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Primo report Oms Europa: «Non c’è salute pubblica senza la salute dei migranti». E L'Inmp diventa di Roma diventa centro di collaborazione

di Barbara Gobbi

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24 Esclusivo per Sanità24

"Oltre 50mila persone hanno perso la vita da inizio degli anni Duemila nel Mar Mediterraneo. Donne, giovani uomini, adolescenti e minori non accompagnati diventano moderni schiavi, con gravi ripercussioni fisiche e mentali”. Parole di fuoco, che si leggono nel primo Report mai prodotto sulla salute dei rifugiati e dei migranti nella regione. Con un sottotitolo emblematico: “Non c’è salute pubblica se non c’è salute dei migranti”. Il report, presentato in anteprima a Ginevra nel gennaio scorso , è oggi al centro di un evento organizzato al ministero della Salute a Roma, alla presenza di Concetta Mirisola, Direttore generale dell'Inmp, Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà - che ha fornito contributo scientifico e supporto finanziario ed è appena stato nominato centro di collaborazione Oms sull'evidenza scientifica e la capacity builiding sulla salute dei migranti - e di Santino Severoni, Direttore ad interim Oms Europa per i sistemi sanitari e Coordinatore sanitario per la salute pubblica e la migrazione. L'indagine, prodotta dal "Migration and Health Program" dell'Oms, è la prima del suo genere: fornisce sia un'istantanea della salute dei rifugiati e dei migranti nella regione europea sulla base dell'evidenza scientifica sia un quadro chiaro delle risposte al fenomeno dei relativi sistemi sanitari. «L'esame di circa 13.000 documenti sanitari provenienti dai Paesi della Regione Europea dell'Oms dimostra che non c'è un aumento della trasmissione delle malattie infettive da parte della popolazione migrante», ha affermato la ministra della Salute Giulia Grillo, a margine della presentazione italiana del Rapporto. «Ricordiamo - ha aggiunto - che dei circa 90 milioni di migranti presenti nella regione Europea, solo il 7% è rappresentato da rifugiati e richiedenti asilo, quindi la percentuale è abbastanza bassa». Dal report, ha proseguito, «emerge che i migranti hanno tassi di mortalità più bassa per malattie come le neoplasie, che per noi rappresentano il più grande problema dal punto di vista della mortalità, ma acquisiscono i problemi di salute del territorio dove vanno ad abitare».

I dati. «Il primo dato che salta agli occhi è che non c’è nessuna evidenza di trasmissione di malattie infettive dai migranti alla popolazione residente. Il secondo è che invece l’impatto con stili di vita del tutto differenti aumenta in chi arriva sia il rischio di malattie croniche cardiovascolari, di cancro e di obesità sia l’insorgere di ansia e depressione. Il terzo è che non siamo affatto davanti a un’orda in arrivo, ma piuttosto in presenza di un fenomeno strutturale demografico, da gestire. E dobbiamo gestirlo al meglio, anche dal punto di vista sanitario». Santino Severoni manda inevitabilmente un messaggio politico: dei 920 milioni di persone che vivono nella Regione europea, si stima che circa il 10% siano migranti. Non un’orda quindi, ma una popolazione rispetto alla quale non ci si può voltare dall’altra parte.
Il Rapporto rileva che migranti e rifugiati corrono il rischio di ammalarsi mentre sono in transito o quando sono già arrivati nel Paese di approdo, a causa dei cambiamenti nelle condizioni di vita. E ribadisce che queste persone hanno pari diritti alla salute di qualunque altro essere umano, malgrado «nell’atmosfera febbrile che oggi caratterizza il continente i sistemi politici e sociali a fatica affrontino le sfide delle migrazioni in modo umano e positivo».
«Solo grazie ad evidenza e ricerca - commenta la Dg Inmp Concetta Mirisola - è possibile avere dati incontrovertibili che danno la possibilità di indirizzare scelte politiche precise ed evitare falsi allarmismi». Il Rapporto, aggiunge, «è il frutto concreto di un primo impegno nel quadro della collaborazione istituzionale nell'ambito di un tema spesso frutto di speculazione».

Le strategie. Quali raccomandazioni dare ai Paesi europei? La parola-chiave che sottende il Report è integrazione. Che dovrebbe passare per due canali prioritari: la prevenzione, a cominciare dai vaccini per i quali resta la raccomandazione di una soglia di copertura al 95%, e la massima inclusione delle persone che arrivano nei servizi di assistenza già esistenti, a partire dalle cure primarie. «Troppo spesso – afferma Severoni – la gestione della prima fase è meramente amministrativa e questo determina un’esclusione dall’accesso alla sanità del Paese. L’Italia è stata una best practice: quando nel 2016 ha ricevuto circa mezzo milione di persone, ha messo in piedi in Sicilia un modello che prevede un doppio livello di screening, sia sulle navi che all’arrivo a terra con eventuale invio a strutture specializzate, se necessario. Questo per dire che lo screening, non imposto ma nel rispetto della persona, è comunque una delle vie da praticare». Poi però, dopo lo sbarco, c’è la vita quotidiana. E qui la raccomandazione che arriva dall’Oms è di potenziare i servizi sanitari, ma anche sociali, già esistenti. Ma servono medici, infermieri, mediatori culturali e in generale personale formato ad hoc, così come va garantito a migranti e rifugiati l’accesso ai farmaci essenziali.

La detenzione nuoce gravemente alla salute. Troppo spesso le strategie già messe in campo dai vari Stati rispondono più a esigenze di sicurezza che di tutela della salute. Tra queste, l’inserimento degli stranieri in piani anti-pandemia e le limitazioni alla mobilità per esigenze di riduzione del rischio. Per non parlare della detenzione: «Secondo le linee guida internazionali – spiega ancora Severoni – il ricorso a centri di detenzione di migranti dovrebbe essere l’ultima spiaggia. Eppure, e malgrado esistano valide alternative, è ampiamente praticato in tutta la Regione. Abbiamo evidenze certe, da anni, che la detenzione produce effetti negativi, a tutto tondo, in termini di esposizione delle persone che la subiscono sia a malattie infettive che a problemi di salute mentale. Nel frattempo le norme internazionali europee e il controllo delle frontiere istigano a una proliferazione incredibile di questi centri. Tutti i Paesi e anche l’Italia, che con la legge Basaglia è stata un modello nel proporre forme alternative alla contenzione in ambiti sensibili come la salute mentale, dovrebbero cambiare rotta. Ne va della salute dei migranti e in prospettiva delle società che li accolgono».


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