In parlamento

Tutte le opacità del Ddl Risk

di Ernesto Macrì (docente Cineas del masterin Hospital risk management e componente del Tavolo Cineas Assicurazione e sanità) e Antonio Furlanetto (risk insurance manager,F&M Martini e Associati)

Il 2 novembre scorso, la Commissione Igiene e sanità del Senato ha licenziato il disegno di legge 2224, recante disposizioni in materia «di sicurezza delle cure e di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie». L’articolato, che ora è all’esame dell’aula, si sviluppa lungo direttrici abbastanza chiare: un maggiore riequilibrio tra i diritti dei pazienti e la responsabilità dei professionisti, oggi oggettivamente sbilanciato a favore dei primi; un potenziamento delle attività di prevenzione e di gestione dei rischi, anche attraverso l’attenzione ai flussi informativi e alla disponibilità di dati; la ridefinizione della responsabilità degli esercenti la professione sanitaria in ambito penale e, soprattutto, civile.

L’articolo 1 reca norme generali di principio in materia di sicurezza delle cure sanitarie, chiamando a concorrere alla realizzazione delle stesse il personale delle «strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private», anziché delle sole «aziende sanitarie pubbliche».

Nel successivo articolo 2, chiarificatoria appare la definizione di «rischi ed eventi avversi» al posto di «errori sanitari», che implica una diversa e, probabilmente, più proattiva visione del risk management in sanità, confermata, tra l’altro, dall’esplicito collegamento alla legge di Bilancio 2015 (la n. 208), dove è prevista la costituzione di un’apposita funzione all’interno delle strutture sanitarie.

Particolarmente rimaneggiato, rispetto al testo approvato alla Camera il 28 gennaio scorso, è l’articolo 5, di cui è evidente l’intento di sistematizzare le linee guida e le buone pratiche clinico-assistenziali, integrandole nel Sistema nazionale per le linee guida (Snlg). In tale contesto, viene notevolmente allargata la platea dei soggetti chiamati a elaborare tali raccomandazioni, avendo previsto anche «enti e altre istituzioni pubbliche e private» accanto alle società scientifiche. Queste ultime, tra l’altro, dovranno possedere alcuni requisiti minimi per poter essere iscritte in un apposito elenco istituito con decreto del ministro della Salute.

In punto di responsabilità civile (articolo 7) il provvedimento appare certamente animato dal proposito di fugare i molti dubbi che aveva generato il decreto legge cosidetto Balduzzi, da un lato, sancendo definitivamente uno sposta- mento del baricentro della responsabilità civile in capo alla struttura sanitaria, pubblica o privata che sia, per tutte le condotte dolose o colpose degli esercenti la professione sanitaria, di cui si sia avvalsa nell’adempimento della propria obbligazione, «anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa»; dall’altro lato, codificando in termini extracontrattuali la responsabilità degli operatori sanitari, con le evidenti ripercussioni sostanziali e processuali, che riguardano essenzialmente la distribuzione dell’onere della prova e dei criteri di imputabilità, nonché il diverso termine di prescrizione. Sono fatte salve, tuttavia, le ipotesi in cui l’operatore sanitario «abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente».

Più problematica pare la soluzione risarcitoria indicata negli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private (danno biologico per le lesioni di non lieve e di lieve entità) che viene ora estesa ai danni provocati dall’esercente la professione sanitaria e dalla struttura pubblica o privata.

Come noto, però, solo l’articolo 139 ha ricevuto attuazione, non così l’articolo 138, delineandosi, in tal modo, un quadro normativo articolato e complesso, il quale continuerà a richiedere un significativo intervento dell’opera giurisprudenziale.

Più problematiche paiono le implicazioni del disegno di legge sui sistemi di copertura finanziaria dei danni e di gestione dei rischi, poiché la nuova disciplina si muove ancora in ambiti di grande ambiguità.

Di assoluto rilievo, in un contesto teso evidentemente a replicare il modello della rca, senza tuttavia precisare l’architettura normativa di rimando, è la previsione contenuta nell’articolo 8, che sancisce l’obbligo per tutte le parti di partecipare al procedimento di consulenza tecnica preventiva, imponendo alle compagnie di assicurazione, tra l’altro, anche l’obbligo di «formulare l’offerta di risarcimento del danno», ovvero di comunicare i motivi per cui si ritiene di non formularla, e, nell’ipotesi, di mancata formulazione dell’offerta, l’invio della sentenza all’Ivass «per gli adempimenti di propria competenza».

Viene dettata una disciplina specifica dell’azione di rivalsa (articolo 9), esercitata, a dispetto di quanto stabilito nel testo approvato alla Camera, dal Pubblico ministero presso la Corte dei conti. Inoltre, nel giudizio di rivalsa «il giudice può desumere argomenti di prova dalle prove assunte nel giudizio instaurato dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o sociosanitaria o dell’impresa di assicurazione», solo se il professionista è stato parte di detti giudizi.

Poco chiara e non ubiquitaria appare l’equiparazione tra le strutture che hanno trasferito il rischio alle assicurazioni e strutture che operano in regime di autoassicurazione: se, da un lato, l’articolo 10 impone un ragionevole obbligo alle strutture sanitarie di iscrivere comunque a bilancio un “fondo rischi” e un fondo riserva sinistri; dall’altro lato, la nuova formulazione dell’articolo 14 - ancorché disponga l’opportuna costituzione di un Fondo di garanzia per i risarcimenti eccedenti i massimali previsti dai contratti di assicurazione stipulati dalle strutture e per le ipotesi di insolvenza del debitore - attribuisce, tuttavia, l’alimentazione di tale fondo solo alle «imprese autorizzate all’esercizio delle assicurazioni per la responsabilità civile per i danni causati da responsabilità sanitaria», senza alcun riferimento, almeno apparentemente, alla posizione delle strutture che hanno optato per il regime di autoassicurazione.

A chiusura del sistema della disciplina dell’assicurazione sono state introdotte alcune specificità per il regime claims-made legato alla vigenza della polizza, prevedendo all’articolo 11, per un verso, l’obbligatoria retroattività della garanzia assicurativa per dieci anni (in precedenza facoltativa e limitata a cinque anni) e, per altro verso, una ultrattività per i dieci anni successivi riferita «a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza incluso il periodo di retroattività della copertura».

Tutte queste novità potrebbero ulteriormente aggravare la già difficile situazione sulla assicurabilità di tale tipo di rischi, come molti commentatori avevano già messo in evidenza.

In conclusione, si tratta certamente di un testo foriero di importanti novità, ispirato da logiche di sintesi e razionalizzazione dei contenuti delle precedenti proposte di legge succedutesi nel corso di circa vent’anni, teso a una sistematizzazione organica della materia, sia sotto il versante dei nuovi profili sostanziali della responsabilità civile e penale, sia sotto l’aspetto del sistema assicurativo, sia attraverso l’indubbio merito di voler investire, tra l’altro, nella gestione preventiva del rischio; un provvedimento, dunque che richiederà un profondo impegno sul piano interpretativo, anche ai fini di un coordinamento con il sistema che deve accoglierlo, dove un ruolo fondamentale, ancora una volta, sarà giocato dall’elaborazione giurisprudenziale.

Ernesto Macrì

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