Imprese e mercato

Il futuro dei dispositivi medici cardiaci tra longevità e sostenibilità

di Raffaele Stefanelli (amministratore delegato Boston Scientific Italia)

Il Servizio sanitario nazionale italiano, analogamente a quello di molti Paesi europei, sta vivendo una profonda crisi economico-finanziaria: i costi crescono e le risorse disponibili non saranno più in grado, nel prossimo futuro, di sostenere la crescente domanda (secondo la Banca Mondiale, la spesa pubblica per i servizi sanitari nell'Unione Europea potrebbe salire dall'8% del Pil nel 2000 al 14% nel 2030, con previsione di crescita anche negli anni successivi). La sanità italiana dovrà affrontare una sfida particolarmente difficile: continuare a offrire cure appropriate ed efficaci per tutelare la salute delle persone e garantire, nel contempo, la sostenibilità economica del sistema.
Diversi sono però i fattori che minano la sostenibilità: il progressivo invecchiamento della popolazione, il costo crescente delle innovazioni tecnologiche che stanno progressivamente sostituendo i tradizionali metodi di diagnosi e cura, e il costante aumento della domanda di servizi e prestazioni da parte di cittadini e pazienti.

L’imperativo, per le istituzioni sanitarie, il mondo delle imprese, i medici, gli operatori del settore, è pertanto quello di trovare il punto di incontro tra sostenibilità della spesa sanitaria e qualità delle cure. Un impegno non di poco conto, soprattutto si considera l'andamento delle cifre che riguardano proprio la spesa sanitaria.
Nel periodo 2012-2015, rispetto a quanto previsto dal Patto per la Salute, la Sanità pubblica ha “ridotto” le risorse, attraverso varie manovre finanziarie, di circa 25 miliardi di Euro, una “detrazione” iniziale cui si sono aggiunti altri € 6,79 miliardi. Il Def 2016 prevede che nel 2019 il finanziamento del Ssn corrisponda al 6,5% del Pil, una soglia che non solo mina la qualità dell'assistenza, ma rischia di ridurre l'aspettativa di vita come emerso - per la prima volta - dal Rapporto OsservaSalute 2015 e dal Rapporto Istat 2016. Secondo le previsioni del Def, nel triennio 2017-2019 il Pil crescerà, in media, del 2,8% ogni anno, mentre la spesa sanitaria aumenterà a un tasso medio annuale dell'1,5%: questo significa che da € 113,3 miliardi stimati per il 2016, la spesa sanitaria dovrebbe salire a € 114,7 miliardi nel 2017, a € 116,1 nel 2018 e a € 118,5 nel 2019. In realtà, negli ultimi anni la Sanità ha ricevuto sempre meno di quanto previsto. La Corte dei Conti ha segnalato che in 32 mesi da € 117,6 miliardi stimati dal DEF 2013, siamo scesi a € 116,1 nel 2014, a € 113,4 nel 2015 per arrivare, nel 2016, a un finanziamento reale di € 111 miliardi, comprensivi di € 800 milioni da destinare ai nuovi Lea (livelli essenziali di assistenza) .

Si aggiunga che la riduzione dei costi sanitari è stata prevalentemente attuata attraverso tagli lineari e razionalizzazioni, spesso andate a detrimento della qualità terapeutica. Inoltre, le recenti gare di appalto per strumentazioni sanitarie e dispositivi medici sono state orientate “al ribasso“, puntando come parametro di scelta quasi esclusivamente sul prezzo. Questo orientamento non potrà che riverberarsi negativamente sulla qualità delle cure erogate, non porterà risparmi oggettivi per il Ssn, introducendo nel mercato prodotti e tecnologie di scarso valore e di breve durata, e rappresenterà un pericoloso disincentivo per le imprese in termini di investimenti per lo sviluppo di nuove tecnologie.
Per contro, l'avvento di tecnologie innovative come, per esempio, i dispositivi biomedicali, consente non solo di prevenire e contrastare molte patologie, ma di ridurre sia i costi diretti delle cure, sia quelli indiretti associati alle malattie (costi sociali, perdita di produttività, etc). Questo deve però verificarsi nel rispetto dell'appropriatezza terapeutica, di scelte diagnostico-terapeutiche ottimali e, aspetto non marginale, con il coinvolgimento delle Istituzioni scientifiche e delle associazioni di pazienti.

I numeri del comparto biomedicale in Europa ne evidenziano dimensioni e ruolo economico: le società del settore sono 25.000, con oltre 575.000 dipendenti, un fatturato intorno a 100 miliardi di Euro e il più alto numero di brevetti registrati, circa 11.124 nel 2014 (Fonte: The European Medical Technology industry – in figure. MedTech Europe 2014). Si aggiunga, a questo, che l'onere degli investimenti in Ricerca & Sviluppo è ancora, per la quasi totalità, a carico delle imprese.
Per fronteggiare una situazione così complessa è necessario che ognuno faccia la propria parte; le imprese devono coniugare Ricerca e Innovazione con i propri obiettivi di business, mentre agli Enti regolatori viene chiesto non solo di imporre limiti di spesa ma di applicare “l'evidence-based medicine” alla realtà e al confronto permanente con clinici, farmacisti, amministratori sanitari.
Il peso delle Istituzioni nel controllare l'accesso al mercato delle nuove tecnologie sanitarie è significativamente cresciuto nell'ultimo decennio e le decisioni sono guidate sia da valutazioni cliniche sia da analisi di sostenibilità economica. Per questo, la ricerca dell'appropriatezza e il rispetto delle indicazioni terapeutiche sono da “ricondurre” al controllo dei costi: l'HTA (Health Technology Assessment), strumento per valutare l'appropriatezza clinica ed economica degli interventi sanitari, dovrà quindi indirizzare lo sviluppo, selezionare le priorità e promuoverne l'impiego.
Boston Scientific, ai primi posti nel mercato internazionale dei biomedicali, aderisce pienamente a questa “chiamata alla responsabilità”. La società, che investe in Ricerca & Sviluppo il 12% del proprio fatturato globale (nel 2015, 7,5 miliardi di dollari, con un utile netto di 1,7 miliardi di dollari e 22 milioni di pazienti trattati con propri dispositivi), ha sempre puntato su device minimamente invasivi, altamente performanti e di lunga durata, per tutelare la salute dei pazienti e contribuire concretamente al contenimento dei costi. Tali caratteristiche sono elementi cruciali nel contesto sanitario perché riducono il numero delle possibili sostituzioni e, con esse, i rischi di complicanze per i pazienti e i costi per nuovi device, ospedalizzazioni, terapie farmacologiche.
Questi fattori sono ancora più rilevanti nei dispositivi medici impiantabili destinati, per esempio, allo scompenso cardiaco (SC). Questa patologia colpisce in Europa 14 milioni di persone, che arriveranno a 30 milioni nel 2020. Le cifre sono in costante aumento sia per il progressivo invecchiamento della popolazione, sia per i miglioramenti nel trattamento delle sindromi coronariche acute che registrano, in Italia, 170 mila nuovi casi ogni anno, con un'incidenza attorno all'1-2% e circa 500 ricoveri al giorno. In termini economici, il costo per la gestione dei pazienti a carico del Ssn ammonta a circa € 625 milioni/anno, di cui il 74% per ricoveri ospedalieri.
A fronte però della riconosciuta efficacia, tali dispositivi (defibrillatori, pacemaker) hanno una durata limitata, legata alle batterie che, a seguito del normale funzionamento, si esauriscono. Le strutture sanitarie devono quindi ottemperare a una duplice esigenza: garantire l'accesso alle migliori cure a tutti i pazienti, e assicurare continuità nei trattamenti, sostituendo i dispositivi quando le batterie sono esaurite.
In termini economici il problema è vitale: l'aumentata sopravvivenza dei pazienti (di gran lunga superiore alla durata dei dispositivi) implica che devono essere effettuate più sostituzioni per ogni singolo paziente, con costi legati all'acquisto di nuovi dispositivi, complicanze infettive (la probabilità di manifestarsi raddoppia rispetto alla procedura di primo impianto), ricoveri in terapia intensiva, terapie farmacologiche.
Con dispositivi più longevi (di durata superiore ai 7 anni, anziché i 4 anni-medi dei device standard) si consegue un risparmio stimato fra il 29% e il 34%, a seconda della tipologia di paziente.
Alla longevità dei dispositivi guardano con favore sia i medici che effettuano gli impianti sia milioni di pazienti. Le statistiche confermano che circa il 70% dei pazienti portatori di pacemaker o defibrillatori necessita di almeno una sostituzione nel giro di 4-5 anni e il 40% di almeno due. Per questo, il 73% dei pazienti si preoccupa della durata del dispositivo e la ritiene la caratteristica cui porre maggiore attenzione, nella speranza di evitare o rimandare quanto più possibile un secondo impianto.
Un recente studio su 1.399 pazienti portatori di sistemi CRT-D ha evidenziato che le sostituzioni per esaurimento della batteria rappresentano un importante cost-driver della spesa ospedaliera. In un orizzonte temporale di circa 6 anni, la necessità di effettuare sostituzioni incide sull'onere economico della terapia e incrementa di oltre il 50% i costi iniziali dell'impianto nella prospettiva dell'Ospedale, e di oltre il 30% nella prospettiva globale del Sistema sanitario.
Sul fronte della longevità, Boston Scientific è riconosciuto leader, sia perché produce direttamente le batterie dei propri dispositivi esercitando così il controllo totale sulla tecnologia, sia perché, a partire dal 2008, ha introdotto defibrillatori di nuova concezione, con capacità raddoppiata, maggiore durata delle batterie e prezzi ampiamente sovrapponibili ai dispositivi con longevità standard. I nuovi dispositivi durano più di 10 anni (8 anni per quelli destinati alla terapia di re-sincronizzazione cardiaca (CRT-D) e sono, di fatto, i più longevi al mondo, con una proiezione di durata reale compresa tra i 9 e i 13 anni.


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