Lavoro e professione

Sfida appropriatezza, Anaao: «La burocrazia non può invadere la cura»

di Chiara Rivetti (membro della segreteria Anaao Piemonte); Paola Gnerre (direttivo nazionaleAnaao giovani); Domenico Montemurro (responsabile nazionaleAnaao giovani); Carlo Palermo (vicesegretario nazionale vicario Anaao)

Negli ultimi anni la crisi economica, unita all’incremento dei costi sanitari per la transizione demografica ed epidemiologica in atto e per lo sviluppo tecnologico e scientifico, ha condotto a una serie di tagli lineari con un’inarrestabile “spending review” a carico del Ssn che in alcune realtà, in particolare del Meridione, sta mettendo a rischio l’erogazione dei Lea.

Secondo l’Ocse, infatti, in Italia nel 2013 la spesa sanitaria complessiva è scesa all’8,8% del Pil contro il 9,4% del 2009 (-3,5% in termini reali), incrementando la decrescita manifestatasi già nel 2011 (-0,9%) e nel 2012 (-3%). I primi dati del 2014 confermano questa tendenza anche se di entità minore (-0,4%).

La necessità di razionalizzare e contenere le risorse ha portato a politiche di contenimento degli sprechi e delle inefficienze con l’obiettivo di limitare i processi diagnostici e terapeutici a ciò che è appropriato pensando di contrastare in questo modo la “medicina difensiva”, l’overdiagnosi e la malpractice in sanità. La stessa Oms ha stimato che circa il 20% della spesa sanitaria di ogni paese rappresenta uno spreco causato da un utilizzo inefficiente delle risorse (Who 2010).

Da questi presupposti nasce l’emendamento sulla sanità del decreto legge “Enti locali” (ora legge) che propone l’introduzione di penalizzazioni economiche per i medici che non prescrivono secondo appropriatezza, suscitando una vivace reazione del mondo medico, in prima istanza interpretato da più parti come una difesa acritica e corporativa del proprio operato. In realtà è semplicemente la difesa del diritto di diagnosi e cura insito nell’atto medico, che non può essere ridotto a semplici tabelle di appropriatezza. Il problema della proposta del Dl “Enti locali” infatti non è nel merito ma nel metodo. Come afferma Gregg Bloche sul prestigioso Nejm (2012, vol. 366) «è facile dimostrare l’inutilità di un esame dopo che è stato effettuato, molto più difficile stabilirlo nel momento della decisione clinica».

L’appropriatezza degli altri
In tutta Europa si attuano programmi per favorire il costante aggiornamento dei professionisti sanitari (Ecm), ma mentre in Belgio e Norvegia sono previsti incentivi finanziari per specifiche categorie di medici se si attengono al processo di aggiornamento, in Italia e in Francia sono previste sanzioni, ancorché mai applicate, per gli inadempienti. Ancora un problema di metodo e non di merito.

Nel 2010, Howard Brody con il suo articolo “Medicine’s ethical responsibility for health care reform. the top five list” invita tutte le varie società scientifiche americane a identificare cinque test diagnostici e terapeutici abusati nella loro specialità e senza alcun effetto benefico per i pazienti: questo pone le basi per la nascita di iniziative di “Choosing wisely” in vari paesi del mondo (Canada, Danimarca, Inghilterra, Galles, Germania, Italia, Giappone, Olanda, Nuova Zelanda e Svizzera) con l’obiettivo di identificare test inutili a rischio di overdiagnosi e di rendere familiare e comprensibile a tutti il concetto di scelta saggia e consapevole. Per sostenere questa iniziativa, gli Stati Uniti spendono qualche milione di dollari e il Canada 700.000 dollari/anno, in altri Paesi è promossa o sostenuta da Istituzioni pubbliche o dall’Università. In Italia non è previsto alcun finanziamento per movimenti che promuovano il “Choosing wisely”.

Le strategie per migliorare l’appropriatezza già applicate altrove sono molteplici: nel Regno Unito e in Australia sono in corso iniziative note come “disinvestement” e che comprendono un’ampia gamma di azioni che vanno dal disinvestimento totale (abbandono di interventi di sicura inefficacia o di incerta sicurezza) al disinvestimento parziale (riduzione dei finanziamenti assegnati a interventi ritenuti poco costo-efficaci) e alla promozione di scelte di efficacia dimostrata (rimodulazione dei consumi a favore di interventi a maggior costo-efficacia).

Sempre nel Regno Unito è in discussione la possibile modifica del “payment by result”, il metodo di pagamento dei medici inglesi, basato sui risultati ma spesso in realtà calcolato sul numero di attività, quindi in pieno contrasto con il “less is more” alla base di scelte appropriate.

Conclusioni
L’inappropriata richiesta di approfondimenti diagnostici o gli eccessi terapeutici rappresentano innanzitutto una questione di natura culturale medica e di etica professionale prima ancora che di economia o politica sanitaria. È illusorio e politicamente, socialmente e scientificamente scorretto pensare di risolvere tali complessi problemi attraverso provvedimenti legislativi o sanzioni pecuniarie.

Non si può considerare il lavoro medico come una rigida catena di montaggio dove tutto è predisposto e prestabilito senza tenere in considerazione la variabilità della clinica, dei contesti organizzativi e le caratteristiche proprie di ogni singola persona. Se una prestazione sanitaria è appropriata viene stabilito attraverso le evidenze scientifiche che rappresentano le fondamenta per costruire percorsi diagnostici e terapeutici condivisi dalle società scientifiche, dai professionisti e dai pazienti. Questi ultimi, soffrendo nel campo della medicina di una asimmetria informativa, necessitano di essere guidati nelle scelte diagnostiche e terapeutiche.

In ogni caso, nei percorsi di cura tra inappropriatezza e appropriatezza esiste sempre una zona grigia, anche ampia visto che l’Ebm copre solo una parte delle condizioni patologiche, che non può essere invasa dalla burocrazia ma deve essere lasciata alla autonomia e responsabilità del medico il quale deve contemplare anche le esigenze del paziente oltre che usare al meglio le risorse affidate.

Non si può pensare di risolvere i problemi della “medicina difensiva”, i cui costi sono tutti da dimostrare e che spesso vengono derivati da studi datati, mettendo in campo la “medicina amministrata”. La “medicina difensiva” richiede provvedimenti specifici a monte, come una legge sulla responsabilità professionale, il rischio clinico e la tutela assicurativa. Il medico merita di essere trattato come il giudice perché la serenità invocata nel giudicare un cittadino equivale a quella necessaria per curarlo.

LEGGI IL SERVIZIO COMPLETO SU IL SOLE 24 ORE SANITA’ N. 33/2015

Chiara Rivetti membro della segreteria Anaao piemonte direttivo nazionaleAnaao giovani responsabile nazionaleAnaao giovani vicesegretario nazionale vicario Anaao

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