Imprese e mercato

L’individualismo non paga, servono sinergie tra stakeholder

di Roberto Stella (presidente Snamid)

L’innovazione tecnologica in medicina è un processo potenzialmente illimitato, con risultati di grande impatto, ma non senza criticità e problemi. Un tema che oggi si traduce in un progressivo “armamento tecnologico” della sanità, trend sempre più massiccio e invasivo.

Un cammino sempre utile e giustificato? Una realtà dai risultati sempre positivi? L’attenzione di opinione pubblica e media si concentra sul vasto campo del biotech, delle biotecnologie biomediche, che conosce cambiamenti e risultati innovativi continui, effetti che vengono non di rado enfatizzati a livello mediatico quasi fossero simbolo delle “magnifiche sorti e progressive” che riguardano la medicina del futuro.

La corsa incessante all’innovazione tecnologica diventa sinonimo di un futuro in cui più efficace sarà la cura del paziente, più mirato e risolutivo l’intervento diagnostico, socialmente più apprezzata la medicina. Ciò è particolarmente evidente nella medicina di laboratorio che, oltre a tecnologie ampiamente consolidate, ha subìto e sta subendo, nell’ultimo decennio, una profonda trasformazione grazie alla diagnostica molecolare, alla disponibilità di piattaforme tecnologiche innovative in grado di interrogare il genoma, il proteoma, con ricadute su prevenzione, diagnosi e cura di molte malattie.

I possibili esiti positivi, per quanto da verificare, devono tuttavia confrontarsi con l’evidenza che già da ora un’innovazione tecnologica con il piede sull’acceleratore comporta incrementi di spesa illimitati, e questo proprio in un momento in cui è in discussione la sostenibilità dello stesso sistema sanitario.

È il caso di diagnostica e tecnologie diagnostiche innovative, è il caso della tecnologia applicata ai vari settori della medicina (laboratorio, imaging, reparti di medicina interna, chirurgie), tecnologia che dilata il suo raggio d’azione e i suoi costi secondo logiche interne qualche volta autoreferenziali. In questo scenario serve una formula per conciliare innovazione tecnologica, sostenibilità economica e sociale che dovrà coniugare competenze, organizzazione e tecnologia.

Sul fronte dell’innovazione in medicina una grande sfida è quella di una medicina che sposi un’ottica di maggior comfort e migliore benessere psicofisico per il paziente, un orizzonte che si raggiunge anche grazie a una ridefinizione del rapporto medico-paziente. È il fronte della “medicina personalizzata”, una medicina capace di nuova attenzione al paziente, alle sue esigenze psicologiche, oltre che fisiche. Un cambio di rotta epocale che rilegge la medicina in termini qualitativi: un vero ritorno alle origini della medicina, attingendo alla sua anima profonda. Il cammino della scienza e la corsa della tecnologia non hanno cancellato il dna di una medicina che, in primo luogo e soprattutto, sia capace di rispondere alle aspettative delle persone concrete pur avvalendosi di innovazioni strumentali e interazione tra i diversi campi della ricerca.

Diagnosi sempre più precise e terapie più efficaci e con effetti collaterali sensibilmente più ridotti, terapie sempre più tagliate su misura dei singoli, sono un punto di arrivo auspicabile. A ciascuno la sua cura: è questa la chiave della medicina del futuro. Che sarà umanista, o non sarà.

Ma qui le riflessioni sul duplice senso dell’innovazione si intrecciano. La principale obiezione a cure ad hoc, indagini personalizzate, terapie mirate al profilo del singolo paziente, è senza dubbio il costo elevatissimo. L’innovazione richiede una governance che al momento non appare adeguata. Una visione d’insieme che, oltrepassando i confini tra settori diversi, le logiche autoreferenziali possa valutare in maniera appropriata quali priorità possano rispondere di più e meglio alle aspettative di salute dei singoli e della società.

Ottimizzazione delle risorse, economicità nel loro impiego, abbattimento delle diseconomie, miglioramento continuo delle prestazioni e soddisfazione del cittadino-paziente, non si può prescindere da queste parole-chiave per offrire una medicina sempre più personalizzata in un’epoca di scarsità di risorse e tagli lineari.

Una riflessione che, dunque, passa al capitolo dei modelli organizzativi, ma soprattutto al tema della responsabilità politica. Medici e organizzazioni sanitarie devono e possono sviluppare i rispettivi ambiti di autonomia, ma sono sempre più chiamati dagli altri stakeholder (pazienti, finanziatori, comunità locali, associazioni dei diritti) a rispondere delle loro scelte e del loro modo di operare. Anche la medicina di laboratorio dovrà puntare sempre più su integrazione e sinergia di differenti competenze, multidisciplinarietà, capacità di acquisizione e gestione delle conoscenze.

Nessun individualismo è possibile, tanto meno in una sanità che risponde ad aspettative di salute che salgono di livello e di quantità.


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