Lavoro e professione

Il Pronto soccorso spiegato ai cittadini

di Barbara Gobbi

Un paziente al secondo entra ogni giorno in una struttura di Pronto soccorso in Italia. Che si tratti di codici bianchi o rossi, per gli italiani la vera porta d’accesso al Servizio sanitario nazionale, sempre più sfruttata in tempi in cui il riordino della medicina territoriale è in stallo, sono i Dea. Per questo la Simeu, la Società italiana di medicina-urgenza che riunisce medici e infermieri, ha deciso di raccontare le caratteristiche, le difficoltà, l’organizzazione del lavoro e delle cure ai cittadini.

Lo fa con la Settimana nazionale del Pronto soccorso (16-24 maggio), che alla sua seconda edizione si arricchisce della partnership con il Tdm-Cittadinanzattiva. Al via quindi, insieme a sessioni nelle scuole, simulazioni e open day in molte strutture italiane, un monitoraggio civico condiviso dei Pronto soccorso di 90 strutture in tutta Italia, che indaghi sia il versante più prettamente clinico (la parte curata da Simeu) sia l’attenzione riservata ai pazienti e le difficoltà rilevate (a cura Tdm). In più, al centro delle giornate sarà anche il tema clinico della gestione del dolore in emergenza. Un ambito fino a ieri trascurato (secondo il Tdm solo nel 52% dei Ps esistono protocolli o procedure per ridurre il dolore durante manovre o interventi dolorosi) e su cui Simeu ha deciso di intervenire con un programma capillare di formazione, che ha portato a un aumento dell’80% nella somministrazione precoce di farmaci appropriati e a un consumo di oppiacei pari a +100% nelle strutture piùù sensibili.

Di Pronto soccorso è quanto mai opportuno parlare e riparlare: malgrado ogni anno scatti il leitmotiv del sovraffollamento e delle barelle esaurite a causa del picco influenzale (quest’anno il più pesante del decennio); malgrado aleggi ovunque - ma di fatto è ancora merce rara - la figura del “bed manager”, che dovrebbe organizzare secondo appropriatezza la dislocazione dei posti letto e gestire il flusso di ricoveri in entrata e uscita, il pronto soccorso è ancora l’area di interesse pubblico ad accesso maggiormente critico per i cittadini. Non siamo all’anno zero, come tiene a sottolineare Ilde Coiro, la dg dell’Ao San Giovanni Addolorata (che ha ospitato il convegno di lancio della “settimana” Simeu) presentando iniziative di umanizzazione e gestione dei percorsi. Ma la stessa ministra della Salute Beatrice Lorenzin, nella lettera di saluto inviata all’iniziativa Simeu-Tdm, ricorda le difficoltà. «Occorre ottimizzare gli sforzi non solo per garantire il mantenimento dei livelli ma, soprattutto, il perseguimento di una strandardizzazione e un’omogeneizzazione di un elevato livello di qualità», si legge nella lettera.

Tema rilanciato dal presidente Simeu Gian Alfonso Cibinel, che parte dalla formazione: «Non chiediamo più risorse ma che quelle esistenti siano allocate al meglio - esordisce -. Lo scorso anno per il bando delle Scuole di specializzazione in emergenza-urgenza sono stati messi a disposizione circa 80 posti ma ne servirebbero 3-4 volte di più». In attesa del bando del Miur che dovrebbe indicare le borse per specialità, restano sul tappeto temi scottanti: dalla definizione di percorsi per i pazienti che coinvolgano l’intero ospedale (perché in Pronto soccorso si entra per esserne successivamente dimessi o per approdare al reparto di compentenza, e non per stazionare fino a 10 ore in attesa di diagnosi, come segnalato dal Tdm), alla messa a punto di “Piani di gestione del sovraffollamento” su cui a oggi, sottolinea ancora Cibinel, «si sono dimostrate sensibili poche regioni come Lazio, Piemonte e Lombardia». E ancora, servono progetti ad hoc per le patologie tempo-dipendenti, perché ogni cittadino che arriva in Pronto soccorso è un caso del tutto a sé. Poi c’è il versante degli operatori, ridotti all’osso e spesso mal distribuiti soprattutto nelle Regioni in piano di rientro (il Lazio sta correndo ai ripari con l’attivazione di un tavolo di esperti per monitorare i casi di cattivo funzionamento e ha imposto il bed manager ai direttori sanitari) e a continuo rischio burnout per condizioni di lavoro spesso insostenibili.

Ad accendere i riflettori sul convitato di pietra dell’iniziativa, la mancata o inadeguata risposta del territorio, è il coordinatore nazionale del Tdm-Cittadinanzattiva Tonino Aceti. «La vera porta d’accesso al Ssn è il Pronto soccorso e non sono certo i medici di famiglia, attacca, di cui una parte sostanziosa continua ad annunciare per il 19 maggio uno sciopero a cui siamo contrarissimi. Basti pensare che a leggere gli ultimi dati del Conto annuale della Ragioneria dello Stato, l’unico settore con trend in aumento è quello della medicina di base. Mentre gli ospedali, malgrado i tagli a posti letto e personale, continuano a incarnare per i cittadini di cui da sempre rileviamo il giudizio, l’essenza stessa della sanità pubblica. Certo è che bisogna intervenire sulle disparità: in giro per l’Italia scopri ad esempio che al San Giovanni Bosco di Napoli non hanno ancora codificato il triage, mentre i cittadini - gravati dai ticket sui codici bianchi che noi consideriamo alla stregua di una vera e propria tassa obbligatoria, in assenza di una valida alternativa presso Mmg, pediatri di base o delle case della salute - attendono giornate intere una diagnosi o stazionano “ricoverati” nei corridoi del Dea».

«Da qui l’esigenza di una manifestazione che racconti il Pronto soccorso e sia capace di ascoltare a sua volta i tanti racconti dei cittadini - aggiunge Maria Pia Ruggieri, segretario nazionale della Simeu -: efficienza, efficacia, equità d’accesso e di trattamento per tutti sono i criteri che ci guidano. Ed è opportuno che fin dalle scuole e dagli atri degli ospedali, così come nelle piazze dove diffonderemo materiale informativo e terremo simulazioni, la medicina d’emergenza-urgenza si faccia conoscere».

A parlare, quando in autunno il monitoraggio condotto con Tdm-Cittadinanzattiva sarà concluso, saranno i dati. A quel punto le istituzioni avranno uno spaccato molto utile della medicina d’emergenza su cui poter intervenire. Gli strumenti per prendere provvedimenti non mancano: dalla legge Balduzzi ai vecchi (in attesa dei nuovi) Lea, fino a quel Patto per la salute che, riscritto o no, dovrebbe comunque rappresentare il faro dell’agire di Regioni e ministeri.


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