Imprese e mercato

Cossolo (Federfarma): «Arrivano le grandi catene? Impariamo ad aggregarci. Ed ecco la nostra convenzione»

di Barbara Gobbi e Rosanna Magnano

La partita della nuova convenzione delle farmacie, tra prestazioni di pharmaceutical care da remunerare, nuovi tetti di spesa e sfida innovativi. Il Ddl concorrenza al rush finale, con tutte le incognite legate all’ingresso delle grandi catene nel settore, «da fronteggiare con l’arma delle aggregazioni». Una proroga al 31 gennaio 2018 per la questione ossigeno con la proposta di un tavolo sui costi aggiuntivi che i produttori continuano a fatturare alle farmacie. L’apertura di una trattativa sul prezzo della cannabis, «sono 24 anni che non viene aggiornata la tariffa e il ministero lo ha capito subito». La questione del tetto per le farmacie rurali, «in una grande difficoltà di sopravvivenza, che andrà ridiscusso con il Mef e dovrebbe trovare spazio nella prossima legge di bilancio». Sono alcune delle partite aperte dal neopresidente di Federfarma Marco Cossolo, già a pieno ritmo sulle principali priorità del settore.

In parallelo il tavolo unitario delle sigle della Farmacia (Federfarma, Fofi, Utifar, Asfi, Farmacieunite, Sifap) si è riunito al ministero della Salute (il prossimo incontro è fissato al 10 luglio) con un’agenda di criticità da affrontare nell’immediato. Tra queste, la revisione della tariffa nazionale, ferma al 1993 e ormai alla vigilia delle «nozze d’argento»; l’elenco delle sostanze, in parte obsoleto, e i relativi prezzi; i nuovi adempimenti sulla sicurezza nel lavoro, soprattutto rispetto ai nuovi farmaci.

Sul nodo concorrenza e sullo tsunami in arrivo con le società di capitale, la posizione del presidente Cossolo è chiara: il tetto del 20% per il controllo in capo a un unico soggetto, è fatto di carta. «Sappiamo bene che una rivoluzione del genere - spiega il presidente dei titolari di farmacia rispondendo alle domande del Sole 24 Ore Sanità - è già avvenuta negli anni ’70. E sappiamo bene che ha portato alla scomparsa dell’80% degli esercizi commerciali. Questo è un dato di fatto. Nel nostro settore non sarà così, perché c’è la pianta organica. Quindi non è che potranno spostare le farmacie in aree più appetibili. Certamente ci sarà il rischio di un’eccessiva differenziazione del servizio sul territorio. Perché bene o male la proprietà del singolo farmacista garantisce una certa omogeneità. Ora come ora, questo non accadrà più. A meno che noi non saremo così bravi, insieme alle organizzazioni della distribuzione intermedia a insegnare ai farmacisti ad aggregarsi. Basta guardare l’Inghilterra. Le farmacie indipendenti rimaste sul mercato sono il 50% ma sviluppano il 20% del giro d’affari complessivo, sono del tutto marginali e generalmente in mano a pachistani. Le farmacie in aggregazione detengono invece l’80% del mercato. E in questa fetta solo il 10-15% è proprietà del grande capitale. Le altre sono forme di aggregazione. È questo il modello da seguire».

Sulla partita della nuova convenzione, come è noto, il nuovo atto di indirizzo è stato conosciuto in modo informale dalle parti. «Ora è stato inviato dalla Sisac ai ministeri competenti, Mef e Salute - spiega Cossolo - ed è in attesa di un riscontro. Come Federfarma abbiamo avuto un incontro alla Sisac con il coordinatore Vincenzo Pomo e condiviso diversi punti. Ma al di là dell’atto di indirizzo, in larga parte condivisibile, esclusi alcuni aspetti sui quali si potrà lavorare, quello che sarà davvero dirimente è il fattore risorse. Per questo abbiamo chiesto un incontro al Mef per capire di cosa stiamo parlando. Serve un budget definito. Per un settore che ha visto ridursi la spesa convenzionata del 30-35% negli ultimi nove anni. Tra sconti e super sconti. Non è che vogliamo indietro quei soldi, ma vediamo se nell’ambito della nuova convenzione, facendo delle cose in più possiamo trovare una compensazione adeguata».

Il ragionamento proposto da Federfarma è di puntare su tre aspetti strettamente legati alla professione e finora poco considerati. «Si tratta della cosiddetta pharmaceutical care. Il primo aspetto è la farmacovigilanza, il secondo è il controllo sull’aderenza alla terapia e infine la presa in carico del paziente su quel che riguarda il farmaco per la cronicità. Questi devono essere servizi universalistici e non ribaltati a livello regionale. Sull’aderenza alla terapia stiamo lavorando anche con la Fofi, che ha già coordinato un test pilota, e riteniamo opportuna una proposta condivisa».

Altro fronte è quello dei «servizi», sottolinea Cossolo, «come possono essere il Cup, la telecardiologia, l’infermiere, l’ostetrica. Che sono cose diverse e necessità che possono anche differenziarsi a seconda del territorio regionale e quindi possono essere normate a seconda delle esigenze locali, certo molto diverse tra la Basilicata e il centro di Roma». Quindi sulla convenzione si potrà procedere, una volta capito con il Mef l’ammontare delle risorse a disposizione. «Solo in quel momento - ribadisce Cossolo - si potranno dare le gambe all’atto di indirizzo».

«Nel frattempo - continua il presidente Federfarma - stiamo avviando un progetto, che abbiamo affidato a dei commercialisti per capire come lavorare. Perché accanto alla pharmaceutical care c’è la vera e propria dispensazione dei farmaci. E a latere bisogna discutere su come remunerare questa attività».

Non più due compartimenti, quello della spesa farmaceutica convenzionata e della spesa diretta con la Dpc - è la proposta - ma tre silos. Uno con la convenzionata. E si decide che cosa per ragioni di carattere scientifico ma anche economico è giusto che sia lì. Uno per la Dpc e uno per la diretta. «Allora, se il paziende deve prendere un farmaco tutti i mesi - chiarisce Cossolo - e prima di assumerlo deve fare un controllo, sono io il primo a dire che è inutile che lo facciamo tornare in farmacia. Ma se invece il paziente è ancorato sul territorio, allora i medicinali vanno distribuiti in farmacia. Poi discutiamo se in convenzionata o Dpc. Ma poi mi viene in mente anche un altro strumento, quello della cessione di contratto, come viene fatto in Federfarma Marche, che sarebbe tra l’altro vantaggioso per le farmacie perché non le penalizzerebbe dal punto di vista finanziario e sarebbe vantaggioso anche per il pubblico, perché pagherebbe l’Iva al 10% e non al 22%. Quindi se si ragiona senza partire dal presupposto che noi siamo i depositari del farmaco e nessuno ce lo può togliere, che è una fantasia. E si parte dal presupposto che lo Stato ha bisogno delle farmacie, dopodiché la questione economica è solo una problema di conti e si trova l’equilibrio».

Un lavoro che si intreccia con la nuova governance della spesa farmaceutica. «Va anche capito - continua Cossolo - se il tetto complessivo della spesa farmaceutica è sufficiente o meno e quanto vale il Patient Lifetime Value, ovvero quanto costa la gestione del paziente. Secondo me bisogna valutare quanto il ricorso al farmaco incide su quel costo. Anche se questo è più un discorso da industria farmaceutica che da farmacista».

E sui farmaci innovativi qual è la posizione di Federfarma? «Su questo fronte - conclude Cossolo - anche da parte nostra va utilizzata molta cautela. Innanzitutto bisogna capire. Si distribuiscono? Si somministrano? Seconda cosa: ammesso che definiamo in che cosa consiste l’erogazione, siamo preparati a gestirli? Terzo elemento è la remunerazione. Nessuno sano di mente può immaginare che venga riconosciuto il 26% alla distribuzione quando un farmaco costa diverse decine di migliaia di euro. Se invece per farmaco innovativo intendiamo le incretine e gli inibitori della captazione del glucosio a livello renale nella terapia del diabete, beh questi non c’è proprio nessuna ragione perché vengano dati in ospedale. Quindi bisogna valutare caso per caso: dividiamo somministrazione dalla dispensazione e all’interno della dipensazione facciamo formazione. Perché questi farmaci hanno drammatici effetti collaterali e correlazioni importanti con gli altri medicinali. E questa è una grande opportunità per il farmacista perché lui conosce quali altri farmaci assume il paziente. Ma tutto questo richiede un cambio paradigmatico di approccio e una adeguata preparazione culturale, che non tutta la categoria possiede».


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