Lavoro e professione

Appropriatezza, serve il confronto prima di decidere

di Roberto Turno

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24 Esclusivo per Sanità24

Pazienti spazientiti per le file e la burocrazia e preoccupati per i superticket che rischiano di far salire alle stelle la spesa per la salute che già pagano caramente di tasca propria. Medici alle prese con un armamentario tecnico ingestibile, confusi da una normativa oscura, preoccupati per le possibili sanzioni in arrivo. Corsie di ospedale che possono gonfiarsi di assistiti evitabili e di spese in più altrettanto evitabili. Questo potrebbe essere – e già in parte lo è - lo scenario di una vicenda che va risolta presto e senza tentennamenti. Senza nulla regalare agli sprechi, sia chiaro. Perché una giusta causa rischia altrimenti di tradursi in un fiasco. Il classico esempio della gattina frettolosa che fa i gattini ciechi.
Esattamente quello di cui - pur concedendo tutte le migliori intenzioni a chi ha messo a punto il provvedimento sull'appropriatezza per oltre 200 prestazioni, e anche comprendendone le difficoltà non solo tecniche - la sanità pubblica di questi tempi non ha bisogno. E che per questo avrebbe imposto di affrontare con la massima cautela, e con tutti i dubbi del caso, misure anche politicamente ad altissimo tasso di contestazione.
L'ascolto di chi sta sul campo (medici e assistiti) e la condivisione di tutti i passaggi, è sempre una mossa vincente. Sapendo bene che l'altra parte a volte non rema solo per le cure utili e per la lotta vera agli sprechi. E ricordando che c'è una “questione medica” squadernata sul tavolo del Governo e della nostra assistenza. Proteste che non sono (soltanto) una questione di buste paga, ma professionali in senso stretto. E del futuro che potrà essere per il Ssn: capirne la rotta oggi non è così facile, in quel nuovo paradigma del welfare sanitario che resta ancora un'incognita. E che comunque va spiegato con chiarezza a tutti. Ai pazienti, per primi. E agli operatori.
La manifestazione di sabato scorso a Napoli dei camici bianchi deve far riflettere. Come i due giorni consecutivi di sciopero a metà marzo. Non per farsi piegare dalla “piazza”, ma per ascoltarla. Per poi decidere. Anche perché c'è un Sud già quasi tutto in default sanitario. E questo nessuno se lo può permettere.


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