In parlamento

Decreto bollette/ Quell'emendamento "creativo" per chiudere le procedure contabili delle Regioni in piano di rientro

di Ettore Jorio*

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24 Esclusivo per Sanità24

In un Paese ossessionato da un numero irragionevole di leggi, con provvedimenti scritti in una lingua soventemente incomprensibile ai diretti destinatari costretti a subirne gli effetti, con una Corte costituzionale che ne falcidia tanti non si perde mica il vizio della politica ad assalire la diligenza parlamentare in occasione delle conversioni dei decreti legge. Questi ultimi troppo utilizzati per regolare l’ordinario e non già nei previsti casi straordinari di necessità e urgenza (art. 77, c. 2, Cost). Ciò capita nonostante le lezioni che offre la Corte dei conti nel sottolineare l’uso distorto delle applicazione delle leggi in materia di bilanci, tanto da aggravare la difficile situazione del debito pubblico.
Di recente, si registra il quasi massimo dell’arbitrio del ruolo di parlamentare, soventemente esercitato per suggerimento delle Regioni e di Città Metropolitane, interessati a redigere, presentare e far passare emendamenti “fuori legge” perché in netta contrapposizione alle regole costituzionali e fondamentali dell’ordinamento.
Insomma, è diventato diffuso oltre ogni limite di esercitare la politica territoriale passando per leggi compiacenti piuttosto che metterle a terra con provvedimenti amministrativi. Ciò per eludere il vaglio della magistratura amministrativa, spesso attenta a sollevare eccezioni di incostituzionalità in via incidentale, ma anche elusorio dell’interessamento della Corte dei conti, oggi più che mai divenuta attenta al rispetto dei principi contabili insiti nella Carta, tanto da renderla il secondo Giudice remittente alla Consulta, dopo quello ordinario.
L’evento
Ebbene, con la conversione del decreto legge 34/2023, quello noto come il “decreto bollette”, se ne sono viste delle belle (rectius, delle orribili). Su 576 emendamenti presentati 263 sono stati dichiarati inammissibili. La dimostrazione di tutto questo è che il 46% degli emendamenti erano proiettati a rapinare le regole (Commissioni riunite VI e XII della Camera dixerunt). La maggior parte perché non c’entravano nulla con il provvedimento all’esame, altri perché offensivi della Costituzione e dei principi fondamentali dell’ordinamento contabile.
Insomma, con la scusa delle conversioni si tenta di tutto e di più, persino di incentivare l’alterazione dei conti del condominio.
Un esempio da cartellino rosso
Il massimo lo hanno realizzato alcuni deputati con l’emendamento 9.012 (che si allega), riferito a una creativa chiusura delle procedure contabili straordinarie delle aziende sanitarie sottoposte a piano di rientro. Ha rappresentato un tentativo plateale di fare approvare una legge (molto) ad personam, nella quale è davvero facile individuare le Regioni mandanti e beneficiarie, con ovvia lesione dei diritti delle collettività di riferimento.
Leggendolo si arguisce come sia stato redatto male e come la sua ratio fosse offensiva dei canoni della contabilità pubblica. Un simile proposito se utilizzato in una società quotata in borsa avrebbe fatto gridare allo scandalo e imputare di reati gli ideatori, i decisori e gli organi di revisione, per non parlare degli azionisti.
La sua lettera ha costituito nel suo insieme una offesa alla lingua italiana, ai principi che regolano la contabilità e alla volontà legislativa di armonizzare i bilanci pubblici. Non solo. Ha fornito prova di una complicità interistituzionale di aggirare l’obbligo di fare emergere le responsabilità pregresse in materia di violazioni contabili bel individuabili. E ancora. Se divenuta legge avrebbe concretizzato un inganno alla trasparenza dei bilanci dovuti alla Nazione, particolarmente a quelli delle Regioni ispiratrici, eventualmente portate ad usufruire dello stratagemma.
Alla sua prima lettura, forse perché incoraggiati in tale senso dal cognome del primo dei proponenti (Benigni, Cannizzaro e Arruzzolo), si è pensato ad una burlata del Roberto nazionale. Così, ahinoi non era. Tutt’altro, atteso che si ha il verosimile sospetto che, considerata la temerarietà del tentativo e l’assoluta strumentalità dell’assunto, una tale “soluzione” legislativa sarà certamente oggetto di ulteriori esperimenti parlamentari, se non addirittura governativi di “urgenza”. Ciò certamente a causa della chiara volontà di sopperire, con un siffatto stratagemma, alla storica responsabilità di avere consentito, tra l’altro, la generazione di crediti indebiti (solitamente per extra-budget in favore di erogatori privati, la cui remunerazione è peraltro interdetta per come ampiamente argomentato nella recente sentenza della Consulta n. 76/2023, rel. de Petris) di valori complessivamente miliardari.
In buona sostanza, con una tale invenzione si è tentato di risolvere i problemi da decenni aperti sul problema ricorrendo a sotterfugi offensivi delle certezze del diritto segnatamente contrari alle più elementari regole garanti della chiarezza, della verità, della correttezza e della trasparenza nonché alle regole costituzionali che pretendono l’ossequio dell’equilibrio economico.
Principi questi negati da un vocabolario, cui hanno fatto ricorso i tre redattori, a-tecnico a tal punto da raggiungere una terminologia quasi gergale, un evento inimmaginabile in altre sedi parlamentari europee. Era infatti impensabile, sino a qualche giorno fa, leggere che «Le risultanze dello stato patrimoniale del bilancio di esercizio per l'anno 2022 da parte delle aziende sanitarie delle regioni sottoposte al Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, che hanno posto in essere l'operazione straordinaria di circolarizzazione obbligatoria dei fornitori sul debito, e la continuità nella tenuta delle scritture contabili, per come comprovata dalle evidenze del Nuovo sistema informativo sanitario (NSIS), tengono luogo, in assenza di altro documento contabile approvato dai competenti organi aziendali»
Cosa vuol dire tengono luogo, lo sa solo chi ha pensato di ricorrervi. Secondo il Treccani infatti una simile locuzione starebbe a significa l’essere fatto, il verificarsi, il tenersi o il compiersi nulla a che fare, dunque, con l’intenzione manifesta, ma per molti versi incomprensibile, del tentato legislatore di sostituire il bilancio come Iddio comanda. Con questo, ed è appena il caso di ricordarlo che non esistono nel nostro ordinamento «altri documenti contabili» approvati da organi pubblici sostitutivi dei quelli canonici individuati dal codice civile e dalla disciplina, nel caso di specie, dal d.lgs. 118/2011 (art. 28).
Non è finita qui. Con il «costituiscono adempimento attuativo dei principi contabili applicati», non si comprende ove sia andato a finire l’ineludibile principio della continuità dei bilanci, attraverso il quale il nuovo inizia inderogabilmente dove il vecchio finisce.
Il perché e l’obiettivo
La proposizione di una simile ipotesi legislativa integra una chiara confessione di illegalità commesse nella tenuta della contabilità pubblica funzionale a rappresentare una buona prassi piuttosto che il contrario nella gestione della spesa e, con questo, evitare la chiamata a responsabilità della filiera dei committenti. Non solo da parte del giudice contabile.
Di conseguenza, solo che si voglia ripristinare la legalità nelle contabilità del sistema sanitario occorre non ricorrere a strumenti simili bensì rintracciare una disciplina di bonifica dei conti maltenuti con chiara espiazione delle sanzioni previste per i responsabili. Non farlo, si continuerà così ad libitum creando danni intergenerazionali e alimentando disappunto e sfiducia nelle generazioni future.
Il Giudice c’è e non le manda a dire
Del resto, nella giurisprudenza della Corte dei conti si rintracciano analisi chirurgiche di eventi riprovevoli emersi negli anni.
Al riguardo, si leggano due deliberazioni che fanno da pendant all’argomento trattato. Sono da studiare con la dovuta attenzione, nonostante il linguaggio chiaro cui le stesse pervengono nonostante l’astrusità del tema, la n. 30/2022 (relatrice D’Ambrosio) e la n. 31/2022 (relatore Sucameli) entrambe (allegate) prodotte dalla Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Lazio, che ha preso rispettivamente il ciclo di bilancio dell’Azienda sanitaria locale Roma 2 e di quella di Latina riferiti alle annualità 2017-2019.
Il quadro che ne esce è sconcertante, verosimilmente assimilabile a quanto si riuscirebbe ad evidenziare, con il medesimo impegno profuso della Corte laziale, in tutte le Regioni in piano di rientro. Da qui, l’emendamento in salsa calabrese di cui sopra dal titolo « Disposizioni per la chiusura delle procedure contabili straordinarie delle aziende sanitarie delle regioni sottoposte a piano di rientro».
Il tema che scotta
Le Regioni in piano di rientro sono da sedici anni sottoposte a modalità gestorie vigilate. Una vigilanza che tuttavia sta dimostrando essere improntata e caratterizzata da superficialità enormi. Per non parlare di quelle commissariate ad acta, originariamente cinque (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio e Molise) con tre successivamente premiate con il ripristino della gestione politica (Abruzzo, Campania e Lazio) che ritorneranno probabilmente tre con il ritorno a regime sostitutivo del Lazio, interessato forse a divenire tale perché in un assoluto stato di precarietà, sia sul piano del rispetto delle norme contabili che dei saldi rappresentati, nel come e nel quantum. Una previsione che è facile immaginare, anche sul piano della convenienza della nuova legislatura, leggendo attentamente i pesanti rilievi che il Giudice dei controlli laziale addebita a quelle pregresse.
Alle anzidette Regioni si è consentito, nel disordine generale, troppo e male, persino di divenire piccole repubbliche esercenti poteri legislativi nettamente in esubero ai limiti costituzionali.
Le anzidette delibere ben vergate dal controllo dei conti del Lazio scopre le carte e spiega bene i marchingegni messi su dalla gestione politica regionale capitanata da Nicola Zingaretti.
Un impianto normativo segnatamente autonomo, introduttivo di una sorta di (molto) soft law, recato da decreti commissariali e delibere giuntali di natura regolamentare che, unitamente a circolari e linee guida, hanno costituito il passepartout per arrivare a disciplinare la costruzione e redazione del bilancio della aziende sanitarie secondo convenienze politiche e non già secondo diritto e utilità pubblica.
Tutto questo ha reso inagibile i bilanci sul piano della rappresentazione chiara e veritiera, aggravata da indicazioni fornite dalla Regione alle aziende sanitarie nella quali è facile intravedere una precisa indicazione a fornire saldi non affatto veritieri e dunque a pervenire a risultati di gestione contraffatti. Non solo questi derivanti da riaperture di bilanci consuntivi già chiusi per intervenire su di essi per dimostrare capacità gestionali non possedute attraverso artate appostazioni di introiti straordinari, legislativamente differibili all’esercizio successivo a titolo di sopravvenienze attive consentendo di contro un uso distorto delle componenti straordinarie.
Si è difatti fatto ricorso a stralci di debiti e crediti insussistenti, con particolare riferimento a note di credito da ricevere da erogatori privati per extra budget corrisposti, non affatto contabilizzate come corrispondenti insussistenze positive e negative, impiantandole invece direttamente, ma indebitamente, a livello patrimoniale nel fondo di prima dotazione. Un modo, questo, per eludere artatamente i risultati economici di periodo – dovuti agli utenti in forma assolutamente veritiera anche sulla base delle vigilanze previste - cui dovere dare altrimenti rimedio attraverso i normali mezzi finanziari resi disponibili dall’ordinamento. Una brutta “abitudine” che ha avuto origine nel Lazio con il deprecabile assunto recato dal DCA n. 521/2018 ove si individuava la “soluzione” nell’evitare l’appostazione nel conto economico delle insussistenze dell’attivo tra i componenti negativi di reddito ma di spesarle con la contropartita innocua di “fondo di dotazione” destinato così a perdersi nel tempo. Il tutto ricorrendo tra l’altro a note di credito scollegate dalla realtà contabile perché prive di titolo sottostante, in quanto tali funzionali a mascherare erogazioni effettuate dai privati senza copertura ma retribuite ai medesimi attraverso il ricorso al sistema cosiddetto del castelletto fatture.
Una chiara elusione di tutto: della Costituzione, delle regole ordinamentali, dei doveri politici e dele rispetto dei diritti della cittadinanza. E dire che si è tentato, con l’emendamento trattato, di replicarne maldestramente gli effetti, sperando che finisca qui e subentri il rinsavimento dovuto alla Repubblica e alla Nazione.

* Università della Calabria


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