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Tumori, Favo: «Un milione di pazienti in età lavorativa, 274mila licenziati dopo la diagnosi, servono più tutele»

In Italia nel 2015 un paziente oncologico su tre, pari a un milione di persone, ha affrontato il cancro in età lavorativa. Questi cittadini, oltre all'impatto della diagnosi che segna uno spartiacque nella vita, sono spesso costretti a subire l'esclusione dal mondo del lavoro. Un'indagine condotta dalla Federazione italiana delle Associazioni Volontariato in Oncologia (FAVO) e Censis (2012) ha stimato che nel nostro Paese 274.000 persone sono state licenziate, costrette alle dimissioni, oppure a cessare la propria attività o comunque hanno perso il lavoro a seguito delle conseguenze della diagnosi di tumore. Si è tenuto oggi alla Camera dei Deputati un Incontro-dibattito sul tema: “L'inclusione dei malati di cancro nel mondo produttivo: utopia o realtà?” organizzato da FAVO insieme all'Intergruppo parlamentare delle malattie rare, con il supporto non condizionante di Novartis.

Il numero delle persone con una diagnosi di tumore (recente o passata) continua a crescere: erano 2,6 milioni nel 2010, oltre 3 milioni nel 2015 (di cui uno su 4 può considerarsi guarito). «Ma il cancro non è una patologia che colpisce solo chi è avanti con l'età: secondo dati aggiornati dell'Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) sono 1 milione le persone in età lavorativa con diagnosi di cancro, pari a circa il 30% di tutti i casi prevalenti - afferma Elisabetta Iannelli, Segretario Generale FAVO -. Nel 2015 oltre 300 dei 1000 nuovi casi di tumore al giorno in Italia sono stati diagnosticati a lavoratori. L'AIRTUM ha stimato 130.000 nuovi casi tra 15-64 anni, pari ad un terzo di tutte le nuove diagnosi, di cui oltre 70.000 sono donne in età attiva. L'inclusione lavorativa dei malati oncologici è pertanto un investimento sociale ed economicamente produttivo, un valore anche in termini di professionalità che va tutelato».
Per la deputata Paola Binetti: «È necessario ripensare il cancro come una patologia sistemica che stravolge la vita delle persone e delle loro famiglie e che richiede quindi misure di ampio respiro per tornare a garantire qualità di vita ai pazienti. I farmaci innovativi in campo oncologico sono stati uno dei punti qualificanti della recente legge di stabilità. Ma non di soli farmaci hanno bisogno i malati di cancro. Servono trattamenti riabilitativi che anche su di un piano socio-sanitario restituiscano loro una rinnovata dignità di cittadini inseriti a pieno titolo nella loro vita familiare, sociale e professionale».
«I malati di cancro sono persone a rischio povertà – ha affermato Francesco De Lorenzo, presidente FAVO - poiché, nonostante il Servizio Sanitario Nazionale universalistico, la malattia genera un aumento dei costi sociali diretti e indiretti ed una diminuzione dei redditi: la cosiddetta tossicità finanziaria del cancro. L'indagine Favo-Censis del 2012 ha rivelato che il 78% dei malati oncologici, infatti, ha subito un cambiamento nel lavoro in seguito alla diagnosi: il 36,8% ha dovuto fare assenze, il 20,5% è stato costretto a lasciare l'impiego e il 10,2% si è dimesso o ha cessato l'attività (in caso di lavoratore autonomo). Le persone malate vogliono continuare a lavorare ed essere parte attiva della società».

La testimonianza dell’ex paziente Alberto Cerretti, lavoratore subordinato con esperienza di malattia, ha dichiarato che «Il malato oncologico, ancora oggi, incontra notevoli difficoltà nel rientrare o nel permanere con piena dignità nel mondo produttivo. Anche nelle aziende di grandi dimensioni spesso accade che le esigenze del malato oncologico, soggetto fragile sia dal punto di vista fisico che psicologico, non siano accolte e gestite adeguatamente anche per mancanza di percorsi di tutela ad hoc».
«È importante che quanto prima tutte le partite IVA colpite da patologie gravi come quelle oncologiche (e sottolineo tutte, senza discriminazioni tra le varie casse previdenziali) possano vivere con dignità la propria malattia potendo contare su quella base di tutele che la stessa Costituzione (art.38) prevede per ogni lavoratore in difficoltà - ha affermato Daniela Fregosi, alias Afrodite K -. Lo Stato non può continuare a fare differenza tra lavoratori perché la malattia non ne fa».

Disability management
Giuseppe La Torre, Sapienza Università di Roma: «Le attività di ritorno al lavoro vanno programmate nell'ambito di un processo di comunicazione complesso e continuo. Questo supporto può venir svolto da una figura specifica, il disability manager il cui obiettivo è quello di ridurre l'impatto della disabilità sui luoghi di lavoro. In Italia esiste solo in pochissime grandi realtà aziendali».
Il senatore Maurizio Sacconi, presidente della Commissione Lavoro del Senato, ha dichiarato che «i contratti collettivi nazionali, e forse ancor più quelli aziendali, possono realizzare uno scambio virtuoso tra minore tutela delle assenze brevi e allungamento dei periodi di comporto per le gravi patologie. Ma, soprattutto, possono definire concreti percorsi formativi che aggiornino le competenze e le abilità di chi è costretto a lunghe assenze. Più in generale il lavoro 4.0 relativizza l'orario di lavoro e consente attività da remoto».


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