Lavoro e professione

Convenzione della Medicina generale: a che punto eravamo rimasti?

di Emanuele Vendramini (Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza)

La convenzione nazionale dei Medici di medicina generale (Mmg) è scaduta da diversi anni e da tempo è aperto un tavolo trattante a Roma che si auspica possa produrre i propri frutti a breve. Nel frattempo risulta importante, alla luce dei cambiamenti negli assetti strutturali dei sistemi sanitari (aziende sanitarie più grandi, ospedali a rete ad esempio) e dei nuovi bisogni che stanno caratterizzando il Ssn (pazienti cronici poli patologici, gestione dei subacuti e dei post acuti) sciogliere alcuni nodi che riguardano le cure primarie e i Mmg. Tre temi sembrano di particolare rilevanza:

1. ruolo e futuro delle forme associate;

2. logiche e criteri per la responsabilizzazione e correlata incentivazione;

3. riflessioni sulla governance complessiva del governo della medicina generale.

In merito alle forme associative (attuali articoli 26, 26-bis e 26-ter della Convenzione nazionale), quelle obbligatorie per intenderci, è importante che ci si interroghi su come mai in tutti i convegni e nelle varie sedi istituzionali si ragioni sull’importanza delle Aggregazioni funzionali territoriali (Aft), delle Unità complesse delle cure primarie (Uccp) e delle Equipe territoriali (che per altro erano già previste alla luce del Dpr 270/2000, articolo 15), sulla rilevanza del Mmg associato con colleghi e con altre figure professionali ma poi nei fatti pochissime Regioni hanno dato seguito.

È chiaro ed evidente che uno dei temi centrali che hanno rallentato il processo di cambiamento è il ruolo del referente di queste forme associative (oltre alla complessità di “fare le squadre”) e specificatamente chi debba essere, quali competenze debba avere, come debba essere nominato e con quali funzioni.

Pare del tutto evidente che debba avere delle competenze manageriali, ma con quali compiti o funzioni, soprattutto nei confronti dei colleghi.

Pare chiaro che il ruolo non possa che essere di coordinamento, di facilitazione magari per la discussioni di report sull’efficacia e sull’appropriatezza delle risposte date alla coorte di pazienti dei Mmg afferenti a una specifica Aft e che quindi debba essere un Mmg che abbia doti di autorevolezza, sia inclusivo e sappia creare uno spirito di squadra tra liberi professionisti spesso abituati a un lavoro individuale e soprattutto che non venga mai neanche percepito come il “primario” o il “collaborazionista” dell’Azienda.

Uno dei temi di discussione negli incontri di queste forme associative non può che essere legato ai progetti, agli obiettivi definiti a livello distrettuale/aziendale all’interno dell’Accordo integrativo. Al fine di una massimizzazione dell’efficacia del processo di condivisione e responsabilizzazione, tali obiettivi però non dovrebbero essere eccessivamente legati alla dimensione finanziaria (sia essa la spesa media farmaceutica pesata, il costo per ricetta o il costo per Ddd, defined daily dosage) per il solo fatto che oltre non fornire informazioni inerenti al valore aggiunto generato (non saprei dire che un medico con una spesa pesata del 5 o 10% maggiore di un altro sia meglio o peggio come medico) sono poco legati al “sentire” del medico più legato a logiche cliniche e di appropriatezza. Quindi, è importante che si costruiscano con i professionisti indicatori che permettano di dire se la prevalenza di una patologia ha un reclutamento accettabile, se la presa in carico è appropriata e coerente con le linee guida sia in termini clinici che di ambito di cura. In poche parole la vitalità di queste forme associative è data anche dalla possibilità di discutere di come si sta rispondendo ai bisogni espressi dalla popolazione di riferimento e quindi dai Percorsi diagnostico terapeutici.

Attualmente il sistema di incentivazione dei Mmg è coerente con un sistema del genere?
Direi proprio di no, ci sono delle forme di incentivazione legate a prestazioni a basso valore aggiunto come le Prestazioni di particolare impegno professionale (dette Ppip tra cui troviamo le medicazioni, le suture di ferite, la rimozione punti, il cateterismo uretrale, il tamponamento nasale anteriore, e altre) o l’assistenza domiciliare programmata (quella fatta esclusivamente dal Mmg), l’indennità informatica e svariate altre. L’auspicio è che la nuova convenzione, senza certo una riduzione delle risorse incentivanti, modifichi il sistema in essere per allocarle sulla verifica di comportamenti “evidence based” come la stabilizzazione dell’emoglobina glicata su parametri accettabili dei pazienti diabetici di tipo II non insulino dipendenti, non complicati o che i pazienti bronco pneumopatici facciano la spirometria e si vaccinino. Anche i 3,08 euro lordi annui per paziente legati al governo clinico potrebbero essere utilizzati secondo questa logica e non come spesso capita per aderire ai progetti. In sintesi la proposta è quindi di ripensare gli istituti di incentivazioni in modo che siano coerenti con le nuove priorità e i nuovi bisogni. Questo ovviamente vale anche a livello di Accordi integrativi regionali e aziendali

In sintesi passare dalla incentivazione di atti singoli a un’incentivazione nel momenti si aumenta la prevalenza presa in carico e gestita in modo appropriato.

In questo modo il Mmg avrà o tornerà ad avere un ruolo centrale nei vari servizi sanitari regionali perché avrà i propri assistiti diabetici che faranno il Fundus oculi nei tempi e nei modi appropriati, perché gli ipertesi faranno l’Ecg nei modi e nei tempi appropriati.

Da ultimo ma non meno importante, il terzo punto: la governance complessiva della medicina generale. Con i cambiamenti che hanno caratterizzato diverse Regioni e la riduzione del numero delle aziende sanitarie si è acuito un fenomeno che era già presente: chi governa la medicina generale?

Quali funzioni aziendali, quali professionisti, quali ruoli sono responsabilizzati a gestire il cambiamento a livello di medicina generale? Probabilmente un Dipartimento aziendale di una realtà di 1, 2 o 3 milioni di abitanti e quindi con migliaia di Mmg non sarà certo in grado di cogliere i differenti bisogni e le specificità dei diversi contesti in cui operano i Medici di medicina generale; quindi l’auspicio è che si ritorni alla centralità delle forme locali siano essi distrettuali, Unità operative complesse in capo ad aree dipartimentali o società della salute in modo da poter sviluppare un unico processo di condivisione, di responsabilizzazione di aggregazioni funzionali di 15-20 Mmg di una vallata alpina o appenninica o di un contesto metropolitano. Fondamentale quindi non saranno solo le competenze manageriali dei coordinatori delle varie forme associative ma anche o forse soprattutto di quel middle management che è la vera ricchezza delle aziende sanitarie quali gestori del cambiamento e della transizione da un sistema che molto spesso ha sulla carta più di quello che il paziente può apprezzare.

Emanuele Vendramini

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