Lavoro e professione

Pubblico impiego, frena il ridisegno su tre comparti - Confronto «freddo» Aran-sindacati

di Gianni Trovati

Non parte con il piede giusto l'ipotesi di ridurre a tre gli 11 comparti in cui oggi è diviso il pubblico impiego, cioè la ridefinizione della geografia indispensabile per far ripartire davvero i contratti sbloccati dalla manovra. Le obiezioni sindacali sulla dotazione da 300 milioni per le nuove intese, del resto, non aiutano certo il clima del confronto, e moltiplicano anche le difficoltà legate al ridisegno dei comparti.

Il riassetto dei comparti
Alla riunione convocata ieri dall'Aran, che avrebbe dovuto occuparsi solo di quest'ultimo aspetto, entrambi i piani si sono intrecciati a generare il «no» sindacale. L'agenzia negoziale, in linea con le indicazioni della Funzione pubblica, ha proposto una geografia in tre comparti, basata in pratica sulla distinzione delle sole aree caratterizzate da una «specificità» tale da giustificare un contratto a sé: la scuola e la sanità. Tutto il resto del pubblico impiego, secondo questa impostazione, verrebbe convogliata in un «compartone» unico, che abbraccerebbe fra gli altri ministeri e agenzie fiscali, ma anche regioni ed enti locali.

Il no dei sindacati
La reazione sindacale è stata fredda, al punto che il calendario ora prevede di riaggiornarsi fra due settimane quando sul tavolo sarà esaminata l'architettura a quattro comparti, cioè il numero massimo indicato dalla riforma Brunetta che deve essere attuata «in occasione del primo rinnovo contrattuale» successivo alla sua entrata in vigore. Resta da capire quale sarà l'area del pubblico impiego che nel nuovo scenario dovrebbe uscire dal «compartone», ma numeri e caratteristiche lasciano pensare che siano Regioni ed enti locali.
Il riassetto dei comparti non è questione da addetti ai lavori: problemi sindacali a parte, concentrati soprattutto dalle parti delle sigle settoriali che nei nuovi comparti non riuscirebbero a raggiungere i parametri di rappresentatività indispensabili a sedersi ai tavoli (e a ottenere permessi e distacchi), la “fusione” dei comparti attuali imporrà di allineare fra loro le strutture contrattuali, oggi molto diversificate. In un'epoca di risorse abbondanti questo passaggio sarebbe ovviamente più semplice, ma non è certo questa la situazione. I 300 milioni messi sul piatto dalla Finanziaria nascono dall'esigenza di recuperare solo la mini-inflazione attuale, dopo che la Corte costituzionale ha «salvato» i vecchi congelamenti dei contratti, ma i sindacati premono per uno stanziamento più generoso (e non è mancato ieri chi è tornato a chiedere di ripescare anche il triennio 2013-2015). La partita insomma, rimane aperta, in un intreccio di fattori tecnici e politici che sembra difficile da sciogliere prima dei decreti attuativi della riforma Madia (quando, secondo la manovra, si sbloccheranno i fondi per il trattamento accessorio).


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