Imprese e mercato

Il biotech traina l’innovazione ma servono norme e fisco più favorevoli

di Claudio Bordignon (presidente e amministratore delegato di MolMed)

I dati del Rapporto Farmindustria/Ernst & Young, recentemente pubblicati, parlano chiaro: il comparto delle biotecnologie farmaceutiche è in eccezionale crescita e realizza risultati record per tutti i principali indicatori finanziari sia a livello globale sia a livello nazionale, con investimenti e fatturati sempre di segno positivo.
I ricercatori E&Y, sottolineano che, a livello mondiale, sono biotech il 20% dei farmaci in commercio, il 40% dei nuovi autorizzati e il 50% di quelli in fase di sviluppo. Ad oggi in Italia sono disponibili 145 medicinali per le più importanti aree terapeutiche, mentre 303 sono i farmaci nelle diverse fasi di ricerca e sviluppo. Concentrate principalmente in Lombardia (90 strutture), le imprese biotech sono presenti anche nel Lazio, in Toscana, in Piemonte e in Emilia Romagna. Sempre più importante il legame con il farmaco tant'è che su 199 imprese 66 si occupano esclusivamente di medicinali. Ed è nel contesto delle terapie avanzate, nuova categoria di farmaci biologici, che il nostro paese sta raccogliendo i migliori risultati.

Il settore più innovativo è il biotech
L'analisi conferma che il biotech è ormai un settore innovativo che sta trasformando le forti aspettative in risultati concreti ed importanti sia per gli stakeholders del settore (siano essi pazienti, imprese o investitori) sia per gli investitori e/o gli amministratori politici. A conferma, l'accresciuta fiducia degli investitori che puntano concretamente su questo comparto e sono disposti a investire in maniera rilevante anche su piccole start-up. Tutto ciò è stato possibile grazie ai costanti investimenti delle aziende in ricerca e sviluppo, una voce chiave per la crescita di questo mercato. Il biotech è un settore che per sua stessa definizione guarda al futuro e impiega i migliori giovani che escono dalle nostre Università, ma nel contempo sviluppa collaborazione con i migliori centri di ricerca esteri. Mai come in questo ambito, i confini nazionali sono travalicati dal network delle collaborazioni e della conoscenza. Un circolo virtuoso che innesca evidenti meccanismi premianti per la nostra economia e per lo sviluppo del nostro Paese.

E' tutto oro quello che luccica?
Mi sentirei di dire che probabilmente non è tutto ore quello che luccica. I risultati presentati nel rapporto devono essere il punto di partenza per una ‘nuova stagione di sviluppo', una rivoluzione condivisa non alle sole imprese ma da tutti gli attori del mercato: Istituzioni, politica, finanza. Occorre lasciare da parte ogni tipo di esitazione e, ogni forma di ‘campanilismo' sterili e senza futuro e che permettano scelte strategiche non più procrastinabili. Occorre consolidare le enormi potenzialità e l'elevato livello di competenza maturata nel campo della ricerca e dello sviluppo biomedico attraverso i numerosi progressi e successi conseguiti e diventare anche in Patria un'eccellenza riconosciuta e valorizzata. Occorre superare una dimensione “provinciale” per immaginare un piano di sviluppo che nell'arco dei prossimi 5 anni sappia valorizzare la ricerca made in Italy.

Necessario un quadro regolatorio e fiscale più favorevole
E' necessario poter contare su un contesto che si basi su un quadro regolatorio e fiscale più favorevole, magari immaginando di defiscalizzare, anche parzialmente, gli investimenti in R&S, incentivare la flessibilità del lavoro magari e, non certo da ultimo, incrementare un sistema regolatorio user friendly che renda queste iniziative più attraenti per il mercato finanziario internazionale e per gli imprescindibili partners dell'industria farmaceutica internazionale e italiana attraverso una burocrazia meno stringente con scelte chiare e stabili in grado di agevolare i processi, favorire il flusso degli investimenti nel lungo termine anche per i capitali di rischio. E' una direzione che ci stanno indicando anche gli altri Paesi. Se il capitale delle imprese USA e di quelle europee è balzato a quota 54,3 mld di dollari e 94 società si sono quotate in Borsa con finanziamenti di venture capital per 7,6 mld di dollari (fonte: E&Y), ciò significa che è pensabile anche in Italia dare impulso al settore dell'innovazione biotecnologica per continuare a crescere, creare occupazione qualificata e competere sui mercati di tutto il mondo. Un altro esempio importante arriva dall'Inghilterra dove, nel tentativo di recuperare il ritardo con i cluster di biotecnologia negli Stati Uniti, il sindaco di Londra Boris Johnson ha recentemente proposto di stanziare 10 miliardi di sterline (15,7 miliardi dollari) di fondi per stimolare la crescita delle aziende sanitarie emergenti nel Regno Unito e di sostenere la ricerca per portare sul mercato più farmaci salva-vita e quindi fornire una spinta decisiva per l'economia. L'intenzione è quella di creare un sistema che sia quanto più ‘accogliente' per le imprese e per gli investitori, capace quindi di dar vita a un vero e proprio hub dove possano coesistere fondi privati e fondi pubblici sostenuti anche dall'Unione europea e dalla Banca europea per gli investimenti. Fondamentale avere un orizzonte di lungo periodo per sostenere la ricerca in tutte le fasi di sviluppo e di implementazione. Un passo importante da parte delle Istituzioni inglesi, un segno concreto che dimostra come siano state ben comprese le potenzialità di un settore, quello del biotech e di quanto rimanga da fare in Italia.


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