Imprese e mercato

Equivalenza terapeutica: serve equilibrio tra diritto, scienza e spesa sanitaria

di Pasquale Frega*, Francesco Saverio Marini** e Vincenzo Salvatore***

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24 Esclusivo per Sanità24

Quando parliamo di equivalenza terapeutica ci riferiamo ad una procedura di valutazione di farmaci contenenti principi attivi diversi (siano essi biologici o di sintesi chimica) che avviene successivamente alla fase di immissione in commercio (almeno 12 mesi dopo) ed ha come obiettivo quello di identificare aree di sovrapponibilità terapeutica nelle quali non siano rinvenibili, alla luce delle conoscenze scientifiche, differenze cliniche rilevanti in termini di efficacia e di sicurezza.

Questa valutazione va distinta rispetto a quella di biosimilarità o bioequivalenza, con la quale si valutano e comparano farmaci biosimilari o equivalenti che contengono lo stesso principio attivo di un farmaco originator, che ha perso la protezione brevettuale. Valutazione che viene effettuata dalle Agenzie regolatorie prima della loro immissione in commercio.

L'equivalenza terapeutica tra farmaci aventi principi attivi diversi, invece, è volta a consentire la messa in gara nello stesso lotto dei farmaci oggetto di comparazione, al fine di stimolare una maggiore concorrenza sul prezzo. Si tratta, dunque, di concetti introdotti a livello normativo con il principale scopo di ridurre la spesa farmaceutica.
L'equivalenza terapeutica rimane un tema estremamente complesso. Se n'è ampiamente discusso durante l'evento organizzato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con la Camera degli Avvocati Amministrativisti, il sostegno dell'Italian American Pharmaceutical Group (IAPG) e del Gruppo Europeo e Nipponico di Farmindustria.

È emerso che l'attuale assetto normativo e regolatorio in Italia, oltre a presentare profili di dubbia conformità alla normativa eurounitaria e costituzionale, è connotato da lacune significative in termini di scientificità e trasparenza. Queste lacune determinano un frequente ricorso alla giustizia amministrativa, che viene chiamata ad esprimersi su un tema estremamente tecnico e complesso e in mancanza di un chiaro parametro di riferimento. L'equivalenza terapeutica va quindi definita con criteri scientifici rigorosi, predeterminati e in modo trasparente. Va, poi, considerato che la valutazione di equivalenza terapeutica non può essere condizionata esclusivamente da ragioni di carattere economico di contenimento della spesa pubblica: bisogna, infatti, tenere in considerazione che essa può avere ricadute significative non solo sull'autonomia prescrittiva dei medici e quindi sulla salute dei pazienti, ma anche sul rispetto della tutela brevettuale, la cui lesione produce l'effetto di disincentivare la ricerca, lo sviluppo e la produzione di terapie innovative nel nostro Paese, con importanti ricadute negative sugli investimenti e sull'occupazione.

Da un'analisi comparata emerge in modo chiaro che le regole stabilite e applicate da AIFA, attraverso la Determina 818 del 2018, evidenziano in termini di scientificità e trasparenza delle decisioni, aree di discordanza rispetto al contesto europeo e internazionale. Gli standard seguiti dall'ente regolatorio europeo EMA per il rilascio delle autorizzazioni per i farmaci biosimilari (farmaci biologici dichiarati biosimilari rispetto al farmaco originator di riferimento non più coperto da brevetto) sono, ad esempio, ben più rigorosi e stringenti rispetto a quelli che l'Agenzia Italiana del farmaco ha stabilito per poter dichiarare terapeuticamente equivalenti farmaci che hanno principi attivi completamente diversi tra loro.

Il mondo scientifico ha manifestato dubbi e perplessità in merito alle regole definite da AIFA. La Società Italiana di Farmacologia, ad esempio, ha già sottolineato che l'equivalenza o sovrapponibilità terapeutica può essere dimostrata solo attraverso studi di confronto diretto con l'ausilio di adeguati registri o studi osservazionali. Questi requisiti non risultano tra quelli attualmente indicati e praticati nelle procedure di AIFA.

Alla luce di tali considerazioni, pur comprendendo le esigenze di controllo e di contenimento della spesa pubblica, si rende necessario introdurre norme più trasparenti e più rigorose dal punto di vista scientifico e, soprattutto, che garantiscano un adeguato bilanciamento tra tutti i diritti e gli interessi coinvolti, privilegiando tra essi – come è costituzionalmente imposto – la tutela della salute.

Non si deve dimenticare, infatti, che limitare le opportunità terapeutiche e l'autonomia del medico nella scelta della cura più appropriata in considerazione delle esigenze del singolo paziente, può avere ripercussioni sulla qualità di vita di alcuni pazienti e ridurre, in alcuni casi, l'aderenza alle terapie.

Oltre a questo, il sacrificio della tutela brevettuale, che, in alcuni casi, può conseguire alla valutazione di equivalenza terapeutica, oltre a limitare la libertà d'impresa, rappresenta un forte disincentivo agli investimenti in ricerca, sviluppo e produzione nel settore farmaceutico. Come sta dimostrando questa lunga fase di emergenza sanitaria, per la stessa tenuta sociale ed economica del Paese, dovrebbe invece essere incentivata la ricerca e l'innovazione in ambito farmaceutico, rappresentando l'industria farmaceutica, un asset strategico per il futuro dell'Italia.

*Presidente Gruppo Europeo e Nipponico di Farmindustria GEF

**Professore Ordinario di Diritto Pubblico, Università di Roma Tor Vergata e Consigliere di Presidenza della Corte dei Conti

***Professore ordinario di Diritto dell'Unione europea presso l'Università degli Studi dell'Insubria e Leader del Focus Team Healthcare & Life sciences, Studio legale BonelliErede.


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