Focus Diabete

Alcuni esempi regionali

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Marche

La regione, che conta poco più di 1.500.000 abitanti totali, è organizzata in due Aziende Ospedaliere (l'Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona e l'Azienda Ospedali Riuniti Marche Nord), l'INRCA e l'Azienda Sanitaria Unica Regionale (ASUR) che comprende cinque Aree Vaste (grafico 4).

Nell'ambito dell'ASUR funziona il Dipartimento funzionale regionale di diabetologia; esso ha il compito di assicurare l'esercizio unitario delle funzioni di prevenzione, diagnosi e cura, il coordinamento delle attività dei Centri di assistenza specialistica per adulti, finalizzata all'integrazione e all'ottimizzazione delle procedure.

La prevalenza del diabete nelle Marche è del 4,5% (rispetto a una media nazionale del 5,5%). In particolare va segnalato che tale dato favorevole è il migliore nell'ambito dell'Italia centrale (Toscana, Umbria e Lazio), e si pone fra i valori più favorevoli in tutta Italia, insieme con Piemonte e Liguria, dopo il Trentino Alto Adige.

Nel 2013 sono stati trattati nelle Marche oltre 50mila pazienti nei centri di diabetologia (24 mila donne e 26.300 uomini), come specificato nel grafico 4.
I dispositivi medici forniti ai diabetici nelle Marche - strisce, aghi - sono forniti dalle farmacie convenzionate a un prezzo stabilito in base a un accordo del 2010, nato come sperimentale e tale rimasto fino a oggi. Tali costi sono comunque tra i più bassi in Italia.

Emilia Romagna

In questa regione la popolazione è di 4,5 milioni di persone. I diabetici (dato assoluto del 2016) sono 263.000 mila. Di questi, il 6,1% è rappresentato da pazienti non italiani.
Tra il 2010 e il 2016 in Emilia-Romagna la prevalenza del diabete è cresciuta del 4,2%, anche a seguito dell'identificazione precoce delle persone a rischio e/o malate.

È cresciuto anche il tasso delle persone in trattamento insulinico (+12,7%) mentre è risultato stabile il tasso delle persone con almeno una patologia cronica concomitante.
Si è ridotto il tasso standardizzato di:
- amputazione degli arti inferiori (-19,2%);
- infarto miocardico acuto (-13,3%);
- cardiopatia ischemica acuta e cronica (-23,7%):
• ictus (-21,9%);
• coma diabetico (-41,1%);
• le complicanze oculari (-8,2%);
• le retinopatie (-31,9%);
• mortalità (-2,2%);
• le procedure di dialisi (-9,5%).

Sono invece aumentate le complicanze renali (+7,5%) e gli interventi di cataratta (+17%).
Il tasso standardizzato di ricovero per qualsiasi causa si è ri-dotto (-10,8%). È aumentato il consumo di ipoglicemizzanti associati a insulina (+16,1%) e di insulina da sola (+7,4%), mentre si è lievemente ridotto il consumo di ipoglicemizzanti orali (-1,1%). Si è ridotta inoltra la quota di soggetti diabetici non in terapia (-9,6%).

L'esperienza delle Case della Salute - La Regione Emilia Romagna applica l'interessante esperienza delle Case della Salute, destinate a esprimere a livello locale gli orientamenti nazionali ed europei. Le Case della Salute sono 104 su tutto il territorio regionale, garantendo l'assistenza a oltre due milioni di persone.

Le Case della Salute sono un punto di riferimento certo per i cittadini, dove trovare risposta alla maggior parte dei bisogni, attraverso la garanzia dell'accesso e della presa in carico secondo il paradigma della medicina d'iniziativa. In esse operano comunità di professionisti (équipe multidisciplinari), secondo uno stile di lavoro orientato a programmi e percorsi integrati, tra servizi sanitari (territorio-ospedale), e tra servizi sanitari e sociali.
All'interno sono presenti la medicina convenzionata (medici di medicina generale, pediatri di famiglia, specialisti ambulatoriali), i dipartimenti territoriali (sanità pubblica, cure primarie, salute mentale) e i dipartimenti ospedalieri (es. specialistica, riabilitazione).

Non mancano i servizi sociali nelle sue diverse forme singole e associate (paziente/caregiver/associazioni di pazienti, associazioni di volontariato). L'ampia rete di volontariato è destinata soprattutto ai servizi come l'accompagnamento di utenti, gruppi di auto-mutuoaiuto, sportelli informativi, iniziative di promozione della salute. Il tutto è gestito da un comitato direttivo (tabella 1).

Nella struttura sede della Casa della Salute può essere presente anche l'Ospedale di Comunità, un nuovo setting assistenziale a supporto della integrazione ospedale-territorio e della continuità delle cure, con un numero limitato di posti letto (15-20), gestito da personale infermieristico, in cui l'assistenza medica è assicurata dai medici di medicina generale o da medici dipendenti del SSN. La gestione del paziente avviene quindi in modo multidimensionale, in base a un Piano Integrato e Individualizzato di cura (PAI), concordato attivamente tra operatori sanitari e sociali, pazienti e caregiver. I pazienti accedono al servizio per problemi intermedi fra la gestione ambulatoriale del medico di famiglia e quella ospedaliera: acuzie minori, interventi riabilitativi, o anche per il monitoraggio clinico, la stabilizzazione terapeutica, nonché per l'educazione/addestra-mento del paziente e del caregiver. La degenza media è di 20 giorni.

La regione Emilia Romagna ha investito anche sull'utilizzo di un algoritmo predittivo (Risk-ER), che permette di stratificare la popolazione (maggiore di 14 anni) sulla base del profilo di rischio di fragilità, espresso in termini di rischio per problemi di salute la cui ospedalizzazione o progressione sono potenzialmente evitabili, attraverso cure appropriate a livello territoriale.

Il modello predittivo si stratifica su quattro livelli di gravità: dal basso rischio (75% della popolazione) al più alto rischio (3.1%), utilizza un ampio insieme di dati provenienti da fonti amministrative regionali correnti e include molteplici variabili in cui, oltre alle caratteristiche demografiche della popolazione, combina una serie di indicatori di morbilità e di gravità della patologia, nonché numerosi indicatori di qualità dei trattamenti clinici.
Le schede individuali con il profilo di rischio vengono valutate all'interno dell'équipe della Casa della Salute con i medici di famiglia, gli infermieri, l'assistente sociale e, a seconda del bisogno emergente, dallo specialista (diabetologo, psichiatra, cardiologo, pneumologo, ecc.), con la collaborazione delle associazioni di pazienti e di volontariato presenti nel territorio.
L'équipe procede poi alla definizione e realizzazione degli interventi ritenuti maggiormente appropriati alla condizione di fragilità identificata: invitare l'assistito ad aderire a un percorso assistenziale, attivare l'assistenza domiciliare, rivalutare la terapia farmacologica, oppure educare la persona per migliorare la sua adesione alla terapia.
Come indicatore di qualità da parte dei pazienti viene utilizzato il questionario Patient Assessment Chronic Illness Care (PACIC), con la collaborazione delle associazioni dei pazienti nelle principali patologie croniche (scompenso, diabete, BPCO, insufficienza renale cronica). Il punto di vista dell'equipe viene investigato mediante focus group - cui partecipano i medici di medicina generale, gli infermieri, l'assistente sociale, gli specialisti, la direzione cure primarie e il terzo settore - utilizzando il questionario Assessment Chronic Illness Care (ACIC).

Liguria

Si fa riferimento in questo caso alla sola Asl 3 Genovese, che conta circa 870 mila abitanti. Di questi i diabetici ufficialmente riconosciuti sono il 4.2%, ossia circa 35.500. Va ricordato che la Liguria ha una incidenza di popolazione anziana superiore rispetto a molte altre regioni italiane.
Quasi un paziente diabetico ligure su dieci è anche cardiopatico, e metà di questi sono scompensati.

L'Osservatorio Arno Diabete, nella ultima rilevazione del 2015, ha evidenziato per la Liguria una spesa annua media pro capite per diabete di 2.900 euro, legata in gran parte ai ricoveri ospedalieri (1.400 euro). Soltanto una parte minore, il 7%, è sostenuta dai farmaci antidiabetici. In tutte le diagnosi di dimissione ospedaliera, per qualsiasi causa, i diabetici ammontano al 12 per cento (grafico4).

Il PDTA genovese sullo scompenso cardiaco cronico - L'ASL Genovese ha attivato dal giugno 2015 il Piano diagnostico-terapeutico assistenziale per lo scompenso cardiaco cronico (PDTA SCC) per la gestione a lungo termine del cardiopatico dopo la dimissione.
Si tratta di un nuovo modello di gestione territoriale, mettendo in stretta correlazione le divisioni cardiologiche, la cardiologia territoriale e il medico di medicina generale. Lo specialista cardiologo territoriale coopera all'applicazione del PDTA nel reclutamento dei pazienti inviati dal-l'ospedale, partecipa alla diagnosi e terapia, nonché alla supervisione dei monitoraggi infermieristici. Infine induce la decisione di affidare il paziente alle strutture ospedaliere quando non è più gestibile sul territorio.

Questo PDTA comporta pertanto l'integrazione di professionisti diversi, che si focalizzino tutti sulla persona-paziente, che operano sulla base di un processo di cura standardizzato, preordinato e condiviso, dotato quindi di provata efficienza ed efficacia.

Il medico di medicina generale, in questo contesto di integrazione professionale, ha il compito innanzitutto di effettuare il cosiddetto self audit sulla popolazione diabetica: la comunicazione, a cadenza semestrale, del numero dei pazienti diabetici in carico, la presenza di complicanze, il tipo di terapia, gli indicatori di processo e risultato quali l'emoglobina glicosilata (HbA1c), il profilo lipidico, la funzione renale, le visite diabetologiche o ricoveri entro l'anno.

Si individuano sette classi di intensità di cura: pazienti con minore complessità potranno essere gestiti dal MMG, pazienti con patologia a stadio più avanzato saranno invece presi in carico dai servizi di diabetologia.

Lo specialista ha invece il compito di valutare il rischio cardiovascolare (compenso metabolico, lipidogramma, controllo pressorio, microalbuminuria, fumo) e di rilasciare un piano di cura personalizzato: utilizzo di farmaci appropriati, scelti sulla base di evidenze scientifiche, destinati non soltanto al controllo glicemico ma anche alla riduzione del rischio cardiovascolare e delle ipoglicemie (tabella 2).

Umbria

La prevalenza del diabete nella regione umbra (popolazione generale di 895 mila abitanti) è del 5,1%. L'Umbria ha visto un incremento di circa ventimila casi di diabete negli ultimi 16 anni. Tale incremento è legato intuibilmente all'aumento della popolazione ultrasessantacinquenne, nonché alle migliori e più diffuse possibilità diagnostiche che rivelano una maggiore quantità di malati rispetto al passato. Infine c'è da considerare la maggiore quota di cittadini immigrati, gravati da un rischio sensibilmente maggiore del nostro di sviluppare malattia diabetica.

L'incidenza di ospedalizzazione dei pazienti diabetici umbri è dell'84,3 ogni centomila abitanti/anno, quindi molto favorevole rispetto alla media italiana di 156,9. Ovviamente il diabetologo integrerà il medico di famiglia nell'incentivare le adeguate modifiche dello stile di vita e alimentare, oltre a programmare lo screening delle complicanze (grafico 6).
Spetta naturalmente al solo specialista il rilascio dell'esenzione per patologia e la fornitura dei presidi necessari per l'autocontrollo.

La gestione integrata del diabete tipo 2 - Il PDTA sullo scompenso cardiaco si affianca al percorso per la gestione integrata del diabete tipo 2, destinato ad assicurare i livelli minimi di assistenza diabetologica, attraverso una serie di processi di prevenzione, diagnosi e cura.

Questo processo di gestione integrata implica la partecipazione congiunta dello specialista e del medico di medicina generale in un programma stabilito d'assistenza, fondato su tre obiettivi fondamentali.

Esso deve essere infatti:
1. continuativo (cioè durare anche per tutta la vita);
2. di aiuto (secondo le condizioni e le esigenze cliniche e psicologiche di ogni persona diabetica);
3. mirato all'ottenimento del miglior compenso e controllo clinico possibile.

Il servizio diabetologico dispone di una serie di ambulatori dedicati, in particolare per lo screening della retinopatia diabetica (fotografia), della neuropatia (monofilamento e biotesiometro) e delle vasculopatie (doppler arti inferiori e dei tronchi sovraortici, Holter pressorio). Esiste inoltre uno specifico ambulatorio per il diabete di tipo 1 e uno per il diabete gestazionale. Vengono anche programmati regolari corsi educazionali (alimentazione, cura del piede, attività fisica, conteggio dei carboidrati, gestione ipoglicemie nel DMT1).

Piemonte

Il Piemonte si colloca nella media nazionale in fatto di prevalenza di diabete: 5,4 per cento, con un totale di circa 230 mila pazienti (tabella 3) .

L'analisi della prevalenza nelle diverse aree del Piemonte mostra variazioni abbastanza ampie, non sempre facilmente spiegabili. I valori più bassi si osservano infatti nell'Asl di Cuneo (4,7%) e quelli più alti nell'Asl 2 di Torino (6,2%). È comprensibile che nelle aree più urbanizzate ci sia un maggiore ricorso ai sistemi di screening rispetto alle aree più isolate, e questo può spiegare la differenza significativa fra Torino e Cuneo. Per il resto si possono attribuire le differenze a una disomogenea distribuzione dei fattori di rischio per il diabete, non facilmente inquadrabili di una visione epidemiologica e genetica di popolazione.

Lo studio Casale Monferrato, condotto nel 1988-1995, indica in particolare l'eccesso di mortalità nei pazienti diabetici: risulta infatti in questo comune un eccesso di mortalità del 35%, rispetto alla popolazione generale, con una incidenza del 45,1% di decessi per malattie cardiovascolari. Rispetto ai primi dieci anni dalla diagnosi, la mortalità aumenta del 7% tra 10 e 19 anni, e del 13% per una durata superiore ai 20 anni.

Dati più recenti, del 2013, danno i seguenti dati relativi alla patologia cardiovascolare associata al diabete:
• 6.500 ricoveri per cardiopatia ischemica;
• 2.500 ricoveri per scompenso cardiaco;
• 2.800 angioplastiche;
• 900 bypass aortocoronarici;
• 600 amputazioni;
• 3.400 interventi di laser fotocoagulazione.

In generale il paziente diabetico ha intuibilmente bisogno di un maggior numero di prestazioni sanitarie - per esempio richiede di un maggiore numero di ricoveri e ciascuno per periodi mediamente prolungati - e di un maggiore consumo di farmaci.
I numeri per la regione Piemonte, riferiti all'anno 2013, sono i seguenti:
• ricoveri ospedalieri: 6.900;
• prescrizioni di prestazioni: 32.200;
• esenzioni per classe: 40.000;
• costo globale: 900 mila euro.

Toscana

Nella regione Toscana i diabetici sono 170 mila, di cui 60 mila nell'area Sud-Est (provincie di Grosseto, Siena, Arezzo). Le province toscane maggiormente gravate dalla prevalenza della malattia sono Livorno (7.7%, Grosseto e Massa (7.4%). I valori più bassi si osservano invece a Prato (5.8%), Pistoia (6.3%), Siena (6.4% e Firenze (6.5%).

Con una delibera (n. 650 del 5 luglio 2016) la Giunta regionale toscana ha avviato un progetto sulla nuova sanità d'iniziativa destinato alle malattie croniche. Il piano prevede la presa in carico degli assistiti complessi (vale a dire con più alto rischio di ricoveri ripetuti per condizioni croniche effettivamente ancora suscettibili di cure territoriali), con interventi di care management che vedono coinvolti i medici di medicina generale, infermieri e specialisti di riferimento (Chronic Care Model). Vengono quindi sviluppati e condivisi Piani assistenziali personalizzati, destinati a garantire un maggior coordinamento dell'assistenza.

Questo modello, sicuramente efficiente, ha portato però a un aumento dei ricoveri per complicanze a lungo termine; per contro, i ricoveri risultano più appropriati, mentre i ricoveri acuti sono stabili o in diminuzione. In tale ambito i pazienti diabetici rappresentano:
• il 25% circa dei ricoverati in unità di terapia intensiva coronarica;
• il 9% dei ricoverati per stroke ischemico;
• il 30 % degli interventi di by pass aorto-coronarico.

* Il focus è frutto di incontri a cui hanno partecipato esperti del settore


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