Imprese e mercato

Industria farmaceutica, un capo su tre è donna. Scaccabarozzi (Farmindustria): «Passi concreti per valorizzare il lavoro femminile»

di Rosanna Magnano

Le donne sono il 43% degli addetti totali dell'industria farmaceutica, spesso in posizione di responsabilità o di vertice, con una quota di laureate o diplomate superiore al 90%, e nella ricerca superano addirittura il 50 per cento. Sono i numeri che hanno permesso da tempo alle imprese del farmaco made in Italy di «sfondare» il cosiddetto «tetto cristallo», quella barriera invisibile che in altri settori impedisce alle donne di raggiungere posizioni apicali e di conciliare carriera e tempi di vita, soprattutto della maternità e delle cure familiari. Ne ha parlato con orgoglio questa mattina il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi nel corso dell'evento su «Le donne per la farmaceutica per le donne» a Roma al Tempio di Adriano. «Nella farmaceutica le pari opportunità non sono uno slogan. Il contributo femminile all'attività delle imprese del farmaco - afferma Scaccabarozzi - è fondamentale. C'è un legame profondo tra le nostre imprese e le donne. Imprenditrici, manager, dirigenti. E non solo: nella ricerca, negli stabilimenti produttivi, nell'amministrazione. Quindi in tutti i campi e in tutti i ruoli».

Nell'industria del farmaco, insomma, la meritocrazia è al primo posto e su questo fronte la parità di genere è una realtà. «Nel nostro settore - spiega Enrica Giorgetti, direttore generale di Farmindustria - tre dirigenti su dieci sono donna, il triplo rispetto ad altri». Tra i quadri le signore sono il 42% a fronte di un 23% del totale dell'industria.

Numeri frutto di scelte avanzate. L'industria farmaceutica ha infatti giocato d'anticipo introducendo innovazioni importanti nella conciliazione tra tempi di lavoro e di vita. «Per primi abbiamo creduto con forza - continua Scaccabarozzi – nella valorizzazione del lavoro femminile e abbiamo creato strumenti per abbattere le difficoltà e aiutare le famiglie e le donne, che sono al centro del sistema salute, come mamme e come caregiver. Prevedendo ad esempio, in caso di maternità, periodi di aspettativa più lunghi rispetto alla legge e al Ccnl. O introducendo per le neomamme la possibilità dello smart working. Assicurando poi per tutte alcuni servizi come quelli di medicina preventiva focalizzati sulle patologie femminili e quelli per una migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro (asili nido, lavanderia, calzoleria, take away). Possono sembrare delle banalita ma fanno la differenza e i risultati si vedono nei numeri». Quasi il 70% delle aziende farmaceutiche adotta politiche di welfare mirate (43% negli altri settori) , con una quota di servizi che per il 78% deriva da decisioni aziendali.

E l'attenzione al femminile è sempre più centrale anche nello sviluppo crescente della medicina di genere, che rappresenta una sfida per le imprese del Pharma, da condurre attraverso sinergie pubblico-privato. L'obiettivo è studiare le differenze per migliorare la ricerca e lo sviluppo di farmaci mirati sulle esigenze degli individui. Dall'oncologia alle cellule staminali, dalle malattie cardiovascolari agli screening basati sulle nanotecnologie e la nutrigenomica sono sempre di più i settori coinvolti nella «ricerca di genere». «I farmaci in sviluppo per le patologie maggiormente presenti nelle donne - spiega il presidente di Farmindustria - sono più di 850 nel mondo». E sul capitolo sanitario, le differenze di genere sono provate ed evidenti. Le donne vivono più a lungo degli uomini (in Italia 85 anni rispetto a 80) ma l'aspettativa di vita in buona salute è minore, si ammalano di più e usano di più i servizi sanitari, hanno una percezione di salute inferiore, sono più soggette a reazioni avverse da farmaci che si manifestano più gravemente che negli uomini.

Lorenzin: «Aiutare le donne significa aiutare un pezzo di società. Piano prevenzione e rafforzare il bonus bebè»

Serve dunque un grande investimento e un piano a lungo termine per affrontare la doppia sfida, quella dell'invecchiamento della popolazione e quella della promozione di politiche attive forti per un diverso sostegno alla genitorialità. «Perché aiutare le donne - sottolinea la ministra della salute, Beatrice Lorenzin - significa aiutare una famiglia e un intero pezzo di società. La donna è il care manager della famiglia. Quindi occorre sia guardare alla crescente popolazione anziana, fatta soprattutto da donne, e a politiche per la natalità che ci portino un nuovo `baby boom´, dato che a oggi non possono bastare nemmeno le nascite dalle persone immigrate». E annuncia misure ad hoc. «Proporrò un aumento del bonus bebè, che cresca anche nel tempo. Dobbiamo cioè pensare a misure di sgravio per la famiglia, per la genitorialità, per i bambini fino ai cinque anni e non solo per i primi mesi di vita. Attualmente i nonni si occupano dei bambini - ha aggiunto - ma dobbiamo considerare che le donne lavoreranno fino a 70 anni e non potranno più badare ai propri nipoti». Per Lorenzin, poi «dobbiamo puntare sulla medicina di genere, siamo diversi, e curare una donna è diverso che curare un uomo. Le donne, è vero, vivono di più, ma vivono peggio i loro ultimi anni. E nelle ultime fasi della vita chi si occupa di noi? Servono iniziative , come quella della giornata per la salute della donna il 22 aprile, e un grande progetto di prevenzione».

Camusso (Cgil): «Età pensionabile troppo alta. Rivedere la legge ingiusta»
Il nodo della salute femminile è quindi centrale anche per gli impatti che il suo ruolo di caregiver ha sul welfare generale. E l'allungamento dell'età pensionabile rappresenta un appiattimento delle differenze che a lungo termine non potrà che rivelarsi controproducente. Lo sostiene il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, che ha invitato il governo ad aprire un confronto per rivedere la legge sulle pensioni definita come «profondamente ingiusta». Camusso ha dichiarato che «quella delle pensioni è una ferita che non si rimargina da sola. Non se ne può più, bisogna cambiare in fretta la legge sulle pensioni. Spero che il ministro Lorenzin si faccia promotrice nel Consiglio dei ministri della proposta di aprire un confronto con il sindacato sulle cose importanti». La leader della Cgil ha osservato che la legge previdenziale va cambiata per due motivi: «Bisogna ragionare sulla flessibilità in un paese come il nostro, dove esistono tantissime donne che lavorano da quando hanno 14 anni. Come si fa pensare che possano lavorare fino a 67 anni togliendo lavoro ai giovani? Lo dico anche dal punto di vista delle aziende - ha proseguito Camusso - che si lamentano per la mancanza del turn over, e per la stanchezza dei lavoratori legata all'età. Facciamo un'operazione meno ipocrita - ha concluso il segretario generale della Cgil - smettiamo di dire che è bello allungare l'età pensionabile. Non è vero. Il governo apra un confronto». Uno spunto raccolto dalla ministra Lorenzin: «Credo che con grande equilibrio vada rivisto il sistema pensionistico. Ci vorrà tempo perché dobbiamo capire come impatta e come renderlo sostenibile».


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