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Fallito il tentativo di Trump di abrogare l’Obamacare. I problemi della sanità americana: quattro direttrici di cambiamento

di Roberto Polillo

Il tentativo del presidente Trump di abrogare l'odiata riforma sanitaria targata Obama è miseramente fallito nella notte tra giovedì e venerdì 28 luglio 2017. E, come spesso accade, sono gli amici di partito ad avere dato il colpo di grazia al tentativo di smontare l'Affordable Care Act attraverso un cavallo di Troia, il cosiddetto “Skinny repeal” bill.
È lo stesso senatore repubblicano Mc Cain a spiegare perché si sia unito ad altri due senatori repubblicani e a ben 49 senatori democratici nel voto contrario.
Il “Skinny repeal” bill, con cui si voleva liquidare l’Obama care, avrebbe aumentato di 15 milioni di persone il numero di americani senza assicurazione sanitaria nel 2018, rispetto alla situazione vigente, ma i premi da pagare da parte delle persone che si comprano l'assicurazione (quindi non sono coperti da quelle cui provvedono le aziende per i dipendenti o dai programmi per i più poveri) sarebbero aumentati del 20%.
Esattamente l’opposto di quanto promesso in campagna elettorale sul taglio delle tasse. Una eventualità ritenuta inaccettabile dal Senatore Mc Cain ora diventato il responsabile della debacle del presidente, nonostante solo pochi giorni primi fosse stato osannato come un eroe per essersi recato a votare a favore di Trump nonostante un intervento chirurgico subito per neoplasia cerebrale.
L’obiettivo dunque di riportare indietro l'orologio del tempo in America, quando 40 milioni di persone erano completamente privi di tutela sanitaria, non è stato raggiunto e questo ha comportato un cambio di strategia da parte di Trump. Per il presidente, infatti, il piano è ora quello di far fallire Obamacare sotto il peso degli elevati costi di gestione e aspettare che siano gli stessi democratici a chiedere di trattare per una riforma bipartisan del sistema.
Una eventualità sempre possibile, ma a cui allo stato attuale non crede nessuno a partire dalla stessa stampa americana come il quotidiano New York Time.
Nonostante questo, il sistema sanitario americano continua a presentare delle contraddizioni interne che, se non risolte, comporteranno in ogni caso, la necessità di una profonda revisione del suo assetto organizzativo.

Il focus di The New England Journal of Medicine. Su questo ultimo aspetto sono intervenuti sul numero del 7 settembre 2017 della prestigiosa rivista americana di medicina The New England Journal of Medicine i Prof Eric C. Schneider e David Squires con un articolo dal titolo significativo “From Last to First — Could the U.S. Health Care System Become the Best in the World?
Nel lavoro gli autori partono dal presupposto che fin dal 2004 l'organizzazione Commonwealth Fund ha costantemente collocato la performance del sistema sanitario americano all'ultimo posto tra gli 11 Paesi più fortemente industrializzati. E questo nonostante esso risulti il più costoso di tutti.
Dal punto di vista degli esiti di salute, infatti, la popolazione americana risulta essere la più malata e con il più elevato tasso di mortalità. Inoltre non tutti gli americani possono essere curati e anche il tasso di mortalità per malattie curabili è il più elevato rispetto ai paesi considerati. Più lenta rispetto agli altri anche la riduzione del tasso di mortalità per l'intera popolazione.
Le strategie per migliorare la performance suggerite dagli autori sono sostanzialmente due: promuovere l'accessibilità alle misure preventive e alla cura per patologie acute e croniche per la popolazione a rischio e garantire l'erogazione di cure basate su appropriatezza clinica e medicina basata sulle evidenze.
Un accesso tempestivo alle cure per la popolazione a rischio è seriamente compromesso da tre fattori distorsivi presenti nel servizio sanitario americano: l'eccessivo costo delle cure e la loro effettiva sostenibilità da parte degli individui, il peso della componente amministrativa correlata alla richiesta di erogazione delle cure e alla verifica dei requisiti per ottenerla e le differenze e diseguaglianze nell'accesso alle cure subordinate al reddito e al livello di istruzione posseduti, alla appartenenza razziale e alle altre componenti individuali.

Le quattro direttrici del cambiamento. Le strategie del cambiamento suggerite dal report del Commonwealth Fund e dagli autori del lavoro si basano su 4 diverse direttrici
Al primo posto, superare la condizione di scarsa accessibilità alle cure attraverso una copertura assicurativa universale per interventi preventivi e cure primarie. E in tal senso sono un esempio Inghilterra, Australia e Olanda che offrono una copertura universale con una minima componente out pocket a diretto carico del cittadino.
Immediatamente dopo, risolvere il problema del sotto-finanziamento del sistema delle cure primarie rispetto ad altri paesi dove sono garantiti servizi di primo contatto con i cittadini estesi anche alle ore notturne a ai week end.
Al terzo posto, contrastare l'inefficienza amministrativa presente nel servizio e denunciata sia dai pazienti che dai professionisti per il danno arrecato alle attività sanitarie: spreco di tempo per fornire la documentazione che la polizza è attiva o che le prestazioni richieste sono effettivamente previste nel piano assicurativo. Complessi bizantinismi per definire le modalità di pagamento o di rimborso applicabili. A questo si aggiunge poi scarsa informazione di pazienti per quanto riguarda professionisti e strutture erogatrici e, ancor peggio, eventuali brutte sorprese per costi non previsti a loro diretto carico.
Al quarto posto, impegnarsi per superare le diseguaglianze di salute presenti, considerato che sono le persone a più basso reddito e con più basso livello di istruzione a presentare maggiori problemi di salute, causa anche la mancanza di efficaci interventi di tipo sociale. Altri paesi infatti riescono a garantire un migliore livello complessivo di salute grazie anche allo spostamento di risorse dalle attività sanitarie a quelle sociali.
Per gli autori della ricerca dunque il miglioramento del servizio sanitario americano passa attraverso il superamento di queste grandi difficoltà. Vincere tali sfide è il presupposto per trasformare il peggiore servizio sanitario nel migliore del mondo.
Le quattro direttrici del cambiamento: copertura assicurativa universale, riduzione del carico amministrativo, potenziamento delle cure primarie e contrasto alle diseguaglianze, avrebbero effetti immediati sui livelli di prevenzione, sulla precocità della diagnosi, sull'appropriatezza delle cure sanitarie e sul rafforzamento dei processi di auto-cura e self help.
A questo si deve poi aggiungere la prospettiva di un contenimento dei costi per un minore impiego delle cure per acuti in regime ospedaliero e per i trattamenti di salvataggio.
Il lavoro si conclude con un invito rivolto al decisore pubblico affinchè si introducano nel sistema i necessari correttivi legislativi.
Non è la prima volta che il NEJM si schiera a favore di un sistema universalistico sul modello di quelli di tipo beveridgiano o basati sul single-payer come il canadese. Acquista invece un chiaro significato politico la scelta fatta dal giornale di pubblicare l'articolo proprio ora nel momento in cui più aspro e lo scontro tra il Presidente Trump e quanti vogliono mantenere in vita il sistema introdotto da Obama.
Sappiamo anche che l'elettorato a cui fa riferimento il presidente Trump è ben diverso da quello che aveva appoggiato l'Obamacare e che pertanto la battaglia per la sua abolizione è solo rimandata. Per ora il buon senso ha prevalso anche nei repubblicani che, aldilà delle dichiarazioni di facciata, hanno evidentemente considerato un vero salto nel buio privare decine di milioni di concittadini di ogni tutela sanitaria.


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