Lavoro e professione

Il 118 di Bologna, la sospensione dei medici e la crisi sulle competenze

di Giuseppe R. Gristina (Gruppo di studio per la Bioetica, Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva - Siaarti)

Nel marzo scorso, alcuni medici del sistema di emergenza delle Ausl di Bologna, Modena, Piacenza sono stati sospesi dall’attività per un minimo di 3 mesi fino a un massimo di 6 dall’Ordine dei medici di Bologna. Le motivazioni ufficiali non sono ancora note ma, sembra, riguardino l’adozione di procedure che attribuirebbero illegalmente agli infermieri del 118 l’autonomia di eseguire atti di competenza medica: diagnosi e terapia. Il provvedimento è seguito a un esposto presentato all’Ordine bolognese e alla Procura della Repubblica da un sindacato autonomo di medicina territoriale.

Il sistema emergenza 118 prevede tre risposte di soccorso: di base (soccorritori addestrati); intermedio (infermiere); avanzato (medico). Sui codici rossi (gravi emergenze: 25% del totale) sono allertati l’équipe con infermiere e quella con medico. Se l’infermiere arriva prima del medico, le procedure prevedono che egli somministri farmaci per ridurre l’intervallo privo di terapia (glucosio per gravi ipoglicemie; antidoto per intossicazione da oppioidi, morfina per dolore acuto). Non si tratta di chiedere all’infermiere che faccia diagnosi di specifiche patologie, ma di rilevare condizioni che mettono a rischio immediato la sopravvivenza del paziente ed eseguire prescrizioni mediche predefinite, scientificamente validate e approvate dalle Ausl da almeno 10 anni. Nel complesso, ben meno di quanto sono autorizzati a fare i paramedici dei servizi di emergenza negli altri Paesi occidentali.

La Regione Emilia Romagna ha espresso solidarietà ai medici sanzionati e ha annunciato per fine aprile una delibera che uniformi a livello regionale le procedure facendo sì che le équipe con infermiere possano agire in autonomia. La medicina sta attraversando in Italia una crisi complessa. I radicali cambiamenti demografici richiedono al medico di rinnovare i suoi strumenti culturali per rileggere il rapporto con il paziente. Lo sviluppo tecnologico provoca nella pratica clinica continue modificazioni che rispecchiano la rapidità con cui le scienze esatte che la supportano leggono i fenomeni e usano nuove logiche, ma la medicina basata sull’evidenza non ha risolto tutti i problemi che si era proposta di affrontare.

Nell’attuale congiuntura in cui la sanità diviene un problema per l’economia, il medico si trasforma da capitale di conoscenza e competenza che il sistema sanitario dovrebbe valorizzare in una voce di spesa da ridurre. In sintesi, le modificazioni demografiche cambiano la relazione di cura; la medicina deve rivedere la sua epistemologia alla luce delle trasformazioni che le scienze esatte stanno affrontando; l’economia impone un condizionamento degli interessi sociali di cui il medico è portatore e parte integrante. Se queste sfide non avranno la giusta risposta in una prospettiva di modernità, la professione medica non sarà artefice del suo rinnovamento, ma verrà ridefinita da chi non possiede competenze sanitarie. La Federazione nazionale degli Ordini dei medici (FnomCeO) e i sindacati non sembrano sapere o volere far fronte a queste complessità strutturali. La crisi di ruolo che affligge oggi il medico è allora certamente da imputare ai mutamenti culturali ed economici, ma anche alla sua indisponibilità a ragionare nella logica del futuro della professione, lasciando alla politica e all’economia la soluzione del problema senza studiarne di proprie.

La questione non è tentare di risolvere i problemi entrando in contraddizione con il cambiamento, ma chiedersi se sia possibile pensare una nuova professione che non entri in collisione col mondo. A giudicare dai recenti provvedimenti disciplinari dell’Ordine di Bologna, dai pronunciamenti in merito della FnomCeO e dei sindacati autonomi, è dubbio che un nuovo modo di interpretare il ruolo del medico in Italia sia prossimo a realizzarsi. Ma i fatti di Bologna non si possono ignorare almeno per due ragioni. Perché i medici del 118 emiliano hanno ricevuto la stessa sanzione del medico condannato, anche dalla Corte di cassazione, in seguito alle denunce per i fatti avvenuti alla caserma Bolzaneto di Genova. Perché tra di loro vi sono membri della dirigenza del Sistema di Emergenza, che rischia la decapitazione con le inevitabili ricadute sull’efficienza del servizio.

Tutto ciò rappresenta il segnale della dissociazione fra le istituzioni ufficiali della medicina e il mondo reale e più di 5.000 firme in solidarietà in 5 giorni (www.appelloweb.it) lo testimoniano. È evidente che in gioco c’è il futuro di una professione da non lasciare in mano alle logiche del passato, per fornire alle future generazioni di medici una prospettiva culturale più ampia del cortile di casa.


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