Imprese e mercato

Assobiotec: il 40% delle imprese paga il lockdown ma il settore brilla per fatturato e ricerca

di Ernesto Diffidenti

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24 Esclusivo per Sanità24

Sono 696 le imprese biotech attive in Italia che, pur rappresentando lo 0,02 del totale, attivano un business di 12 miliardi (+5% medio annuo tra il 2014 e il 2018), 20 volte superiore alla media. E' quanto emerge dal nuovo rapporto Assobiotec ed Enea su "Le imprese di biotecnologia in Italia. Facts&Figures" che mostra un settore in crescita, a forte intensità di ricerca e sviluppo, ma che "ha bisogno di rafforzarsi sotto il profilo dimensionale per migliorare la propria competitività a livello internazionale". Due terzi del fatturato biotech, infatti, è generato dalle imprese a capitale estero, che rappresentano appena l'11% delle imprese censite, attive soprattutto nell'area della salute umana. Sono oltre 13mila gli addetti biotech in Italia, di cui il 34% impiegato in attività di R& su cui le imprese censite investono 2,3 miliardi (760 milioni dedicati esclusivamento al biotech) con di oltre il 7% rispetto al 2016 e del 25% rispetto al 2014.

Fra il 2017 e il 2019 sono state registrate oltre 50 nuove start-up innovative attive nelle biotecnologie, segnala il rapporto Assobiote-Enea. Il 49% delle imprese biotech ha come settore di applicazione prevalente quello legato alla salute, il 39% sviluppa prodotti e servizi sia di carattere industriale o alla prevenzione ambientale (30%), il 12% è attivo in genomica, proteomica e tecnologie abilitanti. Le attività biotecnologiche si confermano fortemente concentrate in Lombardia, la prima regione in Italia per numero di imprese (195 pari al 28% del totale), investimenti in R&S intra-muros (30% del totale) e fatturato biotech (45% del totale). Si registra, tuttavia, un progressivo sviluppo delle regioni del Nord-Est e una crescente diffusione di nuove iniziative nelle regioni del Centro (con il Lazio in testa) e del Sud. Particolarmente significativa è stata la crescita della quota del Mezzogiorno, anche se solo in termini di numero di imprese: la quota di imprese biotech con sede nel Mezzogiorno è passata dal 14,4% nel 2008 al 19,4% nel 2019. È la Campania a guidare questo sviluppo.

Imprese che in questa fase di emergenza legata al coronavirus e al lockdown stanno soffrendo. Secondo un sondaggio condotto da Assobiote tra i propri associati ad aprile è emerso che il 60% delle imprese biotech continua a portare avanti il proprio business, anche se in modalità differente, ma il 40% si è visto costretto a ridimensionare (29%) o bloccare (11%) la propria attività. A soffrire sono in particolare le realtà a capitale italiano che nel 13% dei casi hanno dovuto bloccare totalmente le attività in corso, mentre le imprese con headquarter estero sono riuscite tutte a proseguire le attività perché più vicine al mercato e meno esposte ad attività ad alto rischio di ricerca". Tante e differenti le difficoltà operative incontrate fra carenza di clienti (32%), logistica (29%) e crisi di liquidità (25%). Carenza di budget (36%), inaccessibilità dei laboratori e sospensione delle attività di arruolamento di pazienti negli studi clinici (21%), mancanza di materiali (19%) sono invece i principali fattori alla base della frenata delle attività di R&S.

"Fra emergenza coronavirus e ricerca di soluzioni per una nuova ripartenza sostenibile - commenta il presidente di Assobiotec, Riccardo Palmisano - le biotecnologie stanno mostrando il determinante contributo in grado di offrire a livello globale. Anche con lo sviluppo di un nuovo vaccino". L'esperienza attuale, tuttavia, "insegna in primis che gli investimenti in ricerca e innovazione sono fondamentali: essere fermi all'1,3% del Pil rispetto al 3% individuato dal piano Horizon 2020 non è un risparmio, ma significa perdere opportunità di crescita per il Paese" E non basta "ricordarsene solo in piena epidemia sanitaria". Poi che la collaborazione pubblico-privato funziona "e va resa permanente" e che le lentezze burocratiche, "sono i nemici numero uno della velocità d'azione dei settori ad alta tecnologia globalizzati". Per questo Palmisano è tornato a sollecitare la nascita di un'Agenzia nazionale della ricerca "che favorisca il trasferimento delle competenze all'industria e con uno sportello unico coordini le competenze e attragga investimenti". Perché non basta essere i primi nelle pubblicazioni scientifiche, nelle quali gli italiani eccellono, "ma occorre competere sul mercatoglobale con i capitali adeguati anche e, soprattutto, attiratti dall'estero"-


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