In parlamento

Reati ambientali al rush finale

di Luca Masera (professore associato di Diritto penale Università di Brescia), Stefano Palmisano (avvocato penalista)

Luci e ombre: sia per quel che c'è che per ciò che non c'è. La valutazione comparativa del Ddl in materia di delitti contro l'ambiente approvato dal Senato, rispetto al testo approvato dalla Camera nel febbraio 2014, può riassumersi in questo modo. In questa sede, per ovvie ragioni di spazio, ci si soffermerà solo sulle novità, a giudizio di chi scrive, più rilevanti, omettendo fatalmente numerosi altri elementi che, pure, meriterebbero attenzione.

È confermata l'introduzione nel codice penale di un nuovo titolo dedicato ai delitti contro l'ambiente (che resta l'elemento fondamentale della riforma), all'interno del quale vengono previsti i nuovi delitti di inquinamento ambientale, di disastro ambientale, di traffico e abbandono di materiale radioattivo, di impedimento al controllo, di omessa bonifica e di ispezione di fondali marini con la tecnica dell'air gun.
Novelle significative, di segno opposto, sono state apportate alla formulazione dei primi due (principali) delitti.

Per partire con “le luci”, anzitutto, sia con riferimento al neo-delitto di inquinamento (articolo 452-bis del Codice penale) che a quello di disastro ambientale (articolo 452-ter), è stata eliminata la condizione per la quale, per poter configurare i reati, occorreva la previa violazione da parte dell'inquinatore di norme penali o amministrative specificamente poste a tutela dell'ambiente; oggi è necessario e sufficiente che l'autore del fatto abbia agito “abusivamente”.

Questo è, probabilmente, uno degli emendamenti più utili approvati dai senatori.
La vecchia clausola, infatti, avrebbe potuto provocare notevoli “disguidi” applicativi.
Solo per fare un esempio, con il testo precedente assai difficilmente si sarebbe potuto far rientrare nella fattispecie incriminatrice il caso di un disastro ambientale consumato a mezzo di emissione nell'atmosfera di fibre di amianto, giacché quest'ultima ipotesi è disciplinata da una normativa che non è «specificamente posta a tutela dell'ambiente», ma della sicurezza sul lavoro. E, come ognuno può cogliere, un'evenienza del genere avrebbe comportato un vuoto di tutela intollerabile.

L'avverbio «abusivamente», invece, elimina tale inconveniente, senza per questo violare il principio di legalità nella descrizione della figura di reato e le conseguenti istanze di garanzia dell'imputato, giacché costui sarà chiamato a rispondere della sua condotta solo dopo una valutazione di complessiva illiceità della stessa alla stregua di tutte le norme e i principi giuridici disciplinanti la materia.

Sulla questione, a dire il vero, sono stati espressi pareri contrastanti, ritenendo alcuni autorevoli commentatori che il requisito dell'«abusivamente» farebbe venir meno il reato ogniqualvolta l'attività da cui è derivato il disastro fosse stata autorizzata dall'autorità amministrativa. Tale lettura non ci pare tuttavia convincente, posto che l'avverbio in esame rimanda a una valutazione complessiva di conformità della condotta alla disciplina di settore, che non può essere surrogata dal mero riscontro di un'autorizzazione amministrativa. Anche in presenza di una tale autorizzazione, se l'attività viola i principi normativi in materia di tutela dell'ambiente e della salute, essa può senza difficoltà considerarsi abusiva: sicché le preoccupazioni espresse riguardo agli effetti dirompenti che tale clausola potrebbe produrre, ci paiono in verità facilmente arginabili adottando un'interpretazione equilibrata del testo normativo.

Altro elemento certamente significativo è l'aver fatto espressamente salva, con una clausola posta in apertura della nuova norma di disastro ambientale («Fuori dai casi previsti dall'articolo 434 del Cp»), l'applicabilità della disposizione del codice penale che punisce il disastro cosiddetto “innominato”.

Quando mai si fosse potuta seriamente porre la questione di una, pretesa, depenalizzazione, da parte della nuova norma, delle condotte punibili in forza della previsione oggi vigente, questa clausola di salvaguardia sgombra, a monte, il terreno da ogni eventuale equivoco.
L'ultimo rilevante miglioramento apportato dall'Aula del Senato di cui si vuol dar conto consiste nell'introduzione della cosiddetta “aggravante ambientale”, con la quale si vuol sanzionare, in maniera specifica e adeguata, quella che, nella pratica giudiziaria, emerge sempre più come una sorta di “trasversalità” della criminalità ambientale. La circostanza, infatti, che prevede l'aumento delle pene da un terzo alla metà, si applica «quando un fatto già previsto come reato è commesso allo scopo di eseguire uno o più tra i delitti previsti dal presente titolo, dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o da altra disposizione di legge posta a tutela dell'ambiente, ovvero se dalla commissione del fatto deriva la violazione di una o più norme previste dal citato decreto legislativo 152/2006 o da altra legge che tutela l'ambiente». Per venire, invece, ancora con estrema sinteticità, alle “ombre” del testo, una prima considerazione riguarda il reato di inquinamento ambientale. Per integrare il reato, la compromissione o il deterioramento dovranno riguardare «porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo».

La formulazione legislativa non risolve un quesito che emerge con evidenza: quando le porzioni contaminate di suolo o di sottosuolo potranno ritenersi «estese o significative»? È facilmente intuibile come l'uso di una formula linguistica così imprecisa non potrà che provocare da un lato interminabili dibattiti, più o meno scientifici, in sede processuale; dall'altro, per reazione, una quasi fatale, eccessiva dilatazione del margine di discrezionalità del giudicante.

Un altro profilo di criticità, cui il testo approvato dal Senato ha posto un rimedio solo parziale, riguarda i danni alla salute che possono derivare dalla compromissione dell'ambiente. A questo proposito è stata introdotta una autonoma figura di reato, intitolata «morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale», con la quale vengono aumentate le pene che comunque sarebbero state applicabili in virtù delle norme del codice penale che puniscono l'omicidio e le lesioni colpose.

La norma non ci convince per due diverse ragioni. In primo luogo è del tutto irragionevole che tale disposizione si applichi solo nei casi di inquinamento, e non di disastro ambientale, quando invece proprio la maggiore gravità del disastro rispetto all'inquinamento rende nei casi di disastro più urgente la tutela della salute umana; e inoltre, visto che il reato di disastro si applica in luogo dell'inquinamento quando la compromissione ambientale abbia cagionato un'offesa alla salute pubblica, la nuova figura di reato si applicherà solo nei casi (in realtà difficili anche solo da ipotizzare) in cui la compromissione ambientale non abbia cagionato un'offesa alla pubblica incolumità, ma abbia cagionato morti o malattie di singoli soggetti.

La nuova norma non risolve poi il problema, particolarmente urgente dopo la sentenza della Cassazione sul caso Eternit, della qualificazione giuridica delle situazioni in cui risulti provato da un punto di vista epidemiologico che la compromissione ambientale ha cagionato nella popolazione un aumento di incidenza di determinate patologie, ma per la natura multifattoriale di tali patologie non sia possibile l'individuazione dei singoli soggetti che si sono ammalati proprio in ragione della compromissione. Basta l'evidenza epidemiologica di un danno alla salute per contestare ai responsabili i reati di omicidio o lesioni, o è necessaria la prova della causalità individuale? A tale quesito la norma di nuova introduzione non fornisce risposta, e sarà dunque ancora una volta la giurisprudenza a dover risolvere una questione, su cui invece sarebbe stata auspicabile una chiara presa di posizione del legislatore.

Al netto di questa e di altre criticità che non vi è qui lo spazio per analizzare, la valutazione complessiva di questo disegno di legge è positiva: dopo un'attesa ultraventennale e dopo che la gran parte dei Paesi civili vi ha provveduto da tempo, anche in questo Paese si prova a gettare le basi normative per costruire una seria tutela penale dell'ambiente.


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