Lavoro e professione

Ricetta per una laurea in Medicina che abbia un futuro

di Roberto Carlo Rossi (Presidente Omceo Milano)

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24 Esclusivo per Sanità24

È uscito in Gazzetta Ufficiale il regolamento relativo al concorso per l’accesso alle scuole di specialità per l’anno accademico 2015-16. Il decreto è tardivo e, dopo le brutte figure dell’anno scorso, sarebbe stata auspicabile una maggiore attenzione da parte dei ministeri coinvolti (Miur e Salute). Tuttavia, ancora non si sanno ancora con esattezza i posti a concorso distribuiti per scuole di specialità nonostante si sia a primavera inoltrata!
Dalle ultime indiscrezioni sembra che verranno messe a concorso 6.600 borse per l’accesso al primo anno di specialità, a fronte di 12.000 immatricolazioni e di un fabbisogno valutato dalla “Stato-Regioni” di 8000 specializzandi.

Quelle che seguono sono le considerazioni maturate dopo aver letto un documento firmato da moltissimi medici aspiranti specializzandi e da moltissimi laureandi in medicina e dopo aver ascoltato la Commissione Giovani Medici e Precariato Medico dell’Ordine di Milano.
Che Stato può mai essere quello dove si assicura la laurea a un numero di colleghi di molte migliaia superiore al numero di medici che troveranno poi effettivamente lavoro perché in possesso del titolo di specialità?
Ad oggi, con le attuali leggi, senza un diploma di specialità o del triennio in Medicina generale, la laurea in Medicina non serve praticamente a nulla, se non a fare qualche lavoretto sottopagato e di basso profilo.

Ritengo, dunque, improcrastinabile che le Università, i ministeri preposti e le Regioni attuino immediatamente una seria programmazione al fine di non sprecare importanti risorse per il corso di laurea e, di contro, di concentrarsi sul finanziamento della preparazione degli specialisti.
A questo si aggiungono le considerazioni sulle modalità di svolgimento del concorso nazionale, che riguardano principalmente come l’esame viene condotto e quanto viene valutato il curriculum personale dello studente.
Innanzi tutto, l’esame dovrebbe svolgersi in poche sedi (al massimo cinque o sei) sull’intero territorio nazionale, per cercare di uniformare il più possibile i comportamenti dei commissari, assicurando ai candidati analoghe difficoltà e omogeneità nei criteri di valutazione.
Le prove andrebbero videoregistrate, evitando strumentali richiami alla privacy. Le videoregistrazioni, in tal modo, in caso di contestazioni, potranno essere utilizzate delle Autorità competenti, a tutela di chi si comporta correttamente. Andrebbe, al riguardo, stilato un regolamento, in collaborazione con gli Ordini e con la Fnomceo, da rendere cogente in tutta Italia.
Infine, assumendomi il rischio di sostenere una tesi ritenuta non politicamente corretta, credo debba essere tenuto in debito conto, nella valutazione complessiva del candidato, il valore dell’Università dove si è laureato. In tutto il mondo, infatti, nessuno si scandalizza se l’ultima università del Delaware è valutata meno della Columbia University. Perché anche in Italia non può essere assunto lo stesso criterio?
Un’Università dove insegnano e lavorano docenti inseriti in prestigiosi network scientifici mondiali e che producono correntemente studi pubblicati sulle più autorevoli riviste scientifiche internazionali, perché deve essere valutata come una sede ove gli impact factor degli articoli pubblicati sono bassissimi e dove nessuno del corpo docente è noto per la sua autorevolezza scientifica?
Insomma, quello che l’Ordine di Milano propone è di sprovincializzare le università italiane e cogliere l’occasione del concorso nazionale per far letteralmente esplodere la meritocrazia.
L’anno scorso, in prima applicazione, i Ministeri competenti hanno fallito. Uniamo le forze affinché quest'anno si riesca ad uscire dalla palude: è una battaglia che possiamo vincere con la collaborazione di tutti, Ordini e Federazione in prima linea!


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