In parlamento

Def 2018, disuguaglianze, disagio sociale e povertà protagonisti delle audizioni

di Barbara Gobbi

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24 Esclusivo per Sanità24

I moniti più drammatici arrivano dalla Corte dei conti e dall'Istat. Ma anche il ministro dell'Economia uscente, Pier Carlo Padoan, pur nell'ambito di una relazione nel complesso positiva, non ha tralasciato di richiamare l'attenzione su un «disagio sociale che non si è arrestato» e su «disuguaglianze in alcuni casi cresciute». La carrellata di audizioni sul Def 2018 - l'8 e il 9 maggio davanti alle Commissioni speciali riunite nella Sala del Mappamondo di Montecitorio - ha avuto tra i temi protagonisti l'allarme per un Paese in cui il welfare in generale, ma anche i servizi sanitari, scricchiolano pericolosamente.

Corte dei conti: «no a una "spending" sulla pelle dei cittadini. Politiche sanitarie siano inclusive». «Il quadro che emerge dal Def 2018, pur testimoniando i progressi ottenuti nell'azione di risanamento, rimane ancora complesso. Il difficile percorso che ci attende non consente cedimenti o rallentamenti ma richiede scelte coerenti», ha affermato il presidente della Corte dei conti, Angelo Buscema. Che rispetto a un nuovo round di spending review, intanto, richiede «che vengano adottate scelte selettive in assenza delle quali è a rischio di un graduale spostamento della spesa verso quella a carico dei cittadini». Nel dettaglio, ha proseguito Buscema, «nel Documento si registra una flessione della quota del Pil destinata a servizi come sanità o trasporti», che dimostrerebbe «quanto limitati siano i margini entro i quali i cittadini possono attendersi un miglioramento nella qualità dei servizi». Da qui le richieste di prestazioni previdenziali «adeguate», di politiche di assistenza che «puntino alla inclusione», di «non mettere a repentaglio la sostenibilità finanziaria» e di «salvaguardare alcuni degli equilibri già conseguiti in singoli comparti». Secondo la magistratura contabile - pur rispetto a un quadro sostanzialmente positivo - non si deve prestare il fianco a «cedimenti»: il modello di welfare deve, inoltre, «gestire l’accesso alle prestazioni assistenziali in una logica di unitarietà ed assicurando anche una maggiore correlazione tra i servizi resi e le condizioni economiche e sociali complessive delle famiglie che li richiedono». Vere e proprie esigenze, anche considerando «l'evidenza di scenari demografici che potrebbero comportare un crescente assorbimento di risorse pubbliche per far fronte all'invecchiamento della popolazione».

L'Istat: «5 milioni di italiani in povertà assoluta». Anche il Cnel mette al primo posto le emergenze povertà e gap Nord-Sud. Ma è l'Istat a lanciare l'ennesimo allarme sulle condizioni socio-economiche della popolazione: «Sono 5 milioni - ha affermato il presidente dell'Istituto di statistica, Giorgio Alleva, gli italiani in povertà assoluta, quelli cioè che non riescono a far fronte a spese essenziali per il mantenimento di livelli di vita "minimamente accettabili". Il fenomeno ha raggiunto una soglia limite e il numero non fa che aumentare: nel 2017 si contano 261 mila individui in più in tali condizioni rispetto al 2016 e il confronto è ancora più implacabile guardando al periodo precedente la crisi economica. Oggi l'8,3% della popolazione italiana vive in difficoltà estrema, contro appena il 3,9% del 2008, anno di inizio della recessione. Le famiglie in povertà assoluta sono 1,8 milioni, con un'incidenza del 6,9% sul totale dei nuclei, in crescita di sei decimi rispetto al 6,3% del 2016 - pari a 154mila famiglie in più - e di quasi tre punti rispetto al 4% del 2008. L'aumento dipenderebbe in parte dalla ripresa dell'inflazione verificatasi lo scorso anno, ma anche dal peggioramento della capacità di spesa di molte famiglie, concentrate soprattutto al Sud. I dati mostrano infatti aumenti nel Mezzogiorno, anche se a non essere esente è anche il Nord Italia, e una diminuzione al Centro.


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