Lavoro e professione

Chirurghi a confronto: coniugare innovazione e sostenibilità in sala operatoria

di Ettore Cioli

In questi giorni di polemica tra il Governo e le Regioni a causa dei tagli lineari contenuti nella legge di stabilità, risulta decisamente attuale il tema del convegno in corso a Milano: “Slow Surgery. Qualità e sostenibilità in chirurgia”. Negli ultimi anni lo sviluppo tecnologico ha prodotto nuovi dispositivi e procedure chirurgiche evolute, consentendo un miglioramento in termini di efficacia e qualità del trattamento, con un inevitabile incremento della spesa. Come rendere sostenibile, sotto il profilo economico, l'innovazione per il Sistema sanitario nazionale?
Gli esperti intervenuti all'incontro, organizzato da Medtronic in collaborazione con Giovanni Battista Doglietto, del Policlinico Gemelli di Roma, e Pierluigi Marini, dell'Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma, concordano nell'affermare che è necessario mettere tutti i soggetti coinvolti nei processi decisionali nelle condizioni di conoscere i punti di forza e di debolezza delle diverse opzioni, per valutarne i pregi e stabilire il rapporto costo-beneficio. «Oggi - dice Marini - la chirurgia equivale a “alta tecnologia”, perché corrisponde a qualità e sicurezza delle sale operatorie, requisiti imprescindibili per la tutela del paziente. Un paziente assai più consapevole, rispetto al passato, del migliore trattamento possibile».
Per l'acquisto di beni e servizi nelle aziende sanitarie, nell'ottica di contenere la spesa, si vanno diffondendo modelli di centralizzazione mediante forme di aggregazione, sia a livello nazionale che regionale. «Ma questi modelli in ambito chirurgico possono risultare inadeguati - continua Marini - perché individuare beni e servizi con il miglior rapporto costo/beneficio è un processo estremamente complesso che richiede un lungo lavoro di analisi e di condivisione fra tutti gli operatori del sistema».

E per quanto riguarda i medical device, in questo lavoro di valutazione, dovrebbe restare centrale il ruolo dei chirurghi. Se in passato, il criterio della qualità pesava per un 60 per cento e il prezzo per il restante 40 per cento, ora questa forbice si è sensibilmente ridotta a favore del prezzo. «Il problema - spiega Doglietto - è che le aziende ospedaliere, a volte, sembrano indirizzarsi verso l'acquisto di prodotti con un costo più basso senza tenere conto che la responsabilità ultima della scelta di un dispositivo dovrebbe essere del chirurgo. Pur consapevoli che l'innovazione è più costosa, se osserviamo i risultati (minori giorni di degenza, ripresa funzionale dei pazienti più rapida) nel medio e lungo periodo vediamo che l'impatto economico è meno oneroso».
Questa situazione è strettamente correlata al problema del “contenzioso medico legale” e della cosiddetta “medicina difensiva”. Come ha puntualizzato Marini, «il chirurgo non ha poteri decisionali nella scelta della strumentazione che deve utilizzare in sala operatoria, ma è chiamato a andare in giudizio per risarcire o per rispondere penalmente di proprie eventuali responsabilità».
Esistono, poi, problematiche di “sistema” che possono mettere in discussione il futuro della chirurgia in Italia. Punto focale del convegno è stato il problema della perdita di attrattività della professione chirurgica, causata dal blocco del turnover che non fa intravedere ai giovani medici la possibilità di sbocchi professionali adeguati alla formazione ricevuta. Da qui, la denuncia di Marini: «Nei prossimi anni, saremo costretti a “importare” chirurghi da altri Paesi. Oggi, per la prima volta nella storia della chirurgia italiana, le scuole di specializzazione registrano posti vuoti. Chi fa questa scelta, poi, costretto a lunghi anni di precariato, dopo un periodo di formazione, spesso decide di andare all'estero».


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