Lavoro e professione

A un anno dal titolo lavora l’85% dei dottori di ricerca italiani

di Eu. B.

Pochi, molto qualificati e con performance occupazionali brillanti: è l'identikit dei dottori di ricerca italiani che emerge dall'indagine AlmaLaurea del 2015 svolta su un campione di 2.400 soggetti. Dall'analisi emerge un quadro pieno di luci e ombre. A un tasso occupazionale dell'87% a un anno del titolo fanno da contraltare le difficoltà del mercato del lavoro di valorizzare appieno il loro percorso formativo. I motivi sono noti: una forte prevalenza di piccole e micro imprese a gestione familiare, specializzate in settori a medio basso contenuto tecnologico, e il forte ritardo nei tassi di scolarizzazione della popolazione adulta e una scarsa propensione, sia nel pubblico che nel privato, a investire in R&S. Come spiega Francesco Ferrante, curatore dell indagine Alma Laurea: «Non si tratta solo di investire più risorse finanziarie ma di modificare una cultura diffusa nel Paese, anche all'interno della classe imprenditoriale, che attribuisce scarso valore alla ricerca e alla conoscenza. Un passaggio - aggiunge - che richiede cambiamenti a tutti gli attori coinvolti e una politica industriale coerente con quest'obiettivo».

Il profilo formativo. Analizzando le performance di studio e le motivazioni dei dottori di ricerca di cinque aree disciplinari - scienze di base, scienze della vita, ingegneria, scienze umane e scienze economico, giuridico e sociali - il rapporto ne traccia poi il profilo formativo. I laureati che proseguono la formazione con il dottorato sono spinti soprattutto da interessi legati alle attività di studio e ricerca (38%), al miglioramento della formazione culturale (21%), o all'avvio della carriera universitaria (18%). Una tendenza che di trova in tutte le macroaree, tranne che nelle scienze economico, giuridico e sociali, dove il desiderio di migliorare la propria formazione (26% contro il 21% del complesso dei neo-dottori) risulta particolarmente elevato.


Più donne che uomini. Le donne rappresentano il 53% del collettivo e sono più rappresentate nelle aree delle scienze umane (64%) e delle scienze della vita (63; sono la minoranza, invece, tra le scienze di base (41%) e ingegneria (37%). Tra i dottori è inoltre elevata la quota di cittadini stranieri, il 13% (contro il 4% registrato tra i magistrali biennali) e sono presenti soprattutto nelle aree delle scienze di base e ingegneria (rispettivamente pari al 15% e al 14%). L'età media al conseguimento del titolo di dottore è pari a 33 anni, sale fino ai 34,4 nell'area delle scienze umane, mentre rimane entro i 32 anni tra i dottori nell'area dell'ingegneria (32,3) e delle scienze di base (31). L'indagine mostra inoltre che tra i dottori di ricerca, ancora oggi e più che tra i laureati, agisce una forte selezione sociale. Il 24% di chi sceglie di proseguire la propria formazione con il dottorato ha infatti entrambi i genitori laureati (contro l'11% dei laureati magistrali biennali del 2014); 33 dottori su cento hanno inoltre alle spalle una famiglia con uno status economico elevato (contro il 22%). In particolare provengono da contesti familiari più avvantaggiati i dottori delle scienze economico, giuridico e sociali (dove il 29% ha entrambi i genitori laureati e il 40% ha uno status sociale elevato), mentre la mobilità sociale è più elevata tra i dottori delle scienze della vita e delle scienze umane (rispettivamente il 22% e il 20% ha entrambi i genitori con laurea; il 30% e il 32 ha uno status sociale elevato).

Gli sbocchi occupazionali. Fatta la premessa che per i dottori di ricerca il principale sbocco lavorativo resta ancora oggi l'ambito universitario - caratterizzato, com'è noto, da periodi, più o meno lunghi, di attività svolte con il sostegno di borse di studio o assegni di ricerca- l'indagine mostra che a un anno dal conseguimento del titolo le loro perfomances occupazionali sono migliori di quelle registrate tra i laureati magistrali biennali, a riprova che la formazione post laurea rappresenta tutt'oggi un valore aggiunto. Includendo anche coloro che sono in formazione retribuita, emerge infatti che a dodici mesi dal conseguimento del dottorato l'occupazione è pari all'87%, un valore decisamente superiore al 70% registrato tra i laureati magistrali indagati nel 2013. Solo il 10% è alla ricerca di lavoro, mentre la restante quota, pari al 4%, è composta da dottori che non lavorano né cercano lavoro. Il tasso di disoccupazione a un anno è pari all'8%, contro il più elevato 22% rilevato sul complesso dei laureati magistrali.

Il tasso di stabilità. Il lavoro stabile (contratti a tempo indeterminato e lavoro autonomo effettivo) coinvolge 39 occupati su cento, in particolare, grazie alla diffusione dei contratti a tempo indeterminato che caratterizzano quasi un quarto degli occupati. La precarietà coinvolge a un anno il 57% dei dottori: il 21% può contare su un contratto a tempo determinato e l'11,5% su un contratto parasubordinato; un altro 11% su assegni di ricerca, mentre l'8% su una borsa post-doc, di studio o di ricerca. A un anno, anche il guadagno mensile netto è di gran lunga superiore a quanto rilevato sui laureati biennali: i dottori di ricerca percepiscono in media 1.493 euro contro i 1.065 euro dei loro colleghi magistrali.

Le diverse aree disciplinari. Raggiungono tassi di occupazione superiori alla media coloro che conseguono il titolo negli indirizzi delle scienze di base (89%), delle scienze economico, giuridico e sociali, delle scienze della vita e di ingegneria (88%), percentuale che scende, pur restando rilevante, all'81% per le scienze umane. Viceversa il tasso di disoccupazione è più elevato tra i dottori delle scienze umane (13%), mentre nelle altre aree si mantiene su valori molto più contenuti e inferiori al valore medio (8%). La stabilità lavorativa raggiunge il suo massimo tra i dottori nelle scienze economico, giuridico e sociali (52,5%, in particolare con contratti autonomi 27%) e in ingegneria (44%, in particolare con contratti a tempo indeterminato (24%). Il valore scende invece al 24% nelle scienze di base, dove è elevata la quota di contratti non standard (29%) e di assegni di ricerca (15%). Come evidenziato più volte nei precedenti rapporti AlmaLaurea sugli esiti occupazionali dei laureati, la più modesta stabilità lavorativa è quasi sempre legata all'ambito di inserimento professionale: la si trova anche tra i dottori di ricerca di scienze di base, i quali sono frequentemente inseriti nel ramo dell'istruzione, formazione e ricerca, i cui tempi di stabilizzazione contrattuale sono notoriamente lunghi.


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