Lavoro e professione

Il territorio verso la «community care»

di Roberto Lala (segretario nazionale Sumai Assoprof)

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24 Esclusivo per Sanità24

Che non si possa più rispondere alla domanda di salute essenzialmente attraverso le strutture di ricovero è evidente. Di più: occorre operare un cambio di paradigma che costruisca una vera Community Care, che esprima il concetto di comunità come rete di relazioni sociali significative, un sistema complesso cui concorrono i professionisti della sanità in team, l’intera realtà locale amministrativa e sanitaria e gli stessi pazienti in una logica di co-gestione della propria condizione di salute. Una rete di servizi, diffusi sul territorio, capace di prendere in carico i pazienti lì dove essi vivono, in condizioni di prossimità e di continuità.

Nella Community Care uno dei principali settori è rappresentato dalle cure primarie. Nonostante questo, però, come evidenzia anche il rapporto HEN (Health Evidence Network), ancora oggi l’allocazione delle risorse è nettamente a favore delle cure ospedaliere. Ciò spiegherebbe perché, a fronte di una spesa sanitaria crescente, l’equità, l’accesso e la risposta ai bisogni sanitari non siano cresciuti in modo proporzionale. Per equilibrare il sistema, occorre passare dal paradigma dell’attesa (tipico delle malattie acute) a quelli dell’iniziativa e della proattività.

Il ruolo degli specialisti ambulatoriali. Il concetto di cure primarie, come quello di Community Care, ruota attorno a due diversi assi di integrazione: una dimensione verticale (piramidale), nella quale strutture e professionisti (dal mmg, allo specialista territoriale e all’ospedale) intervengono su differenti livelli di cura, attraverso i quali il paziente è costretto a muoversi, spesso con gravi difficoltà, e una dimensione orizzontale, in cui si realizzano forme di cooperazione/specializzazione tra strutture e professionisti posti sullo stesso livello di cura, dove è la rete che di volta in volta si fa carico dei bisogni individuali del paziente e collettivi di un determinato territorio.

L’obiettivo delle cure primarie nella Community Care non è più la tradizionale funzione di filtro, bensì la capacità d’integrazione tra cure primarie e cure secondarie: si opera così un’epocale svolta qualitativa, nella quale viene facilitata e implementata l’integrazione dell’assistenza verticale (gestione di specifiche malattie dell'assistenza primaria e terziaria) e di quella orizzontale (integrazione dell’assistenza vicino ai bisogni dell’individuo e strategia che dà priorità ai bisogni più ampi della comunità). È in questa rete che gli specialisti territoriali rappresentano un punto di riferimento ben preciso, essendo capaci di offrire le competenze indispensabili in una dimensione articolata, con le nuove modalità organizzative che possono modularsi sulle diverse necessità locali.

La ricerca di Ca’ Foscari. Rinnovando la collaborazione con l’Università Ca’ Foscari, quest’anno abbiamo realizzato uno studio approfondito su come la medicina specialistica italiana si possa inserire nella Community Care. La ricerca mette in luce molte criticità. La prima riguarda i colleghi - soprattutto i più giovani e in misura maggiore le donne e le Regioni del Centro Sud - che ancora oggi inizialmente svolgono la loro attività con rapporto a tempo determinato e, spesso, con attività suddivisa in diverse aziende. Altra grande criticità è che oltre il 50% della categoria ha più di 55 anni e solo l’8% è al di sotto dei 40. In mancanza di un regolare turnover il rischio è che si creino, soprattutto in alcune Regioni, dei vuoti in corrispondenza del punto più alto della curva dei pensionamenti. Inoltre, le condizioni di non piena stabilizzazione contrattuale in cui si trova oggi parte dei colleghi più giovani impediscono quella naturale trasmissione del sapere da parte dei più anziani. Infine, la ricerca Ca’ Foscari evidenzia come la specialistica ambulatoriale territoriale, attiva da oltre 50 anni, sia una ricchezza strategica del sistema sanitario italiano. Eppure, solo in un caso su tre gli specialisti ambulatoriali hanno contatti e scambio continuo di informazioni con il mmg e il pediatra di famiglia! Una difficoltà di comunicazione che deve assolutamente essere superata, a tutto vantaggio dei pazienti, un’opportunità che le nuove forme organizzative previste dal Patto della Salute e normate dal nuovo Acn (Aft e Uccp), se applicate, potranno agevolare.


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