Europa e mondo

Il sesto continente: il dovere etico di riflettere sul complesso intreccio dei flussi migratori

di Alessandra Ferretti

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Quando si parla di “migrazioni” l’immaginario collettivo ci restituisce una concezione del termine istintivamente univoca, intesa come “spostamento, definitivo o temporaneo, di gruppi da un territorio a un altro, da una ad altra sede, determinato da ragioni varie, ma essenzialmente da necessità di vita” (Enciclopedia Treccani). Storicamente il riferimento è alle grandi migrazioni di popoli: quelle iniziate oltre un milione di anni fa con l’Homo erectus che “esce dall’Africa e invade il pianeta”, quelle dei popoli nomadi spinti già allora dai cambiamenti climatici, ma anche le migrazioni volte alla ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro, come quelle degli europei verso le Americhe, fino agli spostamenti dovuti a gravi instabilità politiche, come quelli odierni degli africani verso il vecchio continente.
In realtà, nel corso del tempo il concetto di migrazione ha iniziato ad oltrepassare i confini geografici e temporali, ampliando la rosa dei soggetti che migrano (persone, animali, specie vegetali, ma anche batteri antibiotico-resistenti e virus, ad esempio), le categorie (da quelle più circoscritte di esploratori, soldati, missionari, commercianti a quelle più generali di “cervelli” che migrano, ad esempio), così come le modalità dello spostamento (il viaggio non più come interruzione di altre attività, ma come attività essa stessa in un mondo globalizzato e costantemente interconnesso).
Lo spiegano bene Stefano Allievi, Giacomo Bernardi e Paolo Vineis nel volume “Il sesto continente. Le migrazioni tra natura e società, biodiversità e pluralismo culturale”, edito da Aboca (Sansepolcro, Ar), nelle librerie dal 9 giugno 2023. Non un libro a comparti stagni, ma una sorta di colloquio che intende aprire riflessioni più che fornire risposte.
E non è un caso che a porsi le domande siano, rispettivamente, un sociologo (Allevi, Università di Padova), un biologo (Bernardi, Santa Cruz) e un epidemiologo (Vineis, Imperial College di Londra). Infatti, l’unico modo per poter considerare effetti ed implicazioni delle migrazioni (dal punto di vista biologico, sociologico, politico e non solo) è proporne una lettura più articolata e complessa possibile, come se si trattasse di un “sesto continente”, appunto. L’ambizione massima sarebbe quella di prendere “come scala di riferimento la Terra (…) obbligati da urgenze come il climate change: (…) allora forse cominceremo a occuparci in maniera differente anche dei movimenti migratori (…), due questioni e due emergenze fortemente intrecciate tra loro”.
È significativo il fatto che oggi in molte università vengano offerti insegnamenti di “Salute planetaria”, che affrontano la “co-trasformazione della salute umana e di quella del pianeta Terra”, con i due aspetti che si bilanciano in maniera paradossale: mentre si allunga l’aspettativa di vita umana, “grazie alla maggiore produttività dell’agricoltura e allo sviluppo dei vaccini”, parallelamente si riduce “l’aspettativa di vita della biosfera sul pianeta Terra”. A confermarlo è un dato su tutti: nel 2022 l’Earth Overshoot Day ovvero il giorno in cui abbiamo consumato le risorse naturali disponibili per un intero anno è stato a fine luglio, vale a dire che abbiamo usato tutte le risorse in poco più della metà del tempo previsto.
I “servizi” resi dalla biodiversità alla nostra specie nel corso dei secoli sono stati fondamentali. Tra questi, ad esempio, si citano i farmaci derivati dall’appropriazione della farmacopea degli indigeni (vedi il chinino contro la malaria), la protezione dalle zoonosi (abbiamo visto diffondersene una nel giro di cinque giorni che in altri tempi avrebbe impiegato cinque anni), l’attenuazione delle malattie infettive (la varietà genetica tra specie in un certo habitat che evita il predominare di singole specie potenziali serbatoi di agenti patogeni).
Se pensiamo che tutto questo lo dobbiamo anche all’esistenza e all’attività delle foreste pluviali, capiremo come sia pericolosa la parabola discendente che si sta verificando in questo momento storico: quella stessa foresta amazzonica che sta sparendo alla velocità di 430 chilometri quadrati al mese viene abbattuta per consentire pascoli e coltivazioni di specie vegetali usate per gli animali, la cui produzione di carne contribuisce al 13% delle emissioni di gas serra.
A rendere ulteriormente attuale il tema proposto sono la recente pandemia da SARS-CoV-2 e la crisi climatica in corso: la prima, esempio di conseguenza delle “migrazioni” (dei pipistrelli e dei virus); la seconda, esempio di causa delle migrazioni; entrambe, conferma di come, ormai, “la nicchia ecologica dell’essere umano sia il mondo intero”.
Gli spostamenti conseguenti a cambiamento climatico e deforestazione spingono molte specie a spostarsi anche per centinaia di chilometri per trovare un nuovo habitat accettabile, ma così facendo portano con sé parassiti e agenti patogeni dal vecchio al nuovo territorio, con la possibilità di spillover – termine ormai ben conosciuto da tutti.
Oggi i mammiferi potenzialmente ospiti di agenti patogeni sono 6.500 e le possibili combinazioni di contatti a due a due tra specie diverse toccano i 21 milioni. La predizione, secondo un articolo di Nature, è che, a seguito della sovrapposizione di un vasto numero di mammiferi con l’habitat di almeno una specie non familiare, la riorganizzazione del viroma che ne consegue potrebbe vedere un potenziale scambio di 15mila virus.
Intanto, tra il 1980 e il 2013, sono stati registrati 12mila nuovi focolai di malattie zoonotiche, mentre, in decenni recenti, il 70% delle stesse malattie (tra cui Ebola, SARS, Nipsh, SARS-CoV-2) è stato dovuto ad agenti provenienti dalle foreste nelle zone più remote della Terra.
La scomparsa dalle foreste dei mammiferi di media taglia, con il parallelo emergere di quelli di piccola taglia (pipistrelli o roditori), fonte importante di zoonosi, ha già superato la soglia precauzionale del 90% di depauperamento di singole specie.
Discussa dai tre scienziati, anche la biodiversità viene declinata in tutte le sue possibili aggettivazioni. A cominciare da quella alimentare, visto che ad una maggiore varietà di cibi e specie sono associate una minore mortalità per certe malattie, un’attenuazione degli effetti tossici di un eccesso di specifici cibi singoli, un arricchimento del microbioma intestinale – e ciononostante oltre la metà delle calorie globali sono fornite oggi da sole quattro piante: riso, patate, grano e granturco.
Perché leggere questo libro? Perché fornisce una visione globale delle migrazioni in tutte le loro sfaccettature e permette di “vederne” in modo chiaro molte possibili implicazioni, anche sulla nostra vita di tutti i giorni. Riflettere e diffondere tali riflessioni diventa così un dovere etico oltre che un diritto ovvero una pretesa affinché tutti, a cominciare da adesso, facciamo di più per il futuro delle specie umana.


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