Lavoro e professione

L'onere parte da 1,7 miliardi, trattativa sui nuovi comparti

Di sicuro, per il momento, c'è solo che il Governo l'anno prossimo non potrà più prorogare il blocco dei contratti pubblici. Si dovrà riaprire un negoziato con i sindacati per il rinnovo del triennio 2016-2018 sulla base dell'indice di inflazione programmata Ipca (1% nel 2016, 1,9% nel 2017, 1,8% nel 2018). Il costo di questo nuovo onere è stato indicato la scorsa settimana dalla Corte dei conti che ha ripreso il quadro a politiche invariate scritto nel Def: l'aumento di un punto l'anno di una massa stipendiale che a fine 2014 era arrivata a 163,4 miliardi, dopo due trienni di stop ai rinnovi. Quell'incremento di spesa comprende naturalmente anche l'andamento occupazionale, che nel prossimo triennio non segnerà più il forte calo degli anni scorsi per via dell'esaurimento dello stop al turn over e per via anche delle nuove assunzioni nella scuola.

Previsioni di spesa
In cifre, la previsione è di una maggiore spesa per 1,7 miliardi nel 2016, 4,1 nel 2017 e 6,6 cumulati nel 2018. Il rinnovo sul triennio è previsto dalla legge di bilancio (196 del 2009) e lo scenario a politiche invariate contenuto nel Def 2015 altro non è che un esercizio che il Governo ha prodotto nel rispetto delle convenzioni Ue. Il che significa, dati i vincoli di bilancio, che le risorse messe sul tavolo potrebbero essere anche ben diverse. Ma dopo due trienni di stop e con una bocciatura della Corte che vale anche per le proroghe e non solo per il decreto 78/2010, sarà difficile a un Governo che sta per varare una riforma importante della Pubblica amministrazione non assolvere a questo nuovo onere. Inoltre, visto che le norme bocciate decadono dal momento della pubblicazione della sentenza, come recita il comunicato della Corte, c'è da tenere in conto un recupero anche degli ultimi cinque mesi del 2015 (anno in cui l'Ipca programmata è 0,4%).

La prospettiva di una trattativa
Che cosa sceglierà di fare il Governo lo sapremo con la legge di Stabilità, atto con il quale si fisserà la dote per la trattativa. Una trattativa (ecco l'altra novità) che dovrebbe ripartire su uno schema nuovo: quello dei quattro comparti di contrattazione previsti dalla razionalizzazione introdotta da Brunetta (legge 15 e dlgs 150 del 2009) che determinerà il nuovo tavolo di confronto se in sede di contrattazione non si cambieranno le regole. Il rinnovo di un contratto nazionale del pubblico impiego deve infatti essere fatto in sede Aran sulla base di comparti certi. E i quattro comparti massimi previsti dalle nuove regole consentirebbero, se adottati, di assicurarsi un ciclo di rinnovo con tempi più certi e brevi dell'ultima volta, quando per il rinnovo del biennio 2008-2009 si superò oltre un anno di contrattazione.

Le reazioni
I sindacati partono con una posizione critica sullo scenario dei quattro comparti al posto della dozzina e più del passato (contando anche le diverse aree dirigenziali). Una posizione critica che s'incrocia con quella sulla riforma della Pa che non solo prevede una delega per l'aggiornamento del testo unico sul pubblico impiego ma, anche, la riforma della dirigenza su tre ruoli unici: Pa centrale, Regioni e enti locali. Se il Governo dovrà decidere la dote per il rinnovo i sindacati dovranno a loro volta decidere che cosa fare sui comparti, insomma. Due posizioni che potrebbero convergere sull'auspicio formulato dalla Corte dei conti per una ricomposizione delle future retribuzioni tenendo in maggior conto della premialità e del merito e non solo, com'è avvenuto finora, su componenti fisse o continuative che valgono per quasi la totalità dell'assegno.


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