Lavoro e professione

Paesi europei uniti alla meta nella gestione del rischio clinico. Ma serve una formazione rigorosa

di Carlo Ciani (vicepresidente Cineas settore sanità) e Luigi O.Molendini (coordinatore del modulo responsabilità professionale e gestione del rischio assicurativo del master Cineas in Hospital risk management)

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24 Esclusivo per Sanità24

Esaminando normative e raccomandazioni di diversi Paesi in materia di gestione del rischio clinico si rileva un impianto comune di valutazioni e indicazioni, pur nelle profonde differenze dei modelli di erogazione dei servizi sanitari. Vi è, infatti, una notevole eguaglianza di vedute e di proposte che, immediatamente, dà conferma di come il problema venga vissuto nelle strutture ospedaliere come un “unicum”. E, d’altro canto, non potrebbe che essere così dal momento che le evidenze sulla epidemiologia degli eventi avversi studiati dalla comunità scientifica a partire dagli anni ’90 sono state affrontate dalle organizzazioni internazionali (Oms, Comunità europea) e dai sistemi sanitari dei singoli Paesi con la medesima matrice, vale a dire la salvaguardia della salute del paziente da possibili danni derivanti da errori e/o violazioni nella gestione dei percorsi di cura, in primis nella effettuazione dei trattamenti chirurgici e farmacologici.

Il quadro europeo delle linee d’azione per contenere il rischio. Le “buone pratiche” e “raccomandazioni”, se vogliamo darne un riepilogo sintetico, sono principalmente così descrivibili:
a.
interventi per migliorare la sicurezza dei pazienti;
b.
adozione di un sistema di raccolta delle segnalazioni di eventi avversi;
c.
implementazione di “organizzazioni per la sicurezza del paziente” che devono raccogliere dati, analizzarli e proporre soluzioni per il miglioramento;
d.
costruzione di banche dati utili a predisporre strategie per individuare rischi e azioni correttive;
e.
costituzione in ogni struttura di un servizio di “Clinical risk management” (Crm) che contribuisca a definire l’insieme delle regole aziendali e il loro funzionamento per mantenere la sicurezza dei sistemi assistenziali.

All’atto pratico si evidenzia come sia prassi comune in campo internazionale procedere secondo il seguente schema:
- rigorosa disamina delle cause degli eventi avversi (difetti organizzativi, sovraccarico di lavoro,
- addestramento del personale, fattori cognitivi, cattivo funzionamento di apparecchiature, criticità nelle comunicazioni, ecc.);
- individuazione delle azioni correttive e definizione di procedure condivise;
- controllo periodico sistematico dell’adozione degli interventi programmati;
- valutazione dei risultati delle misure correttive.
Tutto questo con criteri di continuità in modo che la sicurezza dei pazienti abbia un’assoluta centralità nello svolgimento dell’attività di cura.

Il clinical risk management. Nella maggior parte dei Paesi - per quanto ovvio - con questa espressione si fa riferimento a un sistema organizzato e articolato di competenze atte a ridurre il rischio clinico che coinvolge tutto il personale sanitario nonché quello amministrativo, al fine di stimolare comportamenti proattivi che non si limitino all’osservanza normativa.
La crescita dei sistemi di sicurezza risulta mediamente elevata anche in funzione del rilevante costo dei risarcimenti per i danni prodotti, ma il quadro di attenzione a questi problemi non è uniforme, con significative differenze tra i vari Paesi.

Implementazione della raccomandazione 2009/C 151/01: aree di miglioramento - a livello internazionale - formazione del personale sanitario ed empowerment del paziente. A livello di Comunità europea è stata emanata nel 2009 una importante raccomandazione (la 2009/C 151/01) avente a oggetto: l’implementazione della patient safety come una priorità delle politiche sanitarie, l’empowerment del paziente e la promozione della cultura della sicurezza tra i professionisti sanitari.
Nel 2014 la Commissione europea ha pubblicato un report sulla implementazione di tale raccomandazione da cui risulta una buona diffusione della cultura della sicurezza e una soddisfacente implementazione di strategie e di programmi regionali, ma con azioni concrete presenti solamente in 16 dei 27 Paesi Ue e quindi con ampi margini di miglioramento dal punto di vista operativo.
Le azioni previste dalla raccomandazione del 2009 risultavano implementate in modo totale nel 17% dei Paesi e parzialmente nel 58 per cento. Tra le aree deficitarie quella relativa all’empowerment del paziente e, soprattutto, quella della formazione del personale sanitario.
Un ulteriore elemento, che dovrebbe essere oggetto di riflessione anche nel nostro Paese, è l’evidenza del fatto che lo sforzo attuato non è ancora stato percepito dai cittadini, come evidenziato dalla consultazione pubblica che ha completato il citato report: il 53% dei cittadini europei ritiene di potere essere danneggiato dalle cure ospedaliere. È interessante osservare che in Italia tale percentuale aumenta al 57%, pur essendo inferiore l’esperienza diretta di un evento avverso all’interno della propria famiglia (Italia 13% vs Ue 27%). Tant’è che tra gli obiettivi che si è posta la Commissione c’è quello di sviluppare linee guida sulle modalità di informazione dei cittadini relativamente alla qualità delle cure.

Il ruolo chiave della formazione per il risk based thinking. Dal contesto internazionale emerge che la gestione del rischio clinico richiede, oltre al rigoroso rispetto delle procedure per la sicurezza nei processi diagnostico-terapeutici e assistenziali, la creazione di una forma mentis che dia una centralità culturale all’evidenza del rischio in senso lato.
Nella sostanza, tutto il personale deve essere sensibilizzato rispetto a questa fondamentale esigenza e ciò comporta una formazione rigorosa e continuativa, che dovrebbe essere presente in modo diffuso sin dai percorsi formativi universitari.
A tale riguardo, considerata anche la diminuzione di costi per il sistema sanitario conseguente alla riduzione degli eventi clinici negativi, sarebbe auspicabile che venissero destinati dei fondi pubblici per concorrere alle spese dei corsi di formazione.

Carlo Ciani

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