Lavoro e professione

Appropriatezza in oncologia: una direzione irrinunciabile

di Fausto Roila (direttore della struttura complessa di oncologia dell’Azienda ospedalieraS. Maria di Terni) e Maurizio Tonato (coordinatore della Rete oncologicaregionale dell’Umbria)

«L’appropriatezza diagnostica e terapeutica è una condizione irrinunciabile di un’assistenza medica di qualità volta a garantire ai pazienti il migliore approccio diagnostico e terapeutico». Questa è la posizione espressa dal Collegio italiano dei Primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo) che ha posto le basi per una Conferenza nazionale dal titolo “Cosa non fare in oncologia” che si è tenuta a Terni il 13 e 14 novembre. Infatti prescrivere con saggezza esami clinici e trattamenti può rappresentare un modo intelligente per fare spazio all’innovazione terapeutica di valore. In altre parole, rivedere periodicamente alla luce delle nuove evidenze man mano disponibili l’appropriatezza delle prescrizioni serve, da un lato a migliorare l’efficacia diagnostica e terapeutica e, dall’altro, ad allocare più correttamente le risorse.

È importante sottolineare che l’appropriatezza non deriva solo dal non prescrivere interventi diagnostici-terapeutici di scarso o nullo beneficio clinico, ma anche dall’utilizzare interventi efficaci laddove e quando sarebbero invece utili. Per fare un esempio nel campo della terapia di supporto spesso si prescrivono farmaci 5-HT3 antagonisti in pazienti sottoposti a una chemioterapia che raramente induce nausea e vomito e non si prescrivono i farmaci NK1 antagonisti nei pazienti sottoposti a chemioterapia altamente emetogena come il cisplatino o la combinazione di antracicline e ciclofosfamide nelle donne affette da carcinoma mammario.

Un altro esempio può essere quello di una mancata prescrizione di farmaci oppiacei per il trattamento del dolore moderato-severo da cancro che si verifica in circa il 30% dei pazienti e quello d’altro canto di un eccesso di prescrizioni di antiinfiammatori non steroidei che vengono somministrati in oltre il 90% dei pazienti con dolore moderato-severo.

L’appropriatezza in generale è basata su linee guida nazionali e internazionali spesso elaborate dalle società scientifiche che sono il frutto di un consenso ottenuto analizzando le evidenze scientifiche finora disponibili. Il mancato trasferimento dell’evidenza scientifica risultante dalla ricerca nella pratica clinica quotidiana comporta da una parte di esporre il paziente al rischio di effetti collaterali di un farmaco non indicato e dall’altra, tornando agli esempi sopra citati, alla mancata protezione dalla nausea e dal vomito provocato dalla chemioterapia o al mancato controllo del dolore da cancro. Questo avviene con un dispendio di risorse e di energie che potrebbero essere molto meglio indirizzate.

Quando si parla di appropriatezza in oncologia, una delle tematiche più importanti è la prescrizione dei marker tumorali. Di tali esami ne vengono eseguiti in Italia circa 13 milioni l’anno comportando una spesa complessiva intorno ai 180 milioni di euro. Molto spesso i marker tumorali vengono prescritti in modo inappropriato in quanto vi è l’erronea convinzione che il loro uso precoce serva a identificare tumori in fase iniziale. In realtà, questo avviene solo per i carcinomi del testicolo e il carcinoma midollare della tiroide.

I marker tumorali si utilizzano largamente nei controlli periodici di pazienti neoplastici sottoposti a chirurgia o in trattamento con chemioterapia o con terapie a bersaglio molecolare per carcinomi metastatici. Tranne che nei pazienti con carcinoma del colon-retto operato, dove l’esecuzione del Cea può anticipare la diagnosi di metastasi epatiche o polmonari eventualmente suscettibili di resezione chirurgica e quindi di possibile guarigione, nella maggior parte dei casi il loro uso abituale non è supportato da evidenze che provino che i markers diminuiscono la mortalità per cancro. Ne consegue pertanto la necessità di adottare in tutto il territorio nazionale una linea guida, peraltro già disponibile dal 2010 e in corso di aggiornamento da parte di un gruppo di lavoro interregionale.

Un altro problema è quello dell’eccesso delle indagini strumentali, in particolare della PET-TC, della TC e della risonanza magnetica. Questi esami sono spesso utilizzati impropriamente nel follow up di pazienti operati senza evidenze significative di un beneficio clinico legato al loro uso sistematico. I radiologi hanno stimato un uso improprio degli esami strumentali in circa il 40% dei casi.

Ciò è favorito anche da un’inadeguata governance del sistema sanitario che ha fatto si che, secondo i dati dell’Ocse, il nostro Paese abbia una densità di TC e risonanze che eccede largamente i bisogni effettivi e questo aumenta la possibilità di una prescrizione inappropriata. Va aggiunto che a distanza di anni vi è un non trascurabile rischio di danni da radiazioni come a più riprese è stato sottolineato dagli stessi radiologi. L’attenzione a non esagerare con le indagini radiologiche vale anche nei pazienti con malattia metastatica che possono guarire con i trattamenti oggi disponibili come ad esempio il cancro del testicolo, le leucemie e i linfomi.

Un’altra tematica di grande interesse riguarda la prescrizione dei farmaci antitumorali. Questi hanno benefici, valutabili come aumento della sopravvivenza mediana di pochi mesi rispetto ai trattamenti già disponibili, che spesso non sono rapportabili ai costi decisamente elevati e difficilmente sostenibili dal servizio sanitario nazionale. Nel nostro Paese l’appropriatezza, vista come prescrizione secondo le indicazioni degli enti regolatori, è garantita dal monitoraggio effettuato tramite il registro dei farmaci ad alto costo dall’Agenzia italiana del Farmaco.

Rimane il problema della sostenibilità, problema già in parte affrontato dall’Agenzia che ha deciso di rimborsare molti di questi farmaci in base ai risultati ottenuti nel singolo paziente (payment by result).

Oggi è però necessario fare di più e questo si può realizzare solo con un’azione congiunta tra gli oncologi e le loro società scientifiche, l’industria farmaceutica e le istituzioni nazionali e regionali.

L’obiettivo concreto potrebbe essere quello di attivare, come già proposto da Cipomo e Aiom, una commissione che, valutando le risorse disponibili per la cura dei pazienti oncologici, definisca se e quando può essere utile e giustificato rimborsare un farmaco molto costoso con benefici modesti. In definitiva servono regole chiare che tutelino prima di tutto l’interesse dei pazienti garantendo a tutti le migliori cure disponibili senza ritardi.


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