Lavoro e professione

Piano Confindustria-Crui-Miur contro la fuga dei cervelli

di Cristina Casadei

Se i numeri dicono che ogni anno in Italia ci sono 12mila nuovi dottori di ricerca ma soltanto 2.500 entrano in Università, dove finiscono tutti gli altri? Questi numeri vogliono dire che tre Phd su quattro non riescono a proseguire la carriera accademica e proseguono su altre strade, che quasi sempre portano fuori dall'Italia. Uno scenario ormai consolidato che non piace alle università, come lascia intendere il presidente della Fondazione Crui, Angelo Riccaboni. Università che però sono sempre alle prese con risorse scarse e impossibilitate a offrire ulteriori opportunità. Ma non piace nemmeno alle imprese che con spirito molto pragmatico hanno pensato di aprire le loro porte per poter trattenere i dottorati, le loro competenze e l'investimento che il sistema paese fa su di loro, in Italia.

Il progetto. Così è nato «PhD ITalents», presentato ieri a presentato ieri a Palazzo Italia, all'Expo di Milano. Il progetto mette insieme tre partner, Confindustria, Fondazione Crui e Miur che hanno deciso di proporre e sperimentare un modello di placement per i dottori di ricerca, con il loro inserimento nelle imprese che puntano sulla ricerca e l'innovazione.
Date le fondamenta del progetto il Miur ha deciso di fare la propria parte, finanziandolo con 11 milioni di euro, attraverso il fondo integrativo speciale per la ricerca. Le imprese ne metteranno 5,2. Ogni PhD riceverà una retribuzione annuale di 30mila euro e sul costo totale del PhD l'impresa riceverà per il primo anno un contributo uguale all'80% del costo totale del PhD, per il secondo un contributo del 60% sul costo totale e per il terzo un contributo del 50 per cento. Questo farà si che il costo medio annuo di ciascuna risorsa per l'impresa co-finanziatrice sia di 13mila euro.

I numeri. I numeri sono ancora quelli di un progetto pilota, ma la convinzione che sia la strada da seguire è forte in tutti gli attori. Per ora sono previste 136 borse di ricerca per dottorati che saranno inseriti in impresa per 3 anni. È un progetto unico in Europa nel suo genere e crea vantaggi per tutti: risorse d'eccellenza per le imprese, efficace placement delle università e, soprattutto, più opportunità di lavoro per i dottori di ricerca italiani.
Diana Bracco, vicepresidente Confindustria per Ricerca e Innovazione, sostiene che questo sia «un passo decisivo nella direzione della collaborazione tra il sistema delle imprese e il mondo della ricerca». Con una virtuosa reazione di doppio scambio perché il progetto «aiuterà i giovani a scoprire la bellezza e i vantaggi della ricerca industriale e risponde alla domanda, sempre più alta, di PhD da parte delle imprese». Puntando su questo modello, di qui al 2020 potranno essere inseriti 500 PhD nella parte più innovativa dell'industria italiana. «Un segnale forte che l'Italia ha fiducia nei giovani e nella loro capacità di fare ricerca industriale», continua Bracco.
La disponibilità a collaborare di Confindustria è forte ma dalle imprese viene anche la richiesta di «completare in tempi rapidi la definizione del Programma Nazionale della Ricerca e gli altri tasselli collegati, ovvero la Strategia nazionale della Ricerca e Innovazione e i programmi per la Smart specialisation regionali», dice Bracco. L'auspicio è che l'iter sia concluso rapidamente in modo da poter partire con la definizione e l'avvio delle azioni di dettaglio già nel 2015.


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