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Corte di giustizia europea e glifosato: la forma del diritto e la sostanza della tutela

di Stefano Palmisano

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24 Esclusivo per Sanità24

Il Tribunale penale di Foix, in Francia, in un processo a carico di alcune persone per il danneggiamento di alcuni bidoni di diserbanti contenenti glifosato, accoglie alcune eccezioni difensive degli imputati sulla capacità della normativa dell'Unione di salvaguardare pienamente la popolazione. Di più, mette in dubbio direttamente la validità del Regolamento dell'Unione Europea n. 1107/2009, relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, alla luce del principio di precauzione e si convince che la soluzione di questa questione abbia valenza preliminare rispetto alla stessa decisione sulla responsabilità penale degli imputati.
Il giudice, quindi, sospende il procedimento e rinvia in sede "pregiudiziale" la questione della validità del Regolamento alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sottoponendo alla stessa una serie di articolati quesiti. Si riportano solo i primi due:
1) "Se il regolamento [n. 1107/2009] sia conforme al principio di precauzione dal momento che esso non definisce con precisione la nozione di sostanza attiva, lasciando al richiedente il compito di scegliere ciò che lo stesso denomina sostanza attiva nel suo prodotto, e lasciandogli la possibilità di concentrare il suo intero fascicolo di domanda su un'unica sostanza, mentre il suo prodotto finito commercializzato ne contiene molteplici.
2) Se il principio di precauzione e l'imparzialità dell'autorizzazione alla commercializzazione siano garantiti qualora i test, le analisi e le valutazioni necessari all'istruzione del fascicolo siano effettuati dai soli richiedenti che possono essere parziali nella loro presentazione, senza alcuna controanalisi indipendente e senza che siano pubblicati i rapporti di richieste di autorizzazione a motivo dell'addotta protezione del segreto industriale".

La CGUE rigetta tutte le questioni prospettate dal giudice francese sulla scorta di specifiche previsioni dello stesso Regolamento 1107\2009 (Corte giustizia Unione Europea Grande Sez., Sent., 01-10-2019, n. 616/17)
Per quanto riguarda la prima, la Corte dà atto che, effettivamente, il regolamento "non include la definizione dei termini ‘sostanza attiva'". Subito dopo, però, respinge l'assunto del Tribunale francese sulla base di un'interpretazione sistematica del testo normativo (artt. 2, 33 e 78) approdando alla conclusione per cui "il richiedente è tenuto a dichiarare, quando presenta la domanda di autorizzazione riguardante un prodotto fitosanitario, ciascuna sostanza inclusa nella composizione di tale prodotto che rispetti i requisiti di cui all'articolo 2, paragrafo 2, del regolamento n. 1107/2009, sicché egli, contrariamente a quanto ritiene il giudice del rinvio, non ha la possibilità di scegliere discrezionalmente quale componente di detto prodotto debba essere considerato come una sostanza attiva ai fini dell'esame di tale domanda."
Ancora, i giudici unionali si esprimono "sulla presa in considerazione degli effetti cumulativi dei componenti di un prodotto fitosanitario."

Per disattendere anche questa doglianza dell'Autorità francese, la Corte richiama le norme del Regolamento sulla procedura innanzi allo Stato membro al quale sia stata presentata una domanda di approvazione di una sostanza attiva o di autorizzazione di un prodotto fitosanitario, rimarcando che, in forza della normativa de qua, le autorità nazionali devono "eseguire una valutazione indipendente, obiettiva e trasparente di tale domanda alla luce delle conoscenze scientifiche e tecniche attuali. (p. 66) Nel corso della procedura", prosegue la sentenza, quella "valutazione mira, ai sensi dell'articolo 4, paragrafi da 1 a 3 e 5, del regolamento in esame, a verificare in particolare che uno o più impieghi rappresentativi di almeno un prodotto fitosanitario contenente tale sostanza attiva e i residui di un simile prodotto non abbiano effetti nocivi immediati o ritardati sulla salute umana. (p. 67)"
E via seguitando anche per le altre doglianze del Tribunale di Foix.

Le decisioni della Corte paiono, prima facie, formalmente aderenti al testo del Regolamento 1107\2009.
Qui, però, si vogliono mettere in evidenza alcuni elementi che emergono "incidentalmente" dalla lettura della sentenza, ma che sono tutt'altro che secondari.
Nella parte relativa alla "portata del principio di precauzione e dell'obbligo di conformità del regolamento n. 1107/2009 a tale principio", la Corte, per circoscrivere il perimetro del suo scrutinio, afferma che "la validità di una disposizione del diritto dell'Unione deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie di tale disposizione e non può dipendere dalle peculiari circostanze di un dato caso. (p. 48). Di conseguenza, le critiche espresse dal giudice del rinvio in merito allo svolgimento della procedura che si è conclusa con l'approvazione del glifosato, considerate isolatamente, non sono tali da dimostrare l'illegittimità delle norme generali che disciplinano siffatta procedura. (p. 49)"
Non abbiamo a disposizione il provvedimento di rinvio del giudice francese, ma si può supporre a cosa si riferiscano le critiche ivi contenute di cui dà atto la Corte.
Forse, hanno qualcosa a che vedere con quanto emerso da una relazione commissionata poco tempo fa da alcuni europarlamentari a un gruppo di esperti indipendenti in ordine alla procedura per il rinnovo dell'autorizzazione d'uso del glifosato conclusasi nel dicembre 2017.

Procedura assai singolare, a quanto pare, se è vero che vi sarebbe stato un vero e proprio copia –incolla da parte dell'agenzia federale tedesca per la valutazione dei rischi (BfR) - nella stesura del suo parere finale in ordine alla domanda di rinnovo presentata dai produttori - da alcuni studi prodotti da questi ultimi a fondamento della loro stessa richiesta.
Vicenda che, peraltro, era già stata ampiamente anticipata dal Guardian nel settembre 2017. Quindi, addirittura prima che venisse definita la stessa procedura autorizzatoria. Conclusasi, poi, curiosamente, con la concessione del rinnovo della licenza, da parte della Commissione Europea, per altri cinque anni.

Un fatto del genere non può non gettare un fascio di luce nuova su alcune delle statuizioni della Corte del Lussemburgo sopra riportate.
Per esempio, quella (di cui ai punti 66 e 67, cit.) relativa all'effettività imparzialità, obiettività e trasparenza della valutazione da parte degli Stati membri delle domande di autorizzazione formulate dall'industria.

In tal senso, l'impostazione della Corte – di cui si è data contezza – per cui il giudizio di legittimità di una normativa unionale andrebbe effettuato "in funzione delle caratteristiche proprie di tale disposizione e non può dipendere dalle peculiari circostanze di un dato caso" (p. 48 e 49, cit.), pare francamente affetta da fuorviante formalismo giuridico, giacché prospetta uno scrutinio di legittimità tutto "in vitro".
Con effetti facilmente enucleabili a carico dell'effettività dei fondamentali principi di tutela dell'ambiente e della salute pubblica cui è ispirato l'ordinamento unionale, a partire da quello di cui all'art. 191 TFUE per cui la politica dell'Unione in queste materie "mira a un elevato livello di tutela".
Principio che, forse, godrebbe di migliore salute se la Corte avesse avuto un approccio un po' meno liquidatorio e, per l'appunto, formalistico alle oggettive falle che la realtà sta evidenziando nella normativa in esame. Perché pare davvero poco plausibile un giudizio sulla validità di una procedura completamente indifferente alle evidenze che emergono dalla concreta attuazione di quella medesima procedura.

In dottrina, si è scritto che il formalismo giuridico riduce il diritto a una "carriola vuota", che può essere quindi riempita di qualunque contenuto.
L'ambiente e la salute pubblica sono beni giuridici assolutamente sostanziali, prim'ancora che essere prioritari.
La tutela di cui devono godere, pertanto, non può essere "formale".
Se no, c'è il rischio che quella carriola finisca per trasportare nel campo della legittimità giuridica sostanze e condotte che per quegli stessi beni giuridici sono lesivi; se non proprio letali.


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