto centralizzato dei farmaci ha incluso 80 ospedali pubblici a partire dal 2016. La gamma di farmaci acquistati secondo questo sistema comprende una serie di oncologici ad alto costo, farmaci anti Epatite C , ormoni della crescita e immunostimolanti. Nel 2015 gli sconti ottenuti sui medicinali acquistati collettivamente sono stati in media del 30,4% rispetto ai prezzi medi spuntati dai Paesi vicini.

Cure ospedaliere: parola d’ordine cambiamento organizzativo
In media, i paesi Ocse spendono il 28% del totale per le cure in corsia. Ma l’assistenza ospedaliera è utilizzata più di quanto sarebbe clinicamente necessario. Tra ricoveri inappropriati, processi inefficienti - come ad esempio l'ammissione ospedaliera per interventi chirurgici che potrebbero essere eseguita su base ambulatoriale - degenze più lunghe del necessario e dimissioni ritardate a causa di mancati collegamenti tra ospedale e territorio. Il ricorso al Pronto soccorso è aumentato in 14 dei 19 paesi Ocse, raggiungendo una media di 31 accessi per 100 abitanti nel 2011, molti dei quali inappropriati. Secondo uno studio britannico, una migliore organizzazione delle cure primarie potrebbe ridurre dell’8-18% l’accesso al Ps con notevoli risparmi.

La chiave di volta è il cambiamento organizzativo. In Norvegia, grandi centri di assistenza primaria fungono da strutture intermedie, e forniscono cure non urgenti e un mix di assistenza post-acuzie, riabilitazione e assistenza ai bambini H24 e 7 giorni su 7. In questo modo, rafforzando le cure primarie si riducono i ricoveri.

Ma si può optare anche per forme di incentivi finanziari che promuovano comportamenti efficienti sulla base di linee guida ad hoc, su campagne di informazione e massiccio ricorso alla telemedicina. Da uno studio randomizzato di tre anni in Inghilterra è emerso infatti che la telemedicina potrebbe ridurre ricoveri di emergenza del 20% e del 15% i ricoveri per patologie croniche come diabete, malattia polmonare ostruttiva cronica e insufficienza cardiaca.


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