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Coronavirus/ Appello dell'Unicef: «Servono 42,3 milioni di dollari per arginare l'epidemia»

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L'Unicef ha bisogno urgentemente di 42,3 milioni di dollari per aumentare la sua risposta all'epidemia del virus Covid-19 e sostenere gli sforzi globali per contenerlo. «Questa è una corsa contro il tempo - ha dichiarato il direttore generale Henrietta Fore -. L'obiettivo immediato è quello di ridurre la trasmissione da uomo a uomo, ma anche di aiutare i bambini nelle aree in cui il loro accesso ai servizi essenziali è stato interrotto». I fondi preliminari sosterranno il lavoro dell'Unicef per ridurre la trasmissione del virus, anche rafforzando la comunicazione sui rischi e affrontando la disinformazione in modo che i bambini, le donne in gravidanza e le loro famiglie sappiano come prevenire la diffusione del Covid-19 e dove cercare assistenza. Per ridurre l'impatto più allargato dell'epidemia, l'Unicef prevede anche di sostenere le possibilità di apprendimento a distanza per i bambini che non possono accedere alla scuola e di fornire servizi per la salute mentale e il sostegno psicosociale ai bambini e alle famiglie colpite. «Siamo particolarmente preoccupati per il possibile impatto secondario dell'epidemia - ha dichiarato Fore -. È fondamentale che l'accesso dei bambini all'apprendimento, alla salute, alla nutrizione e ai servizi di protezione non sia compromesso».
L'attuale risposta dell'Unicef si concentra sul sostegno al governo della Cina e dei Paesi della regione dell'Asia orientale e del Pacifico, dove finora sono stati segnalati la maggior parte dei casi. Dal 29 gennaio, l'Unicef ha trasportato via aereo 13 tonnellate di aiuti, tra cui tute protettive, maschere, occhiali e guanti ad uso degli operatori sanitari. Altre spedizioni di aiuti sono in corso e l'Unicef sta preposizionando i rifornimenti nei punti chiave.
Data la natura imprevedibile del virus e la sua continua diffusione, l'Unicef sta anche collaborando con i governi, con le controparti dell'Organizzazione mondiale della Sanità e con altri partner nello sviluppo di piani di emergenza in altre regioni, soprattutto nei paesi con sistemi sanitari più deboli e con capacità limitate di affrontare epidemie gravi.
«Speriamo per il meglio, ma dobbiamo prepararci al peggio», ha concluso Fore.


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