Imprese e mercato

A chi giova l’innovazione tecnologica in medicina? A tutti, se usata in modo appropriato

di Mario Plebani (professore ordinario di Biochimica clinica e Biologia molecolare clinica, Scuola di Medicina Università di Padova)

Il titolo dell’articolo di Nino Cartabellotta “Corsa all’armamento tecnologico in sanità: cui prodest” (Il Sole 24 Ore, 05/08/2015), contiene un’importante domanda. Vediamo di rispondere con alcuni esempi. A chi giova la determinazione della troponina cardiaca? A tutti quei pazienti (30% circa) con dolore toracico nei quali l’elettrocardiogramma era ed è negativo, e che ora sono diagnosticati correttamente e in tempi utili per la terapia dell’infarto del miocardio. A chi giova la determinazione degli anticorpi anti-transglutaminasi? A tutti i sospetti portatori di celiachia, specialmente in età pediatrica, che prima dovevano essere sottoposti alla molto più invasiva biopsia duodenale. A chi giova la determinazione di HER2-neu? A tutte le pazienti con carcinoma della mammella, che avranno prognosi molto più favorevole grazie alla somministrazione di un farmaco diretto contro lo specifico bersaglio molecolare. E la lista di esempi potrebbe continuare a lungo.
L’innovazione tecnologica in medicina deve giovare ai singoli pazienti ed a tutta la comunità, ma vista la situazione attuale e i problemi di sostenibilità del sistema sanitario, la riflessione dev’essere approfondita.
L’articolo di Cartabellotta, contiene affermazioni assolutamente condivisibili, ed altre che invece sono discutibili, specialmente perché escono dalla penna di un sostenitore della “medicina basata sulle prove”.
Il problema fondamentale alla base della riflessione di Cartabellotta è che nel nostro Paese, come anche a livello internazionale, non esiste realmente un processo di Health Technology Assessment (HTA), strutturato e condiviso, per la valutazione della diagnostica e delle tecnologie diagnostiche innovative, ed ancor più nello specifico della diagnostica di laboratorio. La mancanza di un metodo e l’evidenza che il modello di HTA adottato per la valutazione del farmaco non può essere traslato al settore diagnostico determinano una serie di problematiche. Nel caso della medicina di laboratorio, la prima riguarda la concezione dell'esame di laboratorio come una semplice commodity (ossia un bene la cui diversificazione si attua solo sul costo), che porta a sacrificare la valutazione della qualità analitica e diagnostica, alla creazione di megastrutture che rispondono in modo acritico alla crescente richiesta di esami (spesso inappropriati), all’adozione di tecnologie innovative “a macchia di leopardo” e senza una governance professionale, prima ancora che politica.

Il secondo elemento, come giustamente sottolinea Cartabellotta, è relativo alla necessità di valutare le ricadute delle indagini diagnostiche sui percorsi diagnostico-terapeutici, mentre ancora oggi si continuano a considerare i vari settori della medicina (laboratorio, imaging, reparti di medicina interna, chirurgie, etc) come dei silos, ossia settori autonomi e scollegati. A ricaduta, questa concezione porta a valutare i budget di spesa, gli investimenti ed i consumi all'interno del singolo silos e non invece, come si dovrebbe, in termini complessivi e centrati sul paziente e sui percorsi di diagnosi e cura.

Tutto questo però nulla a che vedere con l’incipit dell’articolo di Cartabellotta e l’affermazione che «le biotecnologie biomediche costituiscono la determinante principale dell'incremento di spesa sanitaria....». Semmai, è l’uso talora improprio delle tecnologie biomediche che può determinare aumenti di spesa, ma se non si vuole ritornare al nichilismo diagnostico e terapeutico che ha caratterizzato la medicina dei secoli scorsi, bisogna spazzare il campo da affermazioni pericolose.
La Commissione Europea, in un documento rilasciato nell’ottobre del 2013 sull’uso delle “omics” (genomica, proteomica, metabolomica etc.) come motori della medicina personalizzata, riporta i dati di uno studio svolto in ospedali del Regno Unito e del Belgio. Lo studio dimostra come l’introduzione di queste metodiche innovative abbia portato a considerevoli risparmi della spesa complessiva (-37%). Nel 2011, l’Institute of Medicine (IOM) degli Stati Uniti ha inserito i servizi di laboratorio medico fra le 10 categorie di servizi sanitari essenziali in base ai benefici sugli esiti di salute. Questo riconoscimento è anche frutto di uno straordinario sviluppo delle conoscenze fisiopatologiche e dell’innovazione tecnologica che ne è derivata nelle ultime decadi. E senza l’industria biomedica, l'innovazione non sarebbe stata possibile.

Il problema, quindi, non è bloccare l'innovazione, ma saperla governare. Ciò si può concretizzare introducendo sistemi che valutino in modo appropriato la spesa non all'interno dei silos, ma complessivamente, e soprattutto in funzione degli esiti di salute dei singoli e della popolazione. Il dato fondamentale che emerge con forza da studi recenti è che l'errore prevalente nella moderna medicina, con gravi ricadute in termini di mortalità, morbilità e costi, è l'errore diagnostico, certamente amplificato quando la richiesta non risponde ai cardini dell'appropriatezza. Parte dell'errore diagnostico è di tipo cognitivo, ma una componente importante deriva dall'uso inappropriato delle informazioni di laboratorio e d'immagine. Questa evidenza ha portato a rivedere i concetti di errore in medicina di laboratorio e la Scuola che mi onoro di rappresentare ha ottenuto riconoscimenti in ambito internazionale per questo, come pure negli altri ambiti della diagnostica, fino a fondare una rivista scientifica (Diagnosis) che si propone di migliorare le conoscenze e gli approcci alla diagnosi, nonché alla creazione di eventi e progetti interdisciplinari volti ad assicurare miglior qualità e sicurezza nei percorsi diagnostici. Nel nostro Paese sta nascendo un ”Accademia della Medicina di Laboratorio” che vuole mettere insieme in modo trasparente, collaborativo e ideativo i professionisti del settore, i professionisti dell'industria della diagnostica in vitro (IVD) che credono nel futuro della medicina di laboratorio e le rappresentanze dei cittadini, onde assicurare quello che si vorrebbe invece demonizzare: un utilizzo appropriato delle tecnologie, un'introduzione dell'innovazione basata sulle prove ed un’interlocuzione con amministratori e politici che permetta di invertire la rotta attuale.

Imbarazza leggere che “colesterolo e trigliceridi vanno ripetuti solo ogni 3 o 5 anni”, che “esami di allergologia vanno prescritti solo dagli allergologi specialistici”. Affermazioni del genere non solo non si basano su conoscenze e prove scientifiche, ma umiliano i professionisti e determinano confusione nei cittadini/pazienti. I suggeritori occulti di queste prese di posizione dovrebbero avere il coraggio di confrontarsi con la scienza, con i dati della letteratura e degli studi clinici per promuovere finalmente una “evidence-based policy”, una politica decisionale basata sulle prove.
Uno dei temi che Cartabellotta analizza e che merita qualche considerazione può essere sintetizzato nella frase “la tecnologia costituisce il concetto di malattia a tre livelli”. Nel motivare questa affermazione, l'autore porta ad esempio la diagnosi di infarto del miocardio (termine improprio) che si basava “sull'attività elettrica del cuore misurata dall'elettrocardiogramma”, mentre “oggi sul dosaggio della troponina”. Le considerazioni in questo caso, ma valgono per molti altri casi, sono essenzialmente due. In primis, sono state la fisiopatologia e le conoscenze raccolte sulla sindrome coronarica acuta a mettere in evidenza che l'ECG è un indicatore specifico ma non sensibile (non risulta positivo in tutti i casi) della malattia, e a motivare i ricercatori a trovare uno strumento diagnostico più accurato. La tecnologia è venuta dopo e, nel caso della troponina cardiaca, ci ha permesso di riconoscere quei pazienti (sono circa il 30%) che a distanza di giorni e settimane andavano incontro a morte per malattia cardiovascolare o a nuovi accessi in Pronto Soccorso e ricovero per ritardo diagnostico. Grazie allo strumento diagnostico innovativo (troponina) ed ai progressi nella terapia (riperfusione, angioplastica), oggi la sindrome coronarica acuta e l'infarto del miocardio non sono più “malattie mortali”. E gli esempi potrebbero continuare: la diagnosi di infezione da Helicobacter pylori ha portato a trattare la gastrite e l'ulcera peptica dal medico di medicina generale anziché dal chirurgo; gli esami ematologici permettono oggi la diagnosi e la caratterizzazione delle leucemie con accuratezza e rapidità, la genotipizzazione nel caso di virus dell'epatite C permette una cura elettiva ed efficace. Se poi entriamo in ambito oncologico, i progressi legati al profilo molecolare hanno permesso di capire che esiste un'eterogeneità di quelli che noi identificavamo come un unico tipo di neoplasia (mammella, colon-retto etc) e che la conoscenza di questo profilo molecolare guida la somministrazione appropriata di terapie molto “mirate” ed efficaci, ma anche molto costose. Negare questi progressi significa negare le basi scientifiche della medicina e pensare che sia possibile un ritorno al passato. Certamente, anche nel caso di esami di provata accuratezza diagnostica, il problema dell'inappropriata richiesta è sempre alle porte e va scongiurato, ma non certo demonizzando l'innovazione, e semmai applicando strumenti educativi e talora prescrittivi con iniziative che sono sempre più numerose ed efficaci. Il tema di quelle che Cartabellotta definisce “overdiagnoses and overtreatments” sono oggi assolutamente presenti nella comunità medica, ma è bene che vengano ribaditi affinché gli studi vengano sempre più indirizzati alla valutazione degli esiti clinici e non solamente dell'accuratezza diagnostica. Tuttavia, è ridicolo (al limite dell'offensivo) pensare che le soglie diagnostiche siano state spostate in basso grazie ad una congiura che vive “nella collaborazione fra industria e società scientifiche”. Come noto, alcune soglie diagnostiche (vedi nel caso del diabete e della malattia cardiovascolare) sono state modificate sulla base di studi epidemiologici, analisi rigorose dei dati, consenso raggiunto nel corso di congressi ed altri strumenti che la professione utilizza come le pubblicazioni su riviste scientifiche, che Cartabellotta mette in discussione.
Forse, Cartabellotta doveva aggiungere che in questo complotto globale, il Presidente Obama gioca un ruolo fondamentale, dato che ha lanciato un grande programma sulla “precision medicine”, ossia sulla raccolta di dati sempre più oggettivi e messi a disposizione dalle tecniche innovative di cui si è parlato in precedenza per dar vita ad una medicina che valorizzi la prevenzione, la diagnosi precoce, le terapie mirate e la vera personalizzazione.
La risposta alla domanda che dà il titolo all'articolo di Cartabellotta “Corsa all'armamento tecnologico in sanità: cui prodest?” è semplice: le innovazioni nella tecnologia diagnostica, come tutte le innovazioni tecnologiche, gioveranno a tutti noi, se sapremo farne un uso intelligente ed appropriato.


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