In parlamento

Vaccini, Dirindin: «Nessuna emergenza sulle coperture, con obbligo si rischia l’effetto boomerang»

di Barbara Gobbi

«Non esistono reali emergenze sulle coperture. Tra il 2005 e il 2013 il Piano nazionale vaccini ha funzionato. Si registra soltanto una lieve riduzione a partire dal 2013: ci chiediamo perché Istituto superiore di Sanità e ministero della Salute non abbiano messo in campo già allora una serie di misure utili a invertire la tendenza al ribasso». La senatrice Nerina Dirindin (Art.1-MDP), prima firmataria del Ddl 2836 “Disposizioni in materia di malattie infettive prevenibili con vaccini”, anticipato su Sanità24 e presentato ufficialmente oggi in Senato, ci tiene a sottolineare di essere a favore delle vaccinazioni, che sono «importanti strumenti di salute pubblica». Ma proprio per questo, afferma, non vanno utilizzati «come sta accadendo in questa fase storica, a fini ideologici e politici». Il messaggio, in primis alle istituzioni, è inviato forte e chiaro. «Non ci sono vere esigenze scientifiche che la mera obbligatorietà, tantopiù se sommata a sanzioni pesanti, aumenti la copertura. Con il decreto legge del governo, se non sarà modificato, rischiamo di ottenere l’effetto boomerang e di alimentare le polemiche e gli interessi dei no vax», prosegue la senatrice.

«Incentivare l’adesione consapevole delle famiglie, ampliare gli orari di lavoro, oggi ridotti, degli operatori dei servizi vaccinali, garantire la gratuità delle vaccinazioni, così da non creare sperequazioni basate sul reddito, formare adeguatamente i medici dei servizi vaccinali, considerare davvero, il tempo dedicato alle “mamme”, come un tempo di cura». Questi gli ingredienti indispensabili, secondo Dirindin, di ogni ricetta che voglia estendere la platea dei vaccinati. Che «è l’ultimo atto - chiarisce la senatrice - di un percorso complesso derivante da scelte scientifico-culturali. Siamo amareggiati nel vedere come in Italia si faccia uno slogan della salute dei bambini».

Anche se non detto esplicitamente, insomma, il Ddl Dirindin, sposa la scelta fatta in Veneto e rilanciata dal governatore Luca Zaia, cheieri ha annunciato il ricorso alla Consulta contro il decreto governativo sull’obbligo vaccinale . «In dieci anni - ricorda l’igienista Massimo Valsecchi che ha seguito tutta la gestione veneta dell’addio all’obbligo - siamo riusciti a ottenere buone coperture e a recuperare un ritardo vaccinale che, erroneamente, nel decreto legge del governo viene confuso con l’opposizione. Il Veneto ha puntato sul miglioramento della qualità dei servizi e sulla farmacovigilanza, promuovendo un’offerta attiva e consapevole, per accrescere la fiducia della popolazione nel Ssn. Con il decreto Lorenzin che impone i vaccini come un Tso, la Sanità pubblica, non soltanto quella vaccinale, rischia di fare un passo indietro di oltre 50 anni. Vorrei inoltre ricordare che i vaccini sono solo una parte, di questa Sanità pubblica, e che ci sono partite ben più importanti che rischiano di restare nell’ombra e non finanziati: penso ai 3 screening per i quali abbiamo certezza di validità, al Piano nazionale demenze, al Piano nazionale della prevenzione. Questi macro temi, avrebbero bisogno di attenzione e risorse».

Già, le risorse. Per l’epidemiologo Vittorio Demicheli, esperto di vaccini della Cochrane Collaboration e già vicedirettore della sanità piemontese, la stima dei maggiori costi a livello nazionale per l’applicazione del decreto legge «si aggira sui 100 milioni in più a livello nazionale. Nel “civilissimo” Piemonte, a una prima ricognizione ci siamo accorti che molte Asl devono ricostruire 15 anni di monitoraggio (il decreto legge prevede l’obbligo fino ai 16 anni) basandosi su faldoni di carta. Se il decreto resterà così com’è, inevitabilmente si creerà il caos: si dovrà ripercorrere la storia vaccinale non soltanto dei 50mila inadempienti, ma di tutti i 500mila interessati. Senza contare i costi e il sovraccarico organizzativo connesso alle sanzioni fissate dal decreto: la mia Regione da due decenni ha scelto di non applicarle perché erano essenzialmente uno strumento utile ad arricchire le associazioni no vax».

L’emergenza organizzativa, secondo la presidente dell’Associazione culturale pediatri e pediatra di famiglia in Monza-Brianza Federica Zanetto, dilagherà anche in Lombardia. «Auspichiamo un riaggiustamento del decreto. Del resto, l’Acp già nel 2006 con il documento “8 passi di prevenzione a tutela della salute dei bambini”, ha scelto di valorizzare l’informazione alle famiglie e la loro scelta consapevole, la formazione dei pediatri, la comunicazione tra i pediatri e gli “uffici” di sorveglianza delle malattie infettive, i luoghi e i modi del coordinamento e dell'attuazione degli piani di prevenzione regolati da norme di legge e rigorosi criteri di metodo, la ricerca e infine i costi».

In Lombardia l’assessore Gallera si sta attrezzando per ottimizzare la risposta del Ssr e coordinarsi con le scuole e le Asl, ma già oggi il presidente Roberto Maroni ha sposato la scelta del Veneto. Zaia, a suo avviso, «ha preso una decisione condivisibile. Anche se Regione Lombardia non farà ricorso - ha detto il governatore - comunque il ricorso del Veneto gioverà a tutte le Regioni. Non è necessario fare ricorso per ottenere i benefici di un'eventuale decisone favorevole della consulta. Noi abbiamo una mozione del Consiglio regionale che dice altre cose. Il ricorso del Veneto se venisse accolto gioverebbe a tutte le Regioni, perché la Consulta dichiarerebbe incostituzionale quel decreto. Ne ho già parlato con il governatore della Liguria Giovanni Toti e ne parlerò oggi in Giunta. Il ricorso del Veneto se venisse accolto gioverebbe a tutte le Regioni, quindi anche alla Regione Lombardia», ha ribadito Maroni


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